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CASSIUS VS ALI

Pubblicato il 4 giugno 2016 da Nicola Calocero


CASSIUS VS ALI

Bigger than life. È la formula con cui gli americani definiscono le loro leggende. Alla lettera “più grande della vita”. Ma una traduzione letteraria non coglie il significato più profondo di questa formula. La parabola del più grande pugile della Storia che ci ha lasciato in queste ore forse ci avvicina al mistero di queste parole. Uno zelante cinefilo potrebbe sprecare lo spazio di questa rubrica per passare in rassegna i film o i documentari dedicati a chi sapeva volare come una farfalla o pungere come un ape. Le finte di Cassius e/o Ali sono state preziosissimo materiale di repertorio per pregevoli documentari che hanno raccontato attraverso la sua figura la ricchezza della nobile arte o la sua missione civile orgogliosamente ostentata attraverso la sua vicenda di campione, specchio di una nazione alla ricerca di nuove identità. Oppure quando la sua maschera è stata portata in scena sul grande schermo, declinata in tutti questi significati, in pregevoli biografie. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il vero grande film è stato proprio la sua vita. Siamo nei primi anni cinquanta e il ragazzo della piccola borghesia nera del Kentucky inizia a tirare di boxe per vendicarsi di chi gli ha rubato la bici. E proprio a pochi metri dallo stadio dove si chiude il capolavoro di De Sica Ladri di Biciclette ha inizio la sua strepitosa storia. Sono le Olimpiadi di Roma, siamo alla fine dell’estate del 1960. Da pochi giorni ha ottenuto la nomination presidenziale un giovane cattolico di buona famiglia di origini irlandesi: John F. Kennedy. Il nostro paese sta vivendo la stagione più ricca del nostro boom e ospita le prime Olimpiadi “a colori”, come ci ricorda la splendida fotografia -stampata su pellicola Ferrania- del documentario di Marcellini La Grande Olimpiade, prodotto dal Luce e giunto ad un passo dall’Oscar. Quando qualche hanno fa il regista Michael Mann, che aveva dedicato al campione immortale il suo fortunato film biografico Ali, si trovò a Roma ospite della Festa del cinema non perse l’occasione di fare un piccolo pellegrinaggio proprio tra il Palasport e il Villaggio Olimpico. I luoghi simbolo della XVII Olimpiade, a pochi passi dall’Auditorium che ospita il festival. Sul podio di Roma il ragazzo ha 18 anni. La Medaglia d’Oro sembra più grande della promessa dei pesi mediomassimi e forse anche per questo ha già una grinta da vendere: ostenta in ogni occasione il suo orgoglio. Sia per le sue doti istrioniche, sia perché sente di combattere per chi non ha ancora avuto la possibilità di dire mai la sua. Per questo di fronte all’ipocrita razzismo di quell’America che a suon di pugni è riuscito a cambiare getterà – in un colpo di teatro- la medaglia olimpica di Roma in un torrente. Per questo rinascerà dopo aver accolto la fede di un Islam moderato, rinunciando – come obiettore di coscienza della guerra del Vietnam- a combattere per ben tre anni nel pieno della sua carriera. Soggetto -quest’ultimo episodio- di un recente film televisivo diretto dal britannico Frears. Ma il momento che lo ha consegnato definitivamente alla Storia, non solo dello Sport, è l’incontro in Africa del 1974 quando contro ogni pronostico alla fine riuscì a mostrare al pubblico, che lo aveva sostenuto per tutti i faticosi round della sfida, la cintura di Campione del Mondo. Da quel momento ogni suo incontro diventò l’incontro del secolo, ma nessun’altra sceneggiatura riuscì ad essere epica come quella in Zaire. Ali era la voce degli oppressi, degli outsider, era il pioniere di una faticosa modernità che neppure oggi siamo riusciti ancora a vedere realizzata. Qui si chiude il film di Mann, e la ricostruzione di questa sfida tra due mondi- realizzata anche con pregiatissimo materiale di archivio- è l’elemento cardine del documentario Quando eravamo Re. Il film, premiato all’Oscar una ventina di anni fa per il miglior documentario, non è solo la perla cinematografica della filmografia dedicata ad Ali. È uno dei migliori documentari di sempre, non solo del genere sportivo. Il film sembra chiudersi idealmente con l’ultimo grande capitolo pubblico di questo “Re” decisamente “bigger than life”. Siamo nel 1996. Le Olimpiadi festeggiano il loro centenario nel cuore del Sud. Siamo in Georgia, ad Atlanta, la città della Coca Cola e di Via col vento. Ali adesso ha poco più di cinquanta anni ma sembra assai più anziano. E’ piegato dal morbo di Parkinson, una malattia che ha straziato nel suo violento contrappasso il corpo del più grande atleta di sempre. Ali trema, di fronte alla Storia e di fronte al miliardo di spettatori che lo vede accendere la fiamma olimpica. Quasi a celebrare un rituale liturgico. Ancora una volta la sceneggiatura della sua vita segue un perfetto copione e ci regala uno straordinario terzo atto finale, che lo rende ancora più grande nella sua fragile umanità. Un viaggio da Roma ad Atlanta, vissuto sempre ad un passo dal divino.


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