Berlinale 2015 -Presentazione

Si annuncia di particolare interesse il concorso della 65esima Berlinale. Sono in tutto 23 i film presenti nella rassegna principale (3 fuori concorso), di questi 14 sono coproduzioni: da un minimo di due paesi partecipanti a un massimo di cinque nazioni coinvolte. Uno degli sforzi coproduttivi più complessi è rappresentato dal film di esordio di Laura Bispuri con protagonisti una Alba Rohrwacher ancor più consunta che in Hungry Hearts e la star dei teatri berlinesi Lars Eidinger (n questi giorni esordirà con Riccardo III, biglietti esauriti da mesi) intitolato Vergine giurata, oltre a capitale italiano il film si avvale di coproduttori tedeschi, svizzeri, albanesi e kossovari. L’Italia torna dunque alla Berlinale, dopo che nel 2012 aveva vinto con il film dei Taviani.
Fra i grandi nomi presenti nel concorso: Werner Herzog con Queen of the Desert, il film su Gertrude Bell con protagonista Nicole Kidman, Wim Wenders che riceverà quest’anno l’Orso d’Oro alla carriera, in occasione del suo settantesimo compleanno e che fuori concorso presenta la sua ultima fatica americana, Everything will be fine con Charlotte Gainsbourg e James Franco (protagonista anche del film di Herzog, oltreché di I am Michael, film indipendente americano incluso nella sezione “Panorama”), Peter Greenwaay con un Eisenstein in Guanajuato che incuriosisce non poco, Jafar Panahi con una docu-fiction iraniana interpretata dallo stesso regista intitolata Taxi (speriamo bene) e soprattutto Terence Malick con l’attesissimo Knight of Cups con il trio Bale-Blanchett-Portman.
Da segnalare inoltre, dopo il successo mondiale di No, il nuovo film di Pablo Larrain intitolato El Club, nonché alcuni ottimi aficionados della Berlinale come la regista polacca Malgorzata Szumowska con Body oppure la stessa Isabel Coixet, a cui è affidato l’onore di aprire il concorso (Nobody wants the night con Juliette Binoche, un film di ambientazione artica; Coixet è la seconda donna cui a Berlino viene riservato quest’onore, la prima era stata Margarethe von Trotta nel 1995 con il non indimenticabile La promessa). Fra i tedeschi della generazione di mezzo ritroviamo un habitué come Andreas Dresen con il film tratto da un grande successo letterario (tedesco) degli ultimi anni Als wir träumten, sulla malavita giovanile di Lipsia negli anni a cavallo fra DDR e Germania riunificata, Oliver Hirschbiegel, il regista della Caduta, di nuovo con un film hitleriano, stavolta su Georg Elser, lo sfortunato attentatore che nel 1939 avrebbe dato un corso completamente diverso alla storia europea e alla seconda guerra mondiale. Meno noto il più giovane, il terzo (ma contando Herzog e Wenders: il quinto ) tedesco, Sebastian Schipper con un film ambientato nella movida berlinese intitolato Victoria. Da segnalare almeno tre remake su altrettanti (personaggi) classici: Cinderella di Branagh (fuori concorso, anche qui Cate Blanchett); Mr. Holmes di Bill Condon con Ian McKellen (anche questo fuori concorso) e per la terza volta - dopo Jean Renoir (1946) e dopo Luis Buñuel (1964) – il Journal d’une femme de chambre, tratto da Mirbeau, stavolta il regista è Benoit Jacquot e i protagonisti Léa Seydoux e Vincent Lindon. Ci aspettiamo molto dai registi un po’ meno noti, come succede spesso alla Berlinale, per esempio da Alexey German Jr. che presenta una coproduzione ad alta tensione politica, ossia russo-ucraino-polacca intitolata Under Electric Clouds (il regista nel 2008 aveva vinto un Leone d’Argento per Paper Soldier) oppure la coproduzione rumeno-bulgaro-ceca diretta da Radu Jude intitolata Aferim! ambientata nell’Europa Orientale verso metà Ottocento. In generale colpisce la quantità (almeno dieci) di film “storici” che coprono quasi due secoli di storia, fino ad arrivare agli anni ’90. Dall’Estremo Oriente, che l’anno scorso aveva fatto una scorpacciata di premi, arrivano tre film: Chasuke’s Journey del giapponese Sabu, il vietnamita Phan Dang Di con Big Father, Small Father and Other Stories e il cinese Jiang Wen con Gone with the Bullets, ambientato a Shanghai negli anni ’20 del Novecento. Da menzionare anche: 45 Years dell’inglese Andrew Haigh con due famosi interpreti Charlotte Rampling e Tom Courtenay, l’ultima volta l’avevamo visto nel pessimo Treno di notte per Lisbona, due anni fa.
Il regista più anziano è il cileno Patricio Guzmán del 1941 (seguito a ruota da Greenaway, da Herzog e da Malick), che con El botón de nácar presenta l’unico documentario, che si annuncia molto malickiano, accolto nel concorso. I più giovani sono tre registi del 1977 Laura Bispuri, il rumeno Radu Jude e il guatelmateco Jayro Bustamante (Ixcanul). E per il Guatemala è una prima assoluta a Berlino.
Qualche osservazione sulle altre sezioni del festival che riserveranno con certezza interessanti soprese, soprattutto sul fronte del documentario. Pescando soprattutto da Panorama meritano una menzione almeno sette documentari, musicali, cinematografici, politici: uno su Faßbinder - anche lui come Wenders, se fosse vivo, compirebbe settant’anni – del danese Christian Braad Thomsen (Faßbinder. Lieben ohne zu fordern), uno su Kurt Cobain (Cobain. Montage of Heck dell’americano Brett Morgen), uno sulla scena musicale di Berlino Ovest degli anni ’80 (B-Movie: Lust & Sound in West-Berlin, firmato da tre registi), uno dell’icona gay della cultura tedesca, Rosa von Praunheim su un karateta vittima di molestie sessuali da parte dei genitori intitolato Härte (Tough Love), il documentario di Walter Salles su Jia Zhang-Ke (Jia Zhang-ke, a guy from Fenyang), uno francese sulla RAF (Une jeunesse allemande) e uno proveniente dalla Groenlandia incentrato su una band anti-colonialista e dunque anti-danese (Sumé – The Sound of a Revolution).
La retrospettiva, oltreché a Wenders, è dedicata al Cinemascope. Con Uomini contro c’è anche un piccolo omaggio a Rosi, recentemente scomparso, che a Berlino era stato omaggiato con l’Orso alla carriera nel 2008. Con Bispuri e Rosi sono in tutto 11 le presenze italiane a Berlino. Da segnalare fra gli altri: un documentario di Francesco Clerici su una fonderia (Il gesto delle mani), ospitato in “Forum”, uno su un (cinematograficamente) famoso ristorante romano Il segreto di Otello di Francesco Ranieri accolto nella sezione “Kulinarisches Kino”.
