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Cannes 2019 - Matthias et Maxime

Pubblicato il 24 maggio 2019 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Cannes 2019 - Matthias et Maxime

Nonostante una certa cinefilia austera e rigorosa continui a rifiutare il cinema di Xavier Dolan, ormai ex-fanciullo prodigio (30 anni lo scorso marzo) della cinematografia franco-canadese, perché lo considera impostato, manierato e finto, chi vi scrive non riesce a nascondere, magari con qualche occasionale riserva espressa anche in queste pagine, la propria ammirazione per un talento così evidente e viscerale. Matthias et Maxime, in concorso a Cannes dove è stato accolto con un entusiasmo da stadio da un pubblico di ventenni che considerano il regista di Mommy e di È solo la fine del mondo una sorta di portavoce in piena sintonia con la loro sensibilità, è un film ‘piccolo’, intimista, privo di grandi star in cartellone, nato probabilmente senza cullare ambizioni di premi, di quelli che hanno puntellato, a Cannes come anche altrove, una carriera sorprendentemente precoce e di tutto rispetto. Dolan ha, in questa occasione, contenuto quella sua bulimia immaginifica che lo ha spesso portato a schiacciare in eccesso il pedale dell’espressività, e deve aver compreso che se vuole conquistare il cuore dei tanti dubbiosi che hanno smesso di seguirlo, o diffidano fin da subito del suo modo di vivere una fiammeggiante esperienza creatrice paragonabile a quella di certi artisti e scrittori scapigliati e scapestrati dei secoli passati, è arrivata l’ora di dimostrare concretamente il risultato di una crescita e di una maturazione non più dilazionabili. Intanto, con un vezzo che gli va comunque perdonato viste le nobili cause che sono generalmente all’origine di una scelta più coraggiosa di quanto si pensi, questo suo nuovo film è girato in pellicola, ad evidenziare la propria intenzione di fare sul serio. Ma il suo non è il recupero tarantiniano della pellicola del cinema degli anni ’60 e ’70: piuttosto, è anzi quello dei cineamatori che in 16 millimetri giravano i filmini delle proprie vacanze, delle feste e degli eventi familiari da ricordare con supporti diversi dalle piatte e noiose fotografie, sempre fuori fuoco e in controluce (era l’epoca delle Kodak Instamatic, non certo di cellulari con obiettivi Leica come oggi...), con mano malferma e con lo zoom a scatti nervosi in avanti e all’indietro. Il risultato è un film, più che per ragazzi, dedicato alla generazione tra i venti e i trent’anni, che è poi quella del pubblico che lo adora e lo idolatra, in bilico tra gli ultimi sprechi della giovinezza, lo sfondarsi di alcool, l’uso di sostanze illecite, il supercazzeggio a oltranza, il vivere ogni attimo come fosse eterno, e le prime responsabilità sociali del lavoro e della vita pubblica. Compresa, naturalmente, la gestione non sempre lineare di un’affettività che addentrandoci in questo secolo XXI non conosce più appigli sicuri e già tracciati, ma può riservare, in virtù delle maggiori libertà acquisite dalla società contemporanea, sorprese e sconvolgimenti inattesi.

Durante una breve vacanza al lago, per gioco, i due amici del titolo partecipano a un cortometraggio scritto e girato da un’amica, che prevede un bacio tra maschi: serenamente, i due accettano senza sospettare cosa di lì in poi si scatenerà nelle loro interiorità fragili e incerte... Dolan, gliene va dato pienamente atto, si muove con agio superlativo nel restituirci lo squarcio di una generazione che ben conosce, le cui ritualità sa orchestrare e mettere in scena con vivida efficacia e autenticità (è lui stesso ad aver concepito la storia e scritto i dialoghi del film). Non ha perso il vizio di indulgere in quella certa maniera che gli aliena la simpatia e l’approvazione degli adepti di un cinema più pulito: rallenta, velocizza, stroba, abusando di un linguaggio che tuttavia, c’è da augurarselo, col tempo si stabilizzerà in una più sobria compostezza; usa la colonna sonora in modo un po’ piacione, perché sa quanto la musica faccia effetto su una generazione che ormai vive con le cuffie infilate nelle orecchie, vittima di un horror vacui che altrimenti la disorienterebbe e sminuirebbe il valore di ogni esperienza vissuta, eventualmente commentata dal solo naturale rumore di fondo della vita; gioca con i colpi di scena e i punti nodali della complessa attrazione amorosa che si sviluppa tra i due ragazzi con furbizia compiaciuta e anche un tantino illecita; eppure... eppure riesce a commuovere e a convincerci di un finale che naturalmente non riveleremo, perché come ogni seduttore che sappia di poter contare su qualità e doti fornite in dose industriale direttamente da Madre Natura, e non faticosamente acquisite con la fatica dello studio e dell’esercizio fisico, non lascia dubbi sulla propria assoluta sincerità di volerci arrivare dritto nel cuore.


CAST & CREDITS

(Matthias et Maxime); Regia: Xavier Dolan; sceneggiatura: Xavier Dolan; fotografia: André Turpin; montaggio: Xavier Dolan; musica: Jean-Michel Blasi; interpreti: Gabriel D’Almeida-Freitas, Xavier Dolan; produzione: Sons of Manual; distribuzione: Diaphana Distribution; origine: Canada, 2019; durata: 119’


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