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Birdman o delle imprevedibili virtù della musica concreta

Pubblicato il 7 febbraio 2015 da Ludovico Peroni


Birdman o delle imprevedibili virtù della musica concreta

Questa breve riflessione non intende porsi come una delle ennesime – nonché trite – riflessioni sopra la teorizzazione proposta da Pierre Schaeffer a partire dalla possibilità di registrare e riprodurre il suono.
Si vorrebbe in questa sede, piuttosto, invitare il lettore a riflettere sugli attuali sviluppi di questa peculiare tendenza estetica in ambito preminentemente audiovisivo.
Birdman, film che non nasconde la scientificità dell’utilizzo della tecnica di ripresa e del montaggio, ci pone degli interrogativi fondamentali sulla realizzazione della continuità narrativa e del rapporto tra suono diegetico, extradiegetico ed acusmatico.
La colonna sonora continuamente si confonde e si declina nel paesaggio sonoro: le estemporizzazioni alla batteria compiute da Antonio Sanchez e Brian Blade - che a volte si reificano in fugaci ma decisive apparizioni visive del musicista nel film – instaurano un rapporto costante con il ritmo dell’immagine attraverso l’adozione di una pulsazione continua di riferimento desunta spesso da suoni diegetici della scena (ad es. dei passi dei protagonisti, la chiusura di una porta o il ticchettio di un orologio).
Una prima distinzione di opposizione percettiva della colonna sonora avviene per mezzo dell’accostamento stridente tra la musica di Sanchez e brani di musica sinfonica (Mahler, Ravel, Tchaikovsky, Rachmaninoff) che differiscono sia per testura che per logica operativa: non a caso tale stridore è sfruttato appieno per connotare e denotare stati mentali dello schizofrenico protagonista.
Un’estrema cura - come prescritta ancora dall’estetica della musica concreta – è riservata all’editing del suono in relazione alle caratteristiche degli ambienti: il suono viene manipolato attraverso un gioco sapiente di riverberi, filtri ed effetti d’ambiente in modo da permettere ad un banalissimo suono proveniente dalla scena di innescare un processo irreversibile di sviluppo che lo porta a costituirsi dapprima come ritmo, poi melodia per arrivare ad intessersi in un’armonia strutturata.
Magistrale, in questo senso, la sequenza che porta l’ostinato di pianoforte volutamente scordato (percepito dal protagonista all’interno del pub in cui si trova) a svilupparsi un una polifonia di archi e di ottoni col fine pratico di conferire una forte continuità con il “piano-sequenza”, ricreato in fase di montaggio, dal regista.
La logica delle coppie oppositive governa la costruzione della colonna sonora da parte di Alejandro G. Iñárritu così come lo è per l’mmagine e la narrazione: tutto si tiene.
Semplificando la psicologia della Gestalt, possiamo strutturare la percezione del suono in questo film facendo riferimento al rapporto figura-sfondo: dove lo sfondo è costituito dalla pulsazione continua scandita della batteria e dei suoni d’ambiente; come figura invece possiamo leggere le singole declinazioni più strutturate della musica.
La musica concreta, così facendo, acquista valenze spiccatamente narrative, espressive e simboliche: un’avanguardia che riesce a comunicare qualcosa sia all’ascoltatore con l’orecchio più allenato che all’ascoltatore che vive il fenomeno più passivamente.
Consigliamo vivamente di prestare attenzione al film fino al termine della striscia dei titoli di coda dove - con una grande semplicità, ma spessore programmatico notevolissimo - il regista sceglie di compiere l’ultimo atto di questo suo lavoro di strutturazione del materiale sonoro e musicale: sia la traccia delle percussioni che quella orchestrale convivono ancora, ma, per la prima volta, con la stessa logica operativa e compositiva.
Sanchez improvvisa un lungo solo di batteria interagendo con un’altra traccia sonora: costituita praticamente una registrazione della fase di accordatura preliminare dell’orchestra, dove tutti gli strumenti, a partire dagli archi, cercano di intonare perfettamente la nota La.
Questa lunga traccia, che agisce preminentemente rispetto ad i titoli di coda, si conclude con un commento vocale dello stesso batterista Antonio Sanchez subito dopo la conclusione dell’ultimo solo.
Questa chiusa rimanda icasticamente al problema dell’autorialità ed dell’autenticità autografica dell’improvvisazione che assume statuto di opera una volta registrata e, se necessario, editata.
Un parallelismo che, non a caso, giustifica la rocambolesca parabola del protagonista della narrazione dello stesso film: l’affermazione di un’esistenza che passa solo attraverso la registrazione, riproduzione e reificazione della quotidianità grottesca della vita.
Il conferimento di una nuova aura che rischia pericolosamente e costantemente di confondersi tra genio ed “imprevedibili virtù dell’ignoranza”.


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