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Cessaré

Pubblicato il 1 aprile 2011 da Giovanna D’Ignazio


Cessaré

Cessaré è un lungometraggio che approfondisce una realtà antropologica e sociale che ha il fondamentale valore di testimoniare l’esistenza di un’italianità estremamente specifica (il caso della Locride) eppure incredibilmente rappresentativa di un’identità sulla quale ormai da anni ci si interroga. Il film è un interessante documentario sulla Calabria, e in particolare sulla Locride: la regista Rina Amato si muove con la sua troupe di volontari tra Cessaré, Gioiosa Jonica, Canolo, Africo Nuovo, Castellano e i paesi limitrofi, raccogliendo le preziose testimonianze di Natale Bianchi, Francesco Modafferi, Ciccio Gatto (fratello di Rocco, ucciso dalla ’ndrangheta per essersi opposto al regime criminale dell’organizzazione), Francesco Martorelli e molti altri, su quelli che sono stati negli anni ’70 i movimenti di opposizione alla ’ndrangheta, prima che questi fossero posti in secondo piano rispetto ai più controversi scontri ideologici e sociali del nord Italia, scivolando velocemente nel dimenticatoio. Testimonianze e vite di altissimo valore umano, culturale ed etico, che rispondono perfettamente alla necessità di riallacciare un rapporto con un passato degno, in paese tanto rassegnato al peggio, da accoglierlo con indifferenza. Il popolare e l’epico, il cattolicesimo e la laicità si distinguono e fondono nello stesso momento, ma soprattutto uniscono e identificano una popolazione fatta di individui che superano le divergenze (generazionali, culturali, politiche e religiose) che li contrappongono per un fine comune: la lotta contro la criminalità organizzata, lotta non priva di sacrifici, come dimostra l’uccisione di Rocco Gatto (primo di tanti altri omicidi di mafia), ricordato con commozione dal fratello e dalla comunità intera. E se la criminalità organizzata è stata in grado di essere al passo con la modernità, indossandone gli abiti e frequentandone i palazzi del potere, riuscendo così ad allargare i propri territori, gli italiani invece non sembrano essere degni posteri di questa gente che ha lottato per il bene nazionale e non solo personale o regionale.

Alle fondamentali testimonianze di Natale Bianchi, prete scomunicato per aver rifiutato il trasferimento impostogli dalla Santa Sede, perché in prima linea nella lotta contro la mafia, e di Francesco Modafferi, sindaco illuminato, consapevole del fatto che se «il padrone è padrone perché conosce mille parole» allora è fondamentale che il popolo ne conosca duemila, si affiancano quelle della saggia popolazione di questo territorio schiacciato in ogni epoca dall’indifferenza dello Stato. La stessa saggezza popolare che ha ispirato De Seta (autore di riferimento della Amato) alimenta Cessaré, come si evince dalle registrazioni audio delle voci delle anziane donne della Locride, tra le quali, su tutte spicca La Pascalota, che in età avanzata ha imparato a scrivere e a leggere da sola, facendosi insegnare l’alfabeto dai bambini che andavano a scuola, ma anche dal commosso e commovente racconto di Ciccio Gatto nella cui memoria ancora vive intatto il ricordo fratello ammazzato. Sono invece quasi del tutto scomparsi quei giovani che in quegli stessi anni erano riusciti a superare le divergenze generazionali con genitori e anziani, riuscendoli a portare in piazza e a renderli partecipi delle proprie lotte e manifestazioni.

Rina Amato racconta il recente, ma comunque sconosciuto, passato del luogo da dove proviene, offrendo un esempio di quanto siano storicamente grandi e significative le realtà particolari di una nazione la cui identità è tanto varia da essere stata smarrita e intenzionalmente strumentalizzata e confusa da “padroni” che si sono accontentati di usare ben meno di mille parole. Una lettura emotiva ed emozionale che conserva la forza e la validità dell’analisi antropologica e sociale, e che soprattutto dimostra quanto le “due Italie” di cui spesso si sente parlare siano in realtà molte di più. Un documentario che affronta una varietà di temi cruciali rimasti a lungo ignorati, e dalla cui indagine è possibile comprendere la portata del fenomeno di impoverimento che la cultura popolare italiana, il più solido baluardo di saggezza del paese, ha subito a partire dagli anni ottanta. Se nell’ultimo ventennio si è peccato di una eccessiva semplificazione della realtà, Cessaré svela quanto ogni singola realtà sia a sua volta il frutto dell’intersecarsi di innumerevoli altre realtà opposte fra loro: lo scontro generazionale interno alla popolazione (poi superato per il conseguimento del bene della comunità), lo scontro con la mafia locale, lo scontro con lo Stato eterno assente, lo scontro tra ideologie differenti, lo scontro tra un’idea di religiosità scaramantica, magica con una religiosità laica. Gli italiani sembrano aver perso la capacità di lettura della complessità del mondo che li circonda e si sono fatti semplificare in una popolazione spaccata in due e invitata ad assumere punti di vista di impressionante limitatezza, spesso incapaci di cogliere congruenze e incongruenze di valori e fatti posti indistintamente sullo stesso piano. Un’opera prima non priva di difetti e ingenuità stilistiche, ma di indubbio valore informativo, culturale, ma anche artistico: digitale e analogico, colore e bianco e nero, contemporanea modernità e passato recente si susseguono senza soluzione di continuità riuscendo a ricostruire il variegato, autentico e misconosciuto affresco di un pezzo di identità nazionale che ha rischiato di essere irrimediabilmente smarrito.


(Cessarè); Regia: Rina Amato; montaggio: Maria Valerio; musica: Daniele Mutino, Alessandro Federico, Carlo Frascà, Cataldo Perri, Peppe Plantani, Paolo Sofia; produzione: Arti già nate; origine: Italia; durata: 90’.


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