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Anniversari - Venticinque anni senza Ingrid

Pubblicato il 2 settembre 2007 da Alessia Spagnoli


Anniversari - Venticinque anni senza Ingrid

Venticinque anni fa se ne andava in punta di piedi, nell’esilio della sua casa londinese, la cittadina del mondo Ingrid Bergman: ma lasciava generosamente dietro di sé la sua personale “valigia dei sogni”, ricolma di film più o meno memorabili, ma impreziositi sempre da personaggi resi indelebili dallo straordinario calore umano che seppe prestar loro.
Ingrid fu un concentrato di affascinanti contraddizioni: Selznick, il celebre produttore di Via Col Vento e suo talent scout per l’America, dichiarò anni dopo di sentirsi in qualche modo colpevole per averle cucito addosso l’immagine di “Santa Ingrid”, ai tempi dell’affair Rossellini. Negli anni ’40 – quelli delle velenose femmes fatales Barbara Stanwyck, Lana Turner, Gene Tierney, Rita Hayworth e Veronica Lake o delle pericolose bellezze in erba di Ava Gardner e Lauren Bacall – fu difatti lei la diva più amata dagli americani, l’unica in grado di elevare se stessa a sacrifici di inaudita portata, immolandosi ogni volta con coraggio per la giusta causa (da Intermezzo a Casablanca).
La morbida chioma di un biondo naturale e il trucco leggero che esaltava i suoi “rassicuranti” lineamenti angelicati, rappresentavano tutto l’opposto del pesante make-up, poniamo, di una Turner allora in voga, e furono concausa del suo “type-casting” come personaggio per lo più positivo. Il suo volto è stato uno dei più radiosi di Hollywood: i grandi occhi chiari e la bocca dai contorni morbidamente disegnati potevano rischiarare o rendere sprezzante in un lampo dei tratti che si sarebbero detti altrimenti benedetti dalla grazia (si pensi all’infinita dolcezza che seppe trasfondere all’ingenua Maria di Per chi suona la Campana?). A dispetto della marcata tendenza dei produttori a costringerla in ruoli da martire, ella riuscì a divincolarsi caparbiamente dalle attese che la circondavano, tanto che le fu possibile interpretare una galleria di personaggi che lascia di stucco, a volgersi indietro: fu sì Santa (Giovanna d’Arco rappresentò il suo addio alle scene a Hollywood e poi, ancora, a Rossellini), ma anche prostituta, missionaria, pianista, spia, infermiera, partigiana, suora, principessa ecc...
I registi facevano a gara per accaparrarsi questo fresco talento proveniente dal Nord Europa, tanto che nel primo periodo hollywoodiano venne coniato il proverbio: “Incredibile: oggi ho visto un film senza la Bergman!” Eppure non fu mai star inavvicinabile, arcana come la “Divina” connazionale Garbo (della quale venne proposta inizialmente come l’erede: e oggi nulla suona più assurdo). Ella sapeva suscitare, all’opposto, sensazioni molto terrene, sprigionando un’umanità che le altre scintillanti vamp non parevano proprio in grado di avvicinare, seppur pallidamente. La sua fu un’eleganza discreta, anche se ammantata dalla fisicità prorompente della donna: era molto alta e metteva in soggezione diversi suoi partner (Bogart in primis). Quando non per la statura, il “problema” che la riguardava era rappresentato dal suo eccezionale talento, come nel caso del pur aitante Gregory Peck ("lamentato" sul set di Io Ti Salverò).

