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Americana – Fuori dal ring (Lights Out)

Pubblicato il 14 giugno 2012 da Giammario Di Risio


Americana – Fuori dal ring (Lights Out)

Il vecchio sentenzia: «Alì è stato fuori tre anni, ma era molto più giovane; Foreman è stato fuori per dieci, ed ha affrontato molti sacrifici per tornare»; e suo figlio, sornione: «Io sono fuori da cinque». Tanti sono gli anni passati dall’ultimo incontro del pugile Patrick “Lights” Leary, da quando ha perso ingiustamente il titolo ai danni di Richard “Death Row” Reynolds. Da quel giorno la sua vita è cambiata: si è occupato della famiglia, stando vicino alla moglie Teresa che desidera specializzarsi in medicina, ha seguito la crescita delle sue affettuose tre figlie ed ha aiutato il vecchio padre, un ex–pugile, a mandare avanti la palestra, tirata su con i milioni di dollari guadagnati a dare e a prendere pugni. La sua esistenza presenta una logica prestabilita, apparentemente sentita e coscienziosa, in cui la prospettiva di un ritorno sul ring è ormai lontana. Ma c’è un problema: i soldi stanno finendo, forse sono già finiti.
Da qui scatta l’orizzontalità del meccanismo seriale, che porterà Patrick a scontrarsi con il suo vecchio rivale. Facendo due conti, il fratello manager Johnny ha mandato in rovina le finanze e la moglie non vuole che torni a combattere; ma si rischia il default totale. Patrick cerca una soluzione: si affida ai giochetti del losco scommettitore Hal Brennan, diventa, a sua insaputa e per colpa del fratello, un atleta del manager di colore senza scrupoli Barry, è perseguitato dal giornalista e ficcanaso Mike Fumosa, deve tranquillizzare continuamente la figlia Daniella, preoccupata per la sua salute, e, in un tempo “dilatato”, riesce solo alla fine a trovare la luce.
Lights Out (titolo originale di Fuori dal ring) è un’operazione interessante per come viene “costruito” il protagonista, che piomba ed è continuamente stuzzicato, pungolato, all’interno di differenti spazi diegetici che via via, per sostenere i singoli episodi, diventano luoghi minacciosi o punti di salvezza: la casa da favola, la palestra e il suo ufficio, il motel, la locanda della sorella Margaret, la chiesa del quartiere. Patrick, interpretato dal bravo Holt McCallany, è un ibrido tra il primo Rocky Balboa, con la dolcezza dello sguardo e la gestualità goffa, e il Jack La Motta di De Niro, per gli scatti improvvisi nei momenti di maggiore tensione. La struttura rigida dei singoli episodi segue i classici tre atti, con la verticalità che strada facendo sfrutta la granitica dualità dei personaggi. Teresa è moglie appassionata e moralizzatrice; il vecchio Leary è padre e allenatore; Johnny è fratello e manager incompetente; Margaret è sorella e fidanzata di Brennan, quest’ultimo affarista ma unica via di “salvezza”; Reynolds è avversario e “confidente”; Fumosa giornalista invadente ma sincero. Il tutto si sostiene ovviamente con i cliché di genere, dal tema della redenzione all’utilizzo di soprannomi, dalla corruzione del mondo della boxe al focus sul circuito mediatico, dal rapporto padre/figlio alla riflessione sul libero arbitrio. Una regia elegante, con un montaggio mai serrato e con le poche scene di combattimento che concedono allo spettatore gli unici momenti di immersione; viceversa si è testimoni continui di un’oleografica, quanto prevedibile, parabola esistenziale.
La Fox ha deciso di non pianificare una seconda stagione, nonostante la serie abbia ricevuto critiche positive su importanti quotidiani, per un evidente calo di ascolti. Coincidenza vuole che ciò sia avvenuto con la comparsa dell’affascinante, quanto troppo carico di sfumature, personaggio di Romeo: allenatore che presenta la boxe come un percorso mistico e, leggendo testi religiosi, destabilizza per tre episodi lo status quo prima di farsi da parte.


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