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Buon compleanno TV

Pubblicato il 28 gennaio 2004 da Alessandro Izzi


Buon compleanno TV

C’era una volta, non molto tempo fa, la Televisione. C’era una volta, non molto tempo fa, un’idea di Servizio Pubblico. C’era una volta, non molto tempo fa, un’Italia che aveva davvero bisogno sia della Televisione che del servizio pubblico. Anzi, per dirla meglio, c’era un’Italia che aveva davvero bisogno che la Televisione stessa agisse come un servizio pubblico, che fosse di generale utilità, che insegnasse cose (tra le prime: a scrivere e a parlare), che tentasse di interpretare il mondo, che fosse una finestra aperta sulla realtà circostante. La televisione italiana ebbe il merito di adeguarsi a queste esigenze e alle congiunture storiche che la videro nascere. Seppe inventarsi come Cenerentola delle forme di espressione. Sempre pronta a pagare i suoi debiti al teatro (da cui razziò attori di valore e di nome), al romanzo (da cui trasse spunti per le sue fiction pionieristiche), alla musica (per cui pensò alcuni dei programmi di diffusione più riusciti), la televisione ebbe anche il merito di volersi e pensarsi, spesso, come vero e proprio banco di scuola (ben prima del sorgere utopico delle lezioni sulla rete informatica tra webcam e teleconferenze). Non ebbe mai specifiche pretese di intellettualismo fini a se stesse e cercò sempre di pensare che il suo unico scopo dovesse essere quello di essere Utile. Per imparare qualcosa quando era bene imparare qualcosa, per divertirsi in maniera quanto più possibile intelligente quando era il momento dello svago e del divertimento, per assumere quegli strumenti che avrebbero permesso ad un cittadino consapevole (ah quale utopia!) di affrontare la realtà circostante. Eppure, malgrado la mancanza di pretese, fu palestra di veri e propri esperimenti: ebbe il coraggio, in più frangenti, di inventarsi anche come linguaggio. Eduardo De Filippo che amava intrattenersi in lieti conversari con la televisione e il frigorifero (come ci ha ricordato Pippo Baudo, con bolsa aneddotica, nel condurre la trasmissione di celebrazioni del cinquantesimo compleanno della televisione), seppe reinventarla genialmente come teatro quando si gettò nell’impresa titanica di riprendere le sue migliori piece teatrali. Zavattini ne fece il trampolino ideale per continuare le sue teorie del pedinamento dell’uomo comune. Ronconi ci giocò con ariostesca fantasia e l’elenco andrebbe avanti con troppi nomi e troppe idee per restare ancorati agli spazi di un breve articoletto. Questa televisione ci aspettavamo di veder magnificata nella fin troppo scontata trasmissione di ier sera su RAI UNO. Questa favola volevamo sentirci raccontare prima della buona notte anche nella segreta speranza che i vertici della Rai (che inauguravano ieri anche le trasmissioni del nuovo digitale terrestre) potessero vedere e vergognarsi. Ma della televisione che fu, Pippo Baudo ha saputo, con malcelata accondiscendenza mediatica, raccontarci solo quegli aspetti che più sono vicini alla televisione di oggi. Introdotto da quella memoria storica vivente della televisione che è Mike Bongiorno, il programma è cominciato con un’atroce replica stile quiz show con domande sulla vita del mitico presentatore televisivo rivolte ad altri più giovani conduttori. Ha continuato col ricordarci che la televisione è stata varietà (perché oggi la televisione è solo varietà, e della peggior specie). Ha ripetuto due volte una sigletta cantata, per la nostra goduria, da Heather Parisi, Lorella Cuccarini e dalle gemelle Kessler. Ha improvvisato Paolo Bonolis cantante, ha ricordato Renato Zero cantante e ha messo in scena balletti e canzonette che non erano quelli del recente passato, ma riedizioni di un triste presente. Tutto di fronte allo sguardo condiscente dei vecchi ex direttori dell’azienda RAI, mummie di uno spesso glorioso passato, e ai direttori in carica, mummie anch’essi, ma di un presente senza nerbo alcuno. Non la celebrazione della RAI che fu, insomma, ma della RAI che è. Perché non c’era una volta, ma c’è oggi una televisione che annaspa nel mercato concorrenziale intascando, al tempo stesso, i soldi del canone. Non c’era una volta, ma c’è oggi una televisione che non pensa più di dover essere un servizio Pubblico, ma che, da anni e ben prima del Governo Berlusconi (ma con Berlusconi tutto è andato peggio) è serva di un potere servo e pecoreccio. Una televisione che censura i suoi programmi senza avere quell’intelligenza, che aveva avuto un tempo, di censurarli prima di mandarli in onda. Non c’era una volta, ma c’è oggi, una società italiana massificata per cui la televisione è solo diversivo e il servizio pubblico solo un ostacolo da aggirare per perseguire i propri biechi interessi (e che, per carità, la televisione non cerchi di pensarsi come pubblico servizio!) E fa male raccontarsi, di notte, questa nuova favola.

regia programma: Gino Landi; conduzione: Pippo Baudo; musiche: Pippo Caruso; scenografie: Gaetano Castelli; costumi: Silvia Frattolillo; fotografia: Carlo Lucarelli; direttore di produzione: Marco Dottori

messa in onda: sabato 03 gennaio 2004; rete: RAI UNO; orario: 21:00

[gennaio 2004]


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