Boris

“Sarà una provocazione, ma io amo la fiction!”
Una provocazione meramente intellettuale, ma sfida persa già in partenza quando si parla di fiction all’italiana (qui infischiandosene di essere tacciati di inutile esterofilia e sterile altezzoso snobismo). Ma provocare, colpendo efficacemente il bersaglio, è di certo un’arte. Altrimenti tutto assume i contorni di un gioco fine a se stesso e stancamente ripetitivo: come condurre una partita di tennis, ma contro un muro; come costringere Boris Becker a giocare a squash piuttosto che sui verdi prati di Wimbledon.
Boris (presentato alla prime edizione della Festa del Cinema di Roma, nell’ottobre del 2006, ma sotto le mentite spoglie di Sampras) è una sit-com che cerca di essere del tutto particolare, all’interno del panorama televisivo nostrano: trasmessa sul satellite, ogni lunedì in seconda serata, da Fox (canale 110 dell’offerta Sky, repliche il mercoledì e la domenica) è una smaccata presa in giro di quel genere di lavoro di basso artigianato che è la fiction itali(di)ota.
Alessandro è un giovane stagista alle prese con le forche caudine del precariato, preso in quello ’stagismo’ di Stato che dovrebbe preparare i suoi figli per il futuro, ma che, invece, pare volerli divorare. Il ragazzo si ritrova sul set de Gli occhi del cuore 2, il seguito di una serie che è stata fermata alla terza puntata. Qui l’ingenuità del giovane e la sua volontà di rendersi utile e imparare un mestiere si scontreranno con un ambiente cialtrone e cinico, dominato da adulti inadeguati, egoisti e volgari, sovrani (?) fra le macerie di quella che fu Cinecittà, collassata assieme al passaggio di consegne dalla sala al salotto di casa. Tutto è all’insegna di una meschinità che parla con accento romanesco, fedele specchio del precariato mentale dell’intero Paese: attrici cagne inginocchiate davanti al produttore, attori raccomandati dal potente di turno, bellocci che applicano il Metodo come cani, un regista e un direttore della fotografia che forse un tempo sognavano di diventare artisti, un’organizzazione senza soldi. Tutti lavorano senza amore e professionalità, rassegnati a fare del loro peggio per rendersi utili al brutto che traspare da ogni poro televisivo, volenti o nolenti, ma comunque ubbidienti a quel «A cazzo di cane!» che è il refrain ripetuto per ogni puntata (e nella sigla realizzata da Elio e le Storie Tese), felice sintesi di un buttarsi via che sempre funziona nell’attrarre pubblico.
Come ogni parodia che si rispetti, Boris è, quindi, un gioco metalinguistico pieno di rimandi al codice cui appartiene, ma senza quel gusto oltraggioso che si sarebbe sperato di vedere; parla di malatelevisione con un ritmo veloce degno di una striscia, ma procedendo per sottintesi spesso troppo esplicitati, e senza aggiungere nulla di particolarmente graffiante, nonostante la libertà che Sky ha probabilmente assicurato agli autori del progetto, nato per farsi beffe della messe di serialità italiana che caratterizza la concorrente Tv generalista. Ad esempio, citare il critico Antonio Dipollina come “Un cagnaccio, perché semo tutti de sinistra, ma poi parlano sempre male della televisione!” (anche se, invece, su ‘la Repubblica’ di mercoledì 25 aprile ha scritto una recensione comunque benevola…), di certo strappa un sorriso, ma un po’ troppo facile ed estemporaneo.
Per cui se un giorno Boris dovesse lasciare il satellite per piombare sulla televisione terrestre, potrebbe portare una ventata di relativa freschezza, più che di speranza, un po’ di verve forse, ma nessuna vis: quella che manca agli autori, giovani ma non abbastanza arrabbiati.
Non abbiamo ancora detto, però, chi è Boris. È un pesciolino rosso, mascotte del regista René, che dall’interno del suo acquario può solo assistere impotente allo sfacelo che gli si offre tutt’intorno: proprio come lo spettatore della televisione media, stanco di vedere Becker palleggiare contro un muro.
(Boris); Regia: Luca Vendruscolo; soggetto: Luca Manzi e Carlo Mazzotta; sceneggiatura: Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo; fotografia: Daniele Poli; montaggio: Massimiliano Feresin; musica: Giuliano Taviani e Carmelo Travia, sigla composta da Elio e le Storie Tese; interpreti: Alessandro Tiberi (Alessandro, lo stagista), Caterina Guzzanti (Arianna, l’assistente alla regia), Francesco Pannolino (René, il regista), Pietro Sermonti (Stanis, il divo), Carolina Crescentini (Corinna, la star), Carlo De Ruggieri (Lorenzo, lo stagista schiavo); produzione: Wilder per Fox Channels Italy; distribuzione: Fox Channels Italy; origine: Italia 2006; durata: 14 puntate di 25’; web info: Il blog di Boris
