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Americana - The Mentalist

Pubblicato il 8 ottobre 2009 da Nicola Lazzerotti


Americana - The Mentalist

«MENTALIST /’men-tə-list/, sostantivo: persona che ricorre all’acutezza mentale, ipnosi e/o suggestione. Colui che padroneggia la manipolazione del pensiero e del comportamento». Così recita una scritta all’inizio di ogni puntata di The Mentalist, la serie rivelazione della passata stagione televisiva americana.

Patrick Jane (Simon Baker) è un finto sensitivo o, meglio, lo è stato fino al giorno in cui, durante uno show televisivo, dichiarò, peccando di vanità e presunzione, di essere in grado di collaborare e di poter arrestare un pericolosissimo serial killer, Red John. Questi, per punire l’arroganza di Patrick, gli uccise moglie e figlio.
In seguito a quanto accaduto, Patrick, spinto da un ferreo desiderio di vendetta e di inadeguatezza, rivela di non essere un sensitivo (le sue doti in realtà sono una straordinaria intelligenza, un altrettanto sviluppatissimo senso di osservazione e una spiccata capacità nel manipolare le persone). L’ex finto sensitivo decide pertanto di aggregarsi a un’unita di indagine sui crimini violenti, per avere un modo per trovare (e intimamente uccidere) Red John.
Il C.B.I. (California Bureau of Investigation) è una forza di polizia specializzata in crimini particolarmente efferati. A guidare la squadra, a cui Patrick Jane è aggregato come consulente esterno, è la detective Teresa Lisbon (Robin Tunney), un leader determinato ed efficiente. Con lei vi sono anche gli agenti Kimball Cho (Tim Kang), Wayne Rigsby (Owain Yeoman) e Grace Van Pelt (Amanda Righetti), ognuno con una dote che li caratterizza: Cho è infatti l’uomo degli interrogatori, impassibile e immutabile, non ha reazioni neanche di fronte alle risposte più inaspettate; Rigsby è l’uomo votato all’azione; mentre la Van Pelt è spesso relegata alla raccolta di informazioni. Un discorso a parte va compiuto per la Lisbon, con cui Patrick ha un rapporto particolare: lei lo difende e ne approva i metodi, lo ritiene una risorsa indispensabile e lo sostiene (si potrebbe intendere che tra i due possa nascere un sentimento).

Un giorno un critico disse: «Mentalist è fondamentalmente uno Psych con tanti più soldi!». Un’affermazione assolutamente sbagliata e corretta allo stesso tempo. Se infatti è indubbia l’affinità delle due serie (Psych narra le avventure di un finto detective sensitivo che mette a disposizione della polizia le sue false abilità psichiche, in realtà frutto di una formidabile capacità di osservazione), queste si differenziano per tutto il resto, in primis a causa del genere narrativo: la prima è un dramma, la seconda una commedia nera. Osservando bene ci si rende conto che The Mentalist è un detective-drama che potremmo definire “antropologico”, dove il centro dell’indagine - o, per essere più precisi, dell’analisi - non sono più le circostanze di un delitto, come le prove oggettive (quindi CSI, per fare un esempio) ma, piuttosto, l’Uomo nelle sue infinite sfaccettature. Al pari di altri telefilm recenti, per esempio lo stesso Psych o Lie To Me, in The Mentalist le capacità singolari del protagonista sono virtù uniche, una specie di super-potere precluso ai normali esseri umani. Non importa se esso sia frutto di abilità innate (The Mentalist) o di un duro lavoro (Psych e Lie To Me), perché tale genere di ’super-potere’ travalica comunque il senso del credibile e del reale per lo spettatore.
E non è un caso se la dimensione in cui sono presentati i due protagonisti, sia in Psych che in The Mentalist, sia quella del soprannaturale, una dimensione in cui la logica non può spiegare gli eventi, come se nella società rappresentata fosse socialmente preferibile affidarsi all’ignoto, riconoscere il soprannaturale dove non esiste, anziché ammettere i limiti di fronte a delle personalità e a delle capacità superiori. In Lie To Me, per esempio, la credenza e il veritiero nella messa in scena sono permessi dall’enorme sfarzo tecnologico di cui è pervasa la serie, come se questo fosse un attestato di credibilità.

Una delle caratteristiche fondamentali di The Mentalist è la ricchezza e la straordinaria stratificazione della sua scrittura: assieme al complesso gioco di intrighi e soluzioni che pervade ogni puntata, si articola sempre in profondità lo sviluppo dei personaggi, dallo svelamento del carattere del protagonista, tenuto continuamente in bilico tra vendetta e giustizia, alla conoscenza dei personaggi, delle loro storie e del loro passato. Le relazioni e i legami di gruppo sono sempre trattati con attenzione, quasi che esso venga a formare una sorte di ’famiglia’ con i genitori, Patrick e Lisbon, e i loro tre ’figli’: difatti in più di un’occasione Patrick chiamerà i tre colleghi «...i miei ragazzi...». E se il ruolo di Patrick è quello di ’padre’ e quindi di guida (in più occasioni la non presenza dello stesso nelle indagini lascerà il gruppo in una specie di empasse), la funzione di Lisbon non può essere che quella di ’madre’, protettrice della struttura ’familiare’. A questo contesto sociale splendidamente tratteggiato va aggiunta una costruzione del ritmo e della tensione quasi perfetti nella scrittura: ne è esempio il rapporto di sfida tra il protagonista e Red John che costituisce il vero leitmotiv della serie.


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