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Chernobyl (Miniserie) - Teste di Serie

Pubblicato il 11 giugno 2019 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Chernobyl (Miniserie) - Teste di Serie

«Non c’é nulla di sano in ciò che abbiamo fatto a Chernobyl. Né prima, né dopo. É stata una pazzia!»
(Valerj Legasov)

Mostri e bugie

Ha fatto capolino quasi con timidezza, per poi deflagrare in un grande fenomeno di massa. Certo, solo la HBO poteva essere in grado di arrivare a tanto: assemblare un cast di tutto rispetto - a cui viene sacrificata un’impostazione di linguaggio, il russo al posto dell’inglese, maggiormente adatta per il contesto storico scelto -, comporre una miniserie di cinque episodi dalle plumbee tonalità drammatiche e raccontare non una storia semplice – né per la portata, né per l’accuratezza dei temi trattati – ma la pagina più nera, dolorosa e umiliante della seconda metà del Novecento. Chernobyl è tutto ciò e molto altro ancora, breve e intenso manifesto televisivo – cinematografico – contro l’imperizia dell’uomo e della sua arroganza, nonché un’ode al coraggio di molti e all’eroismo di pochi.

La storia è ben nota: la notte del 26 aprile 1986, il reattore quattro della centrale nucleare di Chernobyl esplode; ad indagare sui motivi dell’incidente e porre rimedio alle cataclismatiche conseguenze, viene chiamato il professor Valerj Legasov (un monumentale Jared Harris, in un’interpretazione in bilico tra ira funesta e nevrotica timidezza), al cui fianco vigila Boris Shcherbina (Stellan Skarsgård), vice-ministro e uomo di punta del governo russo.

Chernobyl non è un semplice biopic che si limita a raccontare la storia così come il mondo conosce già. Tutto il contrario: l’obbiettivo primario dello showrunner Craig Mazin è quello di mettere alla berlina le nefandezze e le bugie del governo russo e dei propri rappresentanti, ciechi e indolenti di fronte a una catastrofe di portata mondiale, troppo preoccupati a salvaguardare la forza e le apparenze della madre-patria russa, gigantesco totem indecifrabile e – a tratti – anacronistico, intaccabile agli occhi degli altri stati-leader; così Chernobyl racconta con perizia la tensione della guerra fredda attraverso gli occhi di un mostro fiammeggiante, attraverso il dolore delle migliaia di uomini sacrificati sull’altare dell’incompetenza e della fierezza, imprigionati e abbandonati alla morte in un mondo freddo e plumbeo, in cui la meticolosa regia di Johan Renck si satura di grigi e primi piani, ricercando con smania e rispetto ogni battito di ciglia, ogni sorriso abbozzato e malcelato, labbra tese e sospiri sommessi.

Quello della nuova miniserie HBO è un racconto spaventoso di uomini presi a calci e pugni dalla verità, sconfitti e umiliati da essa; le conseguenze mortali dell’esplosione del reattore nucleare si riverberano su di loro, come su tutto il territorio adiacente per chilometri e chilometri, vengono condannati a una morte aberrante migliaia di cittadini per lo più ignari: e questa è solo la cornice, la contestualizzazione dell’evento, secondo Mazin, che tiene perennemente in vita il dolore e lo strazio – ma, più di ogni altro aspetto, la consapevolezza della morte/sconfitta umana -, come uno spettro inafferrabile atto a tormentare, incarnazione del narcisismo suicida di una superpotenza – l’URSS - destinata a perire quasi senza rendersene conto.

Dramma storico, dramma inter-personale, dramma sociale. Chernobyl si avvale di una scrittura asciutta, lontana da compromessi, oculata con i protagonisti in gioco; non servono parole per mostrare una nevicata di polveri tossiche, l’innocente inconsapevolezza di coloro, donne e bambini inclusi, che osservano incantati da lontano il lucore dell’incendio al reattore quattro; e ancora, uccelli che precipitano morti al suolo, soldati-spazzini con il compito di sterminare animali di taglia media nei dintorni, lì dove le radiazioni causarono danni latenti maggiori, o ancora un semplice vermicello che striscia sulla gamba del compagno Shcherbina, incapace di accettare una morte lenta e inarrestabile. Così Chernobyl vive e incanta di impressioni, di silenzi e suoni distorti, agghiaccianti, come quelli dei contatori usati dagli operai; la centrale nucleare è un mostro affamato e destato dal suo mefistofelico sonno, in procinto di divorare il mondo, mentre l’uomo sta a guardare e assimila il suo fallimento.

Già, l’uomo. L’uomo e le sue colpe. Ma se Chernobyl mette a nudo un fallimento morale, ancorché meccanico o casuale, ciò che narra è il coraggio adamantino degli uomini di scienza: Legasov in primis, seguito dalla dottoressa Ulana Khomyuk (Emily Watson) – accompagnati dal “redento” Shcherbina – testimoni della ragione e del lume, totem di un progresso che tenterà di correggere il futuro per preservare le nuove generazioni, eroi già morti sacrificatisi nonostante tutto. Se anche il più piccolo errore può causare la più devastante delle conseguenze, non c’è mai limite all’intervento umano, non è mai impraticabile la via della salvezza, perché è l’uomo con il proprio coraggio che (ri)scrive la storia, correggendone le storture. Basterebbe accettare i propri limiti per continuare a guardare avanti, per continuare a guardare oltre. Perché Chernobyl non è solo una centrale nucleare: Chernobyl rappresenta la spavalderia dell’uomo contro i suoi simili – prima ancora che contro natura; Chernobyl è la storia che ci ricorda quanto siamo pericolosi e quanto potenziale possediamo per diventare migliori.


(Chernobyl); genere: drammatico; showrunner: Craig Mazin; regia: Johan Renck; stagioni: 1 (miniserie); episodi prima stagione: 5; interpreti: Jared Harris, Stellan Skarsgård, Emily Watson, Paul Ritter, Jessie Buckley, Adam Nagaitis, Con O’Neill, Adrian Rawlins, Sam Troughton, Robert Emms, David Dencik, Mark Lewis Jones, Alan Williams, Alex Ferns, Ralph Ineson, Barry Keoghan, Fares Fares, Michael McElhatton; produzione: Sister Pictures, The Might Mint; network: HBO (U.S.A., 6 maggio-3 giugno 2019), Sky Atlantic (Italia, 10 giugno-8 luglio 2019); origine: U.S.A., 2019; durata: 60’-70’ per episodio; episodio cult prima stagione: 1x02 - Please remain calm


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