X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Cinema italiano 2009 - da gennaio a luglio

Pubblicato il 26 dicembre 2009 da Edoardo Zaccagnini


Cinema italiano 2009 - da gennaio a luglio

E rieccoci a raccontare, mentre l’anno se ne va, un’altra stagione di cinema italiano. Un altro anno di film che non ci fanno capire di che morte dovrà morire questo cinema, o di che vita dovrà vivere. Conviene ricordare le opere, una dopo l’altra, ognuna con la propria storia, ed essere felici di poterne ricordare alcune, una manciata scarsa, che ci hanno emozionato. Viaggiamo insieme, allora, dentro questo 2009 di paesaggi italiani, di volti che abbiamo imparato a riconoscere, e qualche volta, mica spesso, ad amare. Partiamo con titoli, trame e commenti, anche di film quasi invisibili, dividendo l’anno 2009 in due tronconi, usando l’estate per dividere le parti.
Partiamo da una delle cose migliori di quest’anno orfano di Palme, Orsi e Leoni. Da Fortapasc, che avrebbero dovuto vedere tutti e che hanno visto in pochissimi. Che avrebbe dovuto occupare i multisala di ogni dove e che è uscito in un mucchietto amaro di copie. Film di preziosa solidità e di sincero impegno civile, che commuove mentre ricorda la tragica sorte del giovane giornalista napoletano Giancarlo Siani. Film di impianto classico, con un’interpretazione di altissimo livello, quella di uno straordinario Libero di Rienzo. L’inizio del film, con una Napoli anni ottanta di notte, con la canzone Ogni volta di Vasco Rossi, è semplicemente splendido. Come tutto il film, del resto, girato da un Marco Risi finalmente di nuovo in forma. Lasciamo questo dramma che andava promosso in tutt’altro modo ed incontriamo una bella comitiva di commedie, due di queste di una certa dignità. La prima parla con leggerezