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Band of brothers

Pubblicato il 27 febbraio 2003 da Alessandro Izzi


Band of brothers

È sintomatico come proprio in un periodo come questo, dominato dall’idea di guerre chirurgiche e “pulite”, il cinema e la televisione (o, perlomeno, una parte del cinema e un’ancor più esigua parte della televisione) cerchino di riappropriarsi, se non altro, del ricordo di quelle guerre che furono confusione di polvere e sangue, di quelle battaglie in cui a combattere non erano le astratte lucine di una mappa da stratega o i lampi notturni dei bombardamenti “mirati”, ma la fisicità dei soldati, la carne da cannone delle truppe.
Una nuova retorica, quella ricercata dai nomi che contano del nuovo cinema non solo hollywoodiano, che affonda le sue radici di profonda poesia, in un realismo accorato, smarrito come uno sguardo impaurito (che è poi lo stesso di quei soldati mandati al macello) tra le carcasse di pesanti carri armati e in mezzo alle trincee scavate nel freddo. Un modo diverso di concepire la guerra, lontano (ma non poi troppo a volte) da facili eroismi di personaggi di cartapesta, in cui il soldato tutto d’un pezzo alla Rambo, viene sostituito da un coro di testimoni attivi che si limitano a fare il loro mestiere delle armi, subendone le dolorose conseguenze. Alle parole scontrose di gerarchi e ufficiali si sostituiscono, pian piano, il rombo soffocante dei pesanti aerei del secondo conflitto mondiale e il suono brutale delle armi di fuoco che saettano anonime. Riappropriandosi per un momento delle disperate cronache di guerra, rese immortali dai celebri versi di un Owen che scrisse alcune delle sue poesie più sarcastiche e tragiche proprio dentro una trincea, i registi come Malick, Spielberg e, in misura minore Scott (Black Hawk Down) riscoprono, contro la retorica guerrafondaia ci certo cinema dell’era Regan (ed ora Bush), quel “stuttering rifles’ rapid rattle” (letteralmente: rapido rantolo di tartaglianti fucili, dalla celebre poesia di Owen What passing bell) che sempre più tendiamo a dimenticare.
Su questa linea vuole innestarsi anche Band of Brothers: una piccola serie televisiva in dieci puntate che ripercorre, anche a livello iconografico, la traccia già inaugurata da Spielberg (qui impegnato, insieme con Tom Hanks che dirige come regista la quinta puntata, in veste di produttore) in quell’ottimo film che è Salvate il soldato Ryan. Quello portato avanti all’interno del progetto del format della serie, è prima di tutto un lavoro sulle fonti piuttosto accurato. La ricostruzione di ambienti e situazioni, legate tutte alle gesta della compagnia di paracadutisti denominata Easy e impiegata nella vittoriosa campagna in Normandia, segue un filo documentario che è abbondantemente testimoniato dal fatto che ogni puntata si apre con parche (ma spesso solamente emotive) interviste ai sopravvissuti della spedizione.
Quest’attenzione filologica è cosa assai rara, soprattutto nel contesto televisivo, e basterebbe già da sola a fare la dignità di un’opera che si muove in un solco assai riformista rispetto ad analoghi prodotti dedicati alla guerra o alla vita nell’esercito. Tralasciando sitcom o telefilm che fanno della vita militare solo lo sfondo anormale di scontate saghette domestiche (sul modello di Major Dad, perennemente in programmazione su Italia 1), la televisione era stata, infatti, fino a questo punto, dominata da un modello di racconto perfettamente integrato in un solco alla John Wayne contraddetto solo dalla notevole eccezione dell’acre critica di una serie come Mash (non a caso derivata da un capolavoro di Robert Altman).
Il lavoro registico su cui si sostanziano tutti gli episodi è spesso di primissimo ordine con soluzioni di fotografia (ad un passo dal monocromatismo di ascendenza documentaria) e di modo di ripresa (accelerazioni inaspettate di macchina che arrivano a sfiorare, ma se ne tengono lontani, i dodici fotogrammi al secondo toccati da Spielberg per la straordinaria sequenza di Omaha beach in Ryan) che fanno la loro prima apparizione in un contesto puramente televisivo.
Certo gli episodi non raggiungono vertici di decentramento della messa in scena e, anche se in alcune sequenze il montaggio si fa abbastanza scoordinato (perdendo il filo di un raccordo regolare delle varie inquadrature), il racconto riesce comunque a mantenersi nei limiti di una leggibilità classica.
Al di là di certe rare soluzioni classicheggianti, Band of Brothers resta, comunque, un tentativo assai originale di ampliare le dimensioni del piccolo schermo verso gli epici orizzonti della Storia e verso la larga scala del racconto cinematografico. Decisamente non è poco (soprattutto, qui, nel bel paese delle Veline).


(Band of brothers); regia: autori vari; sceneggiatura: Erik Jendresen e Tom Hanks da un libro di Stephen E. Ambrose; fotografia: Remi Andefarasin, B.S.C.; montaggio: Billy Fox, A.C.E.; musica: Michael Kamen; interpreti: Kirk Acevedo, Jimmy Fallon, Colin Hanks, Damian Lewis, Peter McCabe, David Schwimmer, Donnie Wahlberg, Rick Warden; supervisori effetti speciali: Angus Bickerton, Mat Beck, A.S.C.; produzione: HBO, Dreamworks e Playtone produttori esecutivi: Steven Spielberg, Tom Hanks

vincitore di sei EMMY AWARDS per

1) miglior cast 2) miglior regia 3) miglior miniserie 4) miglior montaggio 5) miglior montaggio sonoro 6) miglior mixaggio sonoro

messa in onda: da giovedì 23 gennaio 2003 (tutti i giovedì); rete: Rete 4; orario: 23:00


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