X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Cannes 2011 - Considerazioni Finali

Pubblicato il 23 maggio 2011 da Salvatore Salviano Miceli


Cannes 2011 - Considerazioni Finali

Il giorno dopo la premiazione è, come sempre, tempo di bilanci. Non si può sottrarre il Festival di Cannes numero 64, appena giunto alla sua conclusione. È stata una buona edizione. Ottima se messa a confronto con quella dello scorso anno. Anche tornando indietro di un po’ più di tempo, poi, la selezione 2011 di certo non sfigurerebbe. Al contrario, si mette in luce per la qualità dei film proposti che, tranne qualche inevitabile eccezione, è stata medio-alta. Se era abbastanza prevedibile che il concorso, dopo il parziale fallimento della edizione numero 63, portasse sugli schermi pellicole di pregiata fattura, l’ottimismo non era così scontato, rivolgendo uno sguardo alle sezione parallele. Ed invece la qualità è stata piuttosto omogenea. Dovessimo, però, citare una sola tra Quinzaine, Un Certain Regard e Semaine de la Critique la nostra scelta cadrebbe sulla seconda.

Probabilmente giusto premiare Kim Ki-Duk ed il suo personalissimo “lamento esistenzialeArirang, ma stona un po’ l’avere lasciato fuori dai riconoscimenti il bellissimo Restless di Gus Van Sant. Poco importa che il film abbia al suo interno atmosfere e suggestioni di tante pellicole del passato. Van Sant riesce comunque a rendere visibile il suo sguardo (inconfondibile) seguendo la leggerezza di un racconto estremamente personale.
Sono però i riconoscimenti della competizione ufficiale a solleticare la curiosità ed a meritare un approfondimento. Iniziamo con il dire che la Palma è andata al suo legittimo proprietario. Malick ha realizzato attraverso le immagini un viaggio emotivo all’interno della sua straordinaria poetica. The Tree of Life chiede tanto allo spettatore in termini di concentrazione, ma offre in cambio attimi di cinema difficilmente dimenticabili. Il paragone con 2001: A Space Odyssey non è sacrilego, soprattutto considerando come entrambe le opere rappresentino probabilmente il testamento artistico dei loro registi. Durante il Festival si rincorrevano voci di possibili outsider dell’ultima ora (tra tutti l’interessante Le Havre di Aki Kaurismaki, un po’ ingiustamente ignorato dal palmarès) ma è parsa da subito abbastanza certa, ed in qualche modo obbligata, la vittoria finale di questo quinto capitolo della filmografia di uno dei Maestri della storia del cinema.

Tra i possibili rivali, il delizioso e sorprendente The Artist (film muto, in bianco e nero ed in 4/3 che merita di arrivare in sala al più presto) si è visto recapitare il premio come migliore interpretazione maschile per il suo protagonista Jean Dujardin. Ci può stare perché il ruolo non è semplice e Dujardin è bravo. Resta un po’ l’amaro in bocca per Sean Penn in This Must Be The Place. Tutti lo davano per favorito e del resto il “suo” Cheyenne avrebbe meritato un po’ più di attenzione. Kirsten Dunst si aggiudica il riconoscimento per la migliore attrice abbastanza a sorpresa considerando anche le disavventure di Lars Von Trier, dichiarato “persona non gradita” dalla direzione del Festival dopo le sue - eufemisticamente - non felici dichiarazioni. Peccato, perché Melancholia offre buoni spunti che non si esauriscono solamente sulla innegabile bellezza estetica di certe inquadrature.

Il premio per la regia a Nicolas Winding Refn è quello che ci rende più felici. Drive è un pugno allo stomaco, un noir sporcato da uno sguardo cattivo con un grande Ryan Gosling protagonista. Fin qui tutto bene, quindi. Le dolenti note arrivano dovendo commentare il Premio della Giuria andato al francese Poliss ed il Gran Premio della Giuria con la vittoria ex aequo di Il ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dardenne e Once upon a time in Anatolia del turco Ceylan.
Poliss a noi è parso una fiction poliziesca un po’ troppo confusionaria e più orientata ad un linguaggio televisivo che non cinematografico. I due vincitori ex aequo non possono certo dirsi brutti film. Ma, sempre secondo noi, si tratta di pellicole, soprattutto la prima, poco necessarie, curate formalmente ma eccessivamente scolastiche e per nulla coinvolgenti. Forse, recuperare il nostro Sorrentino (il film comunque è assolutamente da vedere) o consegnare un premio coraggioso a The Artist o Le Havre sarebbe stato più saggio.

Dopo dieci giorni intensi ed un numero imprecisato di proiezioni resta il gusto di tanti buoni film e qualche, sparuta, delusione. Nessun riconoscimento per gli “Italiani” in concorso ma la consapevolezza di avere presentato due ottimi film non viene a mancare. Cannes si risolleva quindi dalla mediocrità della scorsa edizione tornando ad unire glamour e, cosa che ci interessa infinitamente di più, ottimo cinema.


Enregistrer au format PDF