Eppure, la Bergman era ancora insoddisfatta e nell’affannosa ricerca di qualcos’altro, giunse per lei la visione di Roma Città Aperta e Paisà: fu un’autentica folgorazione. Lei ricordava soprattutto le diffuse zone d’oscurità impenetrabile che inghiottivano cose e personaggi sullo schermo: ciò che sarebbe risultato inconcepibile in un film hollywoodiano. Ancora scossa, l’attrice inviò una lettera vibrante ammirazione a Rossellini – un’epistola che sarebbe diventata in seguito celeberrima – e che iniziava così: “Se le occorre un’attrice svedese che parla molto bene l’inglese, che non ha dimenticato il suo tedesco, che quando si esprime in francese non è molto comprensibile e in italiano sa dire solo “ti amo”, sono pronta a venire a fare un film con lei”. Forse meno nota fu la risposta di un altrettanto commosso oggetto di tale entusiasmo, affidata ad un telegramma recitante: “Ho appena ricevuto con grande emozione la sua lettera che, proprio nel giorno del mio compleanno, giunge come il dono più gradito. E’ da molto tempo che io sognavo di fare un film con lei e da questo momento farò di tutto perché questo sogno diventi realtà”.
Anche il seguito fu romanzesco e destò altrettanto scalpore: la focosa Magnani, allora compagna del regista, che appresa la notizia dell’arrivo dell’attrice rovesciò sui pantaloni di Rossellini un piatto di spaghetti. Poi l’arrivo della diva di Hollywood in Italia che rimase impresso a Fellini, il quale si servirà di quel ricordo per la scena memorabile dell’approdo “paparazzato” della Ekberg all’aeroporto ne La Dolce Vita. E ancora, l’enorme scandalo internazionale della relazione extraconiugale per entrambi e del figlio nato fuori dal matrimonio (Robertino). Ma le conseguenze private furono ben più gravi della famosa scomunica da parte del senatore americano Edwin C. Johnson, che definì l’attrice una donna di “potente cattivo esempio”, mentre la stampa la bollò come “l’apostolo di Hollywood per il degrado morale”: l’attrice perse difatti l’affidamento della prima figlia, Pia, nata dal suo precedente matrimonio con il dentista Peter Lindstrom e il diritto di incontrarla.
Tuttavia, la sua vita privata fu molto travagliata fin dal principio e segnata da ripetute sofferenze: a soli tre anni perse la madre, a tredici anche il padre e venne adottata da parenti. Ma, fortunatamente per lei, la passione per la recitazione si rivelò precocemente e fu in virtù di questa che potè spiccare il volo dalla natìa Stoccolma dapprima alla volta di Los Angeles, e poi Roma e mezza Europa.

I suoi personaggi rosselliniani permangono tra i più intensi e sofferti ritratti di donna mai offerti dal cinema. Si tratta di ruoli assai complessi, antidivistici e inediti fin lì, per lei, che se la cavò comunque egregiamente, sostenuta dal vigoroso talento di cui riuscì finalmente a dar prova. La rifugiata cecoslovacca Karin di Stromboli (qui si può apprezzare la sua voce originale e il suo accento nordico), la tormentata, dolente Irene di Europa ’51 (il primo piano finale sembra scavarle l’anima, il suo volto sembra farsi trasparente sotto il nostro sguardo e i meriti del regista e dell’interprete si fondono in uno dei momenti più “miracolosamente” alti di cinema), le commoventi mogli insoddisfatte Katherine e Irene di Viaggio in Italia e La Paura.
I titoli girati insieme al regista italiano vennero salutati da subito come il contributi più significativi al cinema moderno unicamente da parte degli “illuminati” giovani dei Cahiers du Cinema, mentre si rivelarono dei disastri ai botteghini, tanto da concorrere a decretare lo sfaldamento del rapporto di coppia. Anche questo secondo matrimonio naufragò, secondo le parole della stessa attrice (affidate alla bella autobiografia scritta a quattro mani con Alan Burgess) a causa dei ripetuti insuccessi dei film girati insieme: “Se Roberto avesse realizzato almeno un film di successo con me, il nostro matrimonio si sarebbe salvato. Io lo capivo, ma non potevo cambiare la situazione. L’orgoglio di Roberto era stato ferito; tutto sembrava congiurare contro i suoi propositi ed era un boccone difficile da digerire per un uomo di talento come lui”.
Questa nuova separazione fu ancora più dolorosa, eppure Ingrid riuscì nuovamente risollevarsi trionfalmente. Dopo Hitchcock e Rossellini, divenne strumento ideale nelle mani capaci di altri maestri del cinema che esaltarono al meglio l’ormai comprovato talento della sua maturità artistica: Renoir, Donen, Minnelli, Lumet, Bergman.
Superbo canto del cigno ed insieme ennesima ardua sfida vinta dall’attrice, fu proprio Sinfonia d’Autunno, diretto dal recentemente scomparso e suo illustre omonimo Ingmar Bergman. Il contrasto di stili recitativi tra la matura diva e la giovane, dimessa Liv Ullman produsse sullo schermo quelle stesse deflagrazioni auspicate dal Maestro. Il suo ruolo di disamorevole madre fu perfino doloroso stavolta, per lei che aveva dovuto rinunciare a vedere la primogenita ai tempi del suo primo divorzio. Ingrid era reduce da un intervento chirurgico e da una devastante chemioterapia per il ricomparso tumore al seno, ma il suo impegno risultò totale e commovente. Ingmar e Ingrid, conquistati l’uno dall’altra, facevano progetti per tornare a lavorare insieme: ma la malattia dell’attrice, stavolta, non le lasciò scampo e ci strappò per sempre una delle più grandi interpreti di sempre. Il mix di fascino e bravura di questa “creatura nata” – come fu scritto – “da un sogno di Ibsen” si fa rimpiangere oggi ancora di più.


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