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Barrage

Pubblicato il 11 febbraio 2017 da Fabiana Sargentini

VOTO:

Barrage

Al cinema da sempre imperversano le madri cattive. Che siano interpretate da Joan Crawford o da Bette Davis, nei film c’è tutto un armamentario di donne che allontanano le figlie o, come in questo caso, una bella donna che allontana una figlia tossica che avuto già un bambino, rendendola nonna molto precocemente. È vero. Esiste una una componente malata della maternità che può esplicitarsi come rifiuto dei figli, senso di inadeguatezza, conseguente voglia di distruggere e distruggersi. Può trattarsi di donne che non erano pronte a diventare madri, può trattarsi di un momento particolare nella vita di una donna che viene acuito in maniera sproporzionata da un avvenimento così sconvolgente come una nascita, può trattarsi di altro. Che siano fenomeni psicologici da studiare, quelli che producono questi effetti, è evidente: non sempre è necessario farlo con un film. La cronaca pullula di storie così, ogni madre scherzando dice "chi non ha mai vissuto un quarto d’ora alla Franzoni", ridacchiando sotto i baffi.
Ciò detto il film francese Barrage, opera seconda di Laura Schroeder, giovane regista del Lussemburgo, già dal titolo - che significa diga, sbarramento, simbolicamente blocco - un film con pregi e difetti.
Christine, la protagonista centrale, la madre cattiva che se n’è andata, è interpretata da un’attrice di una trentina d’anni che corrisponde al nome di Lolita Chammah, identica spiccicata, tale e quale alla giovane Isabelle Huppert (nonché la reale figlia), che interpreta infatti la nonna giovane, che si è presa cura per un decennio di Alba, la nipotina abbandonata (Thémis Pauwels).
La Chammat possiede una monoespressione di stupore, di stonatura in parte dovuta alle pasticche che inghiotte senz’acqua, occhio sbarrato bocca leggermente aperta, trito rimpianto e anche nei momenti in cui vuole essere comica resta statica, immobile nei lineamenti. Una scelta di direzione dell’attrice un po’ banale. Come l’uso della musica, quasi sempre cantata in inglese, in cui il testo risulta importante allo scorrere delle immagini e forza notevolmente la scelta di un registro di tensione. Questo trio di donne, la nonna la madre la figlia tutte simili, quasi uguali, soprattutto le prime due, un cerchio che si chiude, un serpente che si morde la coda, una possibilità di passaggio di esperienza di vita di madre in figlia mancato, si esplicita nella nonna che ripete i modelli educativi che con la figlia hanno fallito, disciplina ferrea e rispettiva dello sport (il tennis - ragione per cui sia la nonna che la madre hanno, di schiena, la spalla destra più alta della sinistra), di ambizione, di carico di aspettative sulla nipotina, che sembra avere una tempra maggiore e, forse, essere in grado di sopportare quei ritmi. Ma questo tipo di coazione a ripetere mandano in bestia Christine (quanto può andare in bestia un viso senza espressione). L’occasione di riallacciare un rapporto con la figlia passa attraverso un rito di passaggio violento, la morte del piccolo cane Charbon, carbone, compiuta per incidente ma per colpa della ragazzina, che la madre, da donna matura che dovrebbe essere, trova il modo di far diventare un momento di incontro con la scelta di seppellirlo insieme in un luogo speciale nel bosco, fare sopra la terra una bella tomba con dei sassi e dei fiori. La madre, dopo il lutto dell’animale, conduce un po’ forzatamente la bimba in un cottage di campagna familiare, dove la nonna non l’ha mai portata, un po’ un sequestro in un certo senso. In questo luogo c’è un lago, dove la madre quando era bambina, amava fare il bagno, giocare e andare a guardare la diga, le barrage del titolo, uno sbarramento, una separazione, una chiusura per i pesci, luogo simbolico per le due donne giovani di raccolta di pensieri, di tentativi di avvicinamento, luogo determinante allo svolgersi del finale in cui le tre donne, in qualche modo, traumaticamente si riavvicinano. Ambizioso. Fastidioso. Leggermente prevedibile. Un’opera prima interessante, con potenzialità inespresse.


CAST & CREDITS

(Barrage); Regia: Laura Schroeder; sceneggiatura: Marie Nimier, Laura Schroeder;fotografia: Hélène Louvart; montaggio: Damien Keyeux; musica: Petra Jean Phillipson; interpreti: Lolita Chammah, Thémis Pauwels, Isabelle Huppert, Charles Müller, Elsa Houben, Marja-Leena Juncker, Luc Schiltz; produzione: Pol Cruchten, Jeanne Geiben, Sebastian Schelenz, Sébastien Delloye, Martine de Clermont-Tonnerre; origine: Luxembourg, Belgium, France 2017; durata: 112’


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