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Anniversari - Gli ottant’anni di Mickey Mouse: vizi e virtù di un personaggio modello

Pubblicato il 18 novembre 2008 da Sara Ceracchi


Anniversari - Gli ottant'anni di Mickey Mouse: vizi e virtù di un personaggio modello

Mortimer Mouse, o Mickey Mouse o Topolino compie ottant’anni e cercheremo di capire qui se è vero che se li porta tanto bene. Non fu la prima creatura del vulcanico Walt Disney (peraltro il noto roditore probabilmente non fu un idea dell’imperatore dei cartoon, ma nacque bensì dalla matita di Ub Iwerks, talentuoso animatore e fumettista associato allo studio Disney degli albori): prima di lui un animaletto assai simile, un certo Oswald Lucky Rabbit, ne aveva anticipato caratteristiche fisiche e cinematografiche. Il buon successo della serie del coniglietto fortunato, dopo quella di Alice’s Wonderland aveva incoraggiato l’artista-imprenditore Walt Disney a proseguire per quel sentiero, fin quando nel 1928 non esplose quello che sarebbe diventato uno dei maggiori successi commerciali della storia del cinema d’animazione e non solo: il 18 novembre in una sala di Los Angeles viene proiettato il terzo cortometraggio di Mickey Mouse, Steamboat Willie, un successo tale che in poco tempo tutti i distributori ne fecero richiesta. Disney si era formato come disegnatore e animatore nel mercato del disegno animato degli anni Venti, che era qualcosa di molto simile alle comiche di Mack Sennett: caratterizzato da disegni rozzi e da animazioni sommarie, forniva con queste sue caratteristiche “plebee” l’immagine deformata e irriverente di una società falsamente rispettabile. Walt Disney però aveva la vista lunga, nel bene e nel male, e invece del cartoon satirico scelse una strada ben più redditizia che da subito caratterizzò la sua produzione, fu la chiave del successo che gli sarebbe sopravvissuta, e che è già chiaramente visibile proprio in Steamboat Willie.

La fortuna del film fu decretata in gran parte dall’uso del sonoro in sink con le immagini, cosa a quei tempi ancora abbastanza rara per i film d’animazione, ma anche da due scelte stilistiche in particolare che da lì in poi avrebbero caratterizzato tutta la produzione disneyana, non solo cinematografica: la cura dei disegni fino ad allora pressoché sconosciuta, accompagnata anche da una notevole attenzione per l’animazione, e l’antropomorfismo di molti oggetti inanimati nonché di tutti gli animali-personaggi. Fino a quando Disney non si darà al lungometraggio di alta qualità, l’essere umano in quanto tale sarà solo apparentemente assente dalla sua filmografia, poiché in realtà l’anima dei personaggi Disneyani, in primis quella di Michey Mouse, è il calco fedele non dell’uomo in generale ma più precisamente dell’ideale cittadino statunitense. Che sia un mozzo come in Steamboat Willie, un detective come più di recente, o solo il fidanzato di Minnie, Topolino vive e trasmette un atmosfera rassicurante, dove ogni cosa, torna sempre al proprio posto, qualsiasi sconvolgimento avvenga; ligio alle regole, fedele agli amici, giusto e a volte anche magnanimo coi nemici, amico della polizia, patriota e a suo modo religioso, in ottanta lunghi anni Topolino ha sempre rappresentato l’ideale del cittadino occidentale, niente vizi e tutto virtù. Anche la sua lieve comicità, agli inizi certo meno rigida di quanto sarebbe diventata col tempo, anche nei risvolti più prossimi alle sbracate slapstick comedies, risultava e risulta comunque dentro gli schemi, e perdonabile in ogni piccolo eccesso. Così come Topolino tutti gli altri personaggi dell’umano zoo disneyano sono alla fine dei buoni diavoli: i cattivi tanto cattivi non sono, se sbagliano vanno in carcere pur essendo subito fuori nel cartoon successivo, e in ogni caso non si corrono grossi pericoli dato che la morte non esiste nel mondo topolinesco. Fin dagli albori però questa “American Way of Life” dei personaggi Disneyani iniziò ad essere presa per i fondelli da altre produzioni, come quella dei fratelli Fleischer o come quella dell’UPA (United Productions of America) di Stephen Bosustow, per non parlare di tutta la produzione di Tex Avery, le quali in mille maniere mettevano in ridicolo quello che nella scuderia Disney era diventato un vero e proprio star system, negli anni sempre meglio assestato su tematiche e personaggi dalle caratteristiche più che prevedibili. Quel che è accaduto, da lì in poi, fino al disincanto più completo di capolavori dell’animazione moderna come Toy Story, è stato un calo a picco dell’età massima entro cui godere appieno dell’atmosfera rassicurante delle fiabe Disney: ossia con l’aumentare a dismisura dell’offerta mediatica, con le trasformazioni sociali, col crescere dell’istruzione e con essa dei dubbi esistenziali, la classicità del prodotto disneyano si rivela adatta ad un pubblico sempre più giovane e non ancora disilluso da quei percorsi di vita consigliati da Topolino e company. Ottant’anni dunque, non solo di Mickey Mouse, ma di un modo preciso di intendere l’animazione e quel relativo mercato che quasi da subito ha visto nell’infanzia una miniera d’oro cui attingere da ogni punto possibile, grazie all’onestissima copertura delle buone intenzioni: l’impero nato da Topolino, anche se cinematograficamente e televisivamente si trova ormai circoscritto a una ristretta fascia d’età, continua a mietere successi grazie ad accordi strategici –come quello con Pixar- e agli altri numerosi canali commerciali come fumetti, parchi a tema, e negozi di gadget, che toccano non certo il solo mondo infantile. Un vecchio topo in gran forma quindi, che prende una bella pensione, anacronisticamente chiuso nel proprio universo di certezze, impresso a fuoco nell’immaginario collettivo occidentale e non. Finché ci saranno bambini con la possibilità di seguirne le gesta certamente continuerà a non sapere cosa sia la morte, e prima che le sue inesauribili potenzialità commerciali si vedrà sempre la sua ormai istituzionale adorabile antipatia.

Ub Iwerks al lavoro su Mickey Mouse nel neonato studio Disney

Il primo garage dove Disney iniziò a sperimentare le sue animazioni


L’immagine dell’articolo è tratta dalla Vignetta di Sara Ceracchi. Per vedere l’intera vigntta clicka qui


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