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Cannes 2010 - My Joy - Concorso

Pubblicato il 19 maggio 2010 da Salvatore Salviano Miceli


Cannes 2010 - My Joy - Concorso

Passato e presente si fondono costruendo un crocevia che coinvolge, a più livelli, tutti i personaggi di Schastye Moe (t.a. My Joy), opera prima di finzione di Sergei Loznitsa, regista ucraino già autore di documentari.
Il film non è tra i più immediati, parte lentamente e non abbandona mai un ritmo riposato che porta sullo schermo circa cinquanta anni di storia. L’oggi è la diretta conseguenza di ieri e nessun evento sfugge dalla più di una volta teorizzata formula di causa/effetto. Così Georgy, giovane camionista è costretto quasi immediatamente a nascondere il suo ottimismo ed a perdere coscienza di se stesso in un luogo, (tra Russia ed Ucraina) in cui il passato si materializza sotto le vesti uno strano incontro, e la brutalità costringe ad un feroce istinto di sopravvivenza.
La formazione documentarista di Loznitsa si percepisce con facilità. Ogni inquadratura è giocata con estrema cura. È forte la necessità di riuscire a raccontare una verità servendosi anche di una singola immagine. Nessun dettaglio è lasciato al caso. Probabilmente questa freddezza nella costruzione del racconto filmico comunica un po’ di distacco dalla storia e dai personaggi. Ma il distacco potrebbe anche essere una forma di autodifesa dello spettatore dinnanzi ad una violenza che inizia a manifestarsi quasi senza ragione, per poi divenire un rituale puntuale e necessario. L’altro deve soccombere per permettere la propria salvezza. Questo in sintesi potrebbe rappresentare un frammento del film.
C’è, poi, il concatenarsi di piani temporali differenti che non agevolano, almeno immediatamente, la visione. Appena si capisce che passato e presente non raccontano storie differenti, ma piuttosto immediatamente contigue, ci si affatica nel cercare di individuare personaggi e possibili conseguenze di quello che il regista ci mostra. L’autore, infatti, non fa nulla per sottolineare questo stretto legame tra i due differenti periodi storici. Ci consegna un puzzle che ha da essere ordinato e composto in ogni suo piccolo tassello.
La regia è ordinata e attenta, priva di sovrastrutture e di particolari raffinatezze. La macchina da presa si limita a riprendere ciò che è necessario (ancora una volta torna l’esperienza del documentario), tralasciando il superfluo. Ed il necessario molto spesso è sinonimo di omicidio e di abbrutimento. Il regista non gira il suo occhio da un’altra parte né, però, mostra di volere indugiare più del necessario. Semplicemente assolve il suo compito mostrando miserie e rovine. Le stesse che si verificavano cinquanta anni prima in un continuum di violenza che pare davvero essere il ponte tra passato, presente e, chissà, futuro.
Non resta fuori dal racconto la geografia che ospita la vicenda. La Russia è esplorata nella povertà dei suoi piccoli villaggi e delle sue strade impolverate, dove anche chi è in uniforme può rappresentare (siamo poi così lontani noi europei da questa realtà?) il pericolo.
My Joy può soffrire un po’ di una insistita mancanza di ritmo, ma ha il grosso merito di lasciare in chi guarda molte più sensazioni positive e l’impressione di un cinema potente. In questi giorni a Cannes non è poco.


CAST & CREDITS

(Schastye Moe); Regia, soggetto e sceneggiatura: Sergei Loznitsa; fotografia: Oleg Mutu; montaggio: Danielius Kokanauskis; scenografia: Kirill Shuvalov; interpreti: Viktor Nemets (Georgy), Olga Shuvalova (prostituta), Vlad Ivanov (Maggiore da Mosca); produzione: MA.JA.DE. Fiction, Sota Cinema Group, Lemming Films; distribuzione: Fortissimo Films; origine: Ukraina; durata: 127’;


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