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Americana – Person of Interest

Pubblicato il 20 giugno 2012 da Giammario Di Risio


Americana – Person of Interest

New York ha ormai cambiato “pelle”, non c’è più tempo per una riflessione intima e silenziosa, in cui i personaggi sono tristi e malconci, come nella 25ª ora di Spike Lee: viceversa si entra in un luogo in cui è la paranoia ad aver preso il sopravvento. Il trauma post 11 Settembre, metabolizzata la paura istintiva, si presenta rigenerato mediante una fredda fisiologia tecnologica, in cui l’enigma non è più la paura del terrorismo ma, di fatto, la conferma che siamo tutti oggetto dello sguardo asessuato, asettico ed “alienato” di una telecamera.
John Reese (Jim Caviezel) è un ex soldato della CIA, dal passato misterioso, ridottosi a fare il clochard per le vie della Grande Mela; un giorno viene affiancato dal filantropo miliardario Harold Finch (Michael Emerson, il cattivo di Lost), che gli propone di riprendersi in mano la sua vita. Finch, mago dei computer, ha creato per il governo una macchina capace di prevenire possibili minacce terroristiche, con un software che collega contemporaneamente centinaia di telecamere disposte in ogni angolo della città. Per il governo, tuttavia, il suo funzionamento presenta dei difetti, visto che la macchina prevede anche situazioni di pericolo in cui sono coinvolte persone comuni. Finch propone a John di lavorare a stretto contatto e all’insaputa delle autorità per intervenire laddove il governo se n’è lavato le mani. Tocca soltanto attendere il prossimo numero di previdenza sociale che estrarrà la macchina e i nostri, aiutati da due detective, il corrotto Lionel Fusco (Kevin Chapman) e l’ex soldato Carter (Taraji P. Henson), andranno incontro alla prossima vittima o carnefice.
Person of Interest, ideata e prodotta da Jonathan Nolan e J.J. Abrams, andata in onda sul canale CBS e qui da noi su Premium Crime dal 27 Aprile, rappresenta quel senso di frustrazione, che converge nella paranoia, di un’America obamiana in cui bisogna fare i conti con la crisi e la sfiducia nelle istituzioni, dove poteri occulti e corrotti hanno libero accesso ad ogni tipo di informazione. La macchina, con i suoi mille occhi, diventa personaggio capace di sviluppare, durante i ventitré episodi, un racconto per lo spettatore anche all’insaputa dei protagonisti stessi. Da un lato c’è la mente, il filantropo alla Bill Gates che, con le sue mille identità e il suo afflato voyeuristico stile James Stewart de La finestra sul cortile (Fynch presenta un handicap come metafora di un trauma) estrae il numero dalla macchina e dall’altro lato c’è il braccio, quell’ex soldato che ha studiato Sun Tzu, che riceve l’informazione e che sembra necessitare dell’adrenalina del pedinamento e del castigo verso chi “defeziona”, per non crollare vittima del suo stesso passato. Su questa griglia, come spesso accade, andando avanti con gli episodi, i ruoli si sovrappongono, con i “cattivi”, rappresentati dal mafioso Elias e dai corrotti poliziotti della HR, che ostacolano le indagini ciclicamente e la CIA e l’FBI che entrano in competizione. La costruzione dell’immaginario presenta inoltre un enorme omaggio al cinema di Michael Mann, con la grande attenzione alle armi ultratecnologiche e all’oggettistica, nella fattispecie cellulari (gli unici in grado di “accoppiarsi”, in un mondo dove gli esseri umani sembrano essere stati castrati inesorabilmente), pennette USB, computer, macchine fotografiche, cimici.
Un prodotto di qualità che ha goduto, e godrà anche per la seconda stagione, di un budget produttivo molto elevato, anche se il tutto appare già “rivisto” e “sentito”; per non parlare di Jim Caviezel, un figo muscoloso, dallo sguardo spiritato, che ci riporta troppe volte indietro ai tempi di The Passion.


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