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Bébé requin

Pubblicato il 25 novembre 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


Bébé requin

L’adolescenza è un periodo di confusioni e di contraddizioni.
Il tempo mitico del ciclo delle ore che, nel ripetersi, riempiva l’infanzia di sicurezze e di stupori, si fa prigione per corpi di colpo troppo grandi, troppo ingombranti, per starsene nello spazio franco della fiaba.
Il sesso trasforma il cerchio della coscienza del bambino in una retta che, inesorabile, avanza verso la sua meta. E i rapporti si intorbidano, diventano incerti, pieni di non detti che strozzano gli affetti, che si chiudono in egoismi lacerati e dolenti.
Raccontare l’adolescenza, in fondo, è raccontare questa incertezza esistenziale, questa precarietà costante di affetti e sentimenti. Perché nulla è certo quando anche il proprio stesso corpo si trasforma e sembra avere un’esistenza sua, che a stento si controlla e, spesso, è più forte di noi.
I rapporti di amicizia si incrinano a fronte dei bisogni nuovi, apparentemente irrefrenabili del proprio corpo. L’amico fedele di un tempo, quello con cui condividevi ogni singolo momento di gioco ed anche i primi spaesamenti dell’erotismo, diventa un ingombro quando il desiderio per un’altra o per un altro comincia a mettere radici. E così passi dai momenti in cui ancora cerchi il vecchio compagno di giochi a quelli in cui lo preferisci testimone al palo di altri giochi, di altre bramosie.
E cosa accade all’amico lasciato in disparte? Cosa succede al ragazzo (o ragazza) che nell’amico ha ancora quasi tutto e non sa rassegnarsi a vederlo prendere il volo? Cosa succede a quell’amico che magari confonde anche la nostalgia per l’amicizia antica per un’attrazione di altro tipo? O cosa accade a quell’amico che cominciava a desiderare di più dal suo compagno e non può risolversi a chiederlo perché l’altro è impegnato con un’altra?
Per quest’ultimo si moltiplica il senso di spaesamento e l’impressione di essere inascoltato. Lui che non capisce fino in fondo cosa prova per il vecchio compagno dell’infanzia, si sente al tempo stesso non capito.
L’adolescenza è sempre una disperata ricerca di contatti, di abbracci, di baci, di comprensione e di affetti. È desiderio di essere ascoltati, capiti, coccolati e accolti anche e soprattutto in quei momenti in cui siamo noi i primi a non riuscire ad ascoltarci, capirci, coccolarci e accoglierci.
Ma in questi casi di rapporti che si dissolvono, con l’amicizia messa da parte dalle prime cotte, dall’amore, del bisogno del corpo di un altro che dia riposo al continuo sfregare del nostro corpo in vestiti sempre più piccoli, il senso di disperazione si moltiplica.
All’inizio del corto un ragazzo entra in casa di due amici che stanno insieme da relativamente poco. Lui gioca, in mutande, ad un videogioco. Lei lo guarda. Non comunicano più di tanto, ma trascorrono il tempo come vecchi amici. Il sesso c’è già stato, ora c’è lo svago, annoiato e stanco. Il ragazzo chiede un pompino prima al vecchio amico che quasi quasi si presta pur continuando a giocare, poi a lei. Il bisogno di condivisione passa per qualsiasi direzione. È un’esigenza che non cerca oggetti. Un disperato star solo che chiede compagnia. Ma il ragazzo e la ragazza continuano a starsene sul divano. Lui a giocare, lei a guardarlo giocare. I tentativi si spezzano nell’eterno campo fisso, soggettiva assurda dalla televisione del videogioco. Come a dire che il gioco siamo noi e il joystick che ci guida sono le pulsioni che non riusciamo a contenere.
Poi cambiano scene e ambientazioni. In una scuola. Un corridoio. Un ragazzo aspetta un vecchio amico che esce dalla classe a braccetto della sua ragazza. I tre si avviano nel corridoio. Il primo parla animatamente di cosa potrebbero fare, gli altri due lo ignorano imboccando le scale. La scena si ripete una, due, tre, infinite volte. Sempre diversa eppure sempre uguale.
La fame di affetti ci fa tutti piccoli squali in cerca di prede nel vasto indifferente mare. Come gli squali dobbiamo continuare a muoverci e a nuotare. Smettere equivarrebbe a morte. E però le nostre vite sono acquari per pesci piccoli in cui cominciamo a sentirci stretti.
È questa sensazione che Pascal-Alex Vincent riesce ad afferrare in questo corto. Il linguaggio si piega all’esigenza del narrare e ogni spazio si trasforma in modulo in cui le azioni si ripetono in attesa di un’esplosione di rabbia che tarda sempre ad arrivare e che ci lascia, poi, con l’amaro in bocca.
Probabilmente il corto non è perfettamente calibrato. C’è un salto strano tra i primi due episodi e la conclusione attesa. Però l’adolescenza viene cantata con un tale grido congelato che non lascia indifferenti.

Tweeting: Un corto, forse, non perfetto, ma sincero sull’adolescenza e le sue mille laceranti contraddizioni.

Where to: È stato a Cannes, ma lo si trova su Vimeo in francese con sottotitoli in inglese.


(Bébé requin); Regia: Pascal-Alex Vincent; sceneggiatura: Pascal-Alex Vincent; fotografia: Mathias Raaflaub; montaggio: Dominique Petrot; interpreti: Adrien Jolivet, Emmanuel Delabre, Victor Carril, Pierre Moure, Claire Michaud, Mike Guermyet; produzione: Marie Agnely, Nicolas Brevière; origine: Francia, 2005; durata: 15’


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