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The edge

Pubblicato il 19 luglio 2016 da Alessandro Izzi
VOTO:


The edge

In mezzo al nulla di una foresta di quelle che ci sono solo in Russia, coperta in inverno da un manto uniforme di bianco silenzio, passa, solitaria, la rotaia di una ferrovia.
Sembra che un solo treno l’attraversi di notte, nel buio: una composta corsa di finestrini illuminati che per un momento illuminano tratti di notte.
Non ci è data una collocazione temporale troppo precisa, eppure questa corsa di luce ha ancora tutto il sapore di una modernità forte, quella stessa che il cinema di regime aveva cantato nei capolavori di Vertov prima, e nel cinema del realismo socialista, poi. Una modernità vista, però, a distanza, dal silenzio di una natura non ancora domata e ricondotta all’ordine umano.
Per una povera impiegata delle ferrovie la cui unica occupazione è quella di controllare il giorno che il binario sia a posto e accompagnare, la notte poco dopo le otto, la corsa del treno con il paletto verde del via, quel fischio che risuona nell’oscurità e quelle luci che rombano sono, piuttosto, la vita che passa.
Quella degli altri perché la sua, di vita, questa donna pienotta e dall’espetto abbastanza insignificante, l’ha sacrificata a un lavoro portato avanti con pazienza solerte, ma con sempre meno entusiasmo nelle ossa e negli acciacchi di un’età che aumenta e non lascia scampo.
Al lavoro attento e pericoloso, il cui peso è reso dall’unica macchia di colore bruciante sulla superficie di un bianco e nero assai espressivo (è l’arancio elettrico della giacchetta catarifrangente che indossa quando va sul binario) si aggiunge però, un bisogno quasi scherzoso di femminilità.
Così la donna, prima dell’arrivo di quell’unico treno che spezza una routine con il suo orario anch’esso fisso, si prepara come dovesse andare a un ballo. Mette, quindi, sotto la giacchetta dell’impiego un bel vestito elegante (per quanto possa essere elegante un abito alla portata delle tasche di una dipendente che non spera nemmeno in un trasferimento), un rossetto sgargiante (l’altra bella macchia di colore) e scarpe con i tacchi. Poi, dopo essersi allungata e ricomposta le ciglia con una bella nota di nero, raggiunge quel treno che accoglie con un sorriso che è un invito non tanto a essere guardata, quanto piuttosto a essere vista.
Invito che si perde nella notte, ma che si rinnova tutti i giorni con la stolida poesia di chi, annaffiando tutti i giorni un pezzo di legno conficcato nel terreno, si aspetta che prima o poi fiorisca. Una forma di preghiera che solo i russi che hanno mangiato pane e Dostoevski tutta una vita sanno rendere autentica e senza impressioni posticce.
Il miracolo che accade è, però, un altro: mentre la donna si trucca, una distrazione e ogni preparativo finisce nel disastro.
La routine, spezzata nel modo più traumatico, rivela un vuoto esistenziale che nemmeno i fiori raccolti nei campi all’inizio del corto riescono a riempire di significato e quel treno, passato tutti i giorni, in realtà si rivela per quello che è veramente: un Godot che si aspetta e non arriva mai.
The edge rivela nel tocco narrativo una scrittura sapiente e raffinatissima, capace di filtrare la lezione del cinema del passato in uno sguardo niente affatto superficiale.
Attraverso un disegno dal tratto estremamente espressivo, con la sua vocazione al carboncino che è perfetto a dividere bianchi e neri in mezzo a infinite sfumature di non detti, la regista, Alexandra Averyanova, impone un magnifico sguardo femminile non solo al personaggio principale, ma anche agli ambienti colti con spirito lirico e con quei salti di tono che ricordano, fatte le debite proporzioni, il cinema di un Tarkovski minore, meno attento alla sfondo sociale e più attento ad affacciarsi sugli abissi di un cuore troppo solo che batte più forte solo alla speranza di un incontro impossibile con un altro che ci passa acanto troppo veloce e per cui non si può essere più che una macchia di colore confusa nella notte.
Alla straordinaria tensione del tessuto visivo si accompagna poi una altrettanto straordinaria cura nella costruzione dell’universo sonoro che miscela e spezza emozioni.
Da questa notevole somma di elementi viene fuori un poemetto di grande suggestione che è destinato a lasciare un segno nella storia del genere e non solo.

Tweeting: Straordinaria sonata autunnale sulla solitudine e sul bisogno di un incontro.

Where to: Vincitore della sezione CortoAnimation al Festival Visioni Corte di Minturno.


(В Стороне); Regia: Alexandra Averyanova; origine: Russia, 2016; durata: 12’


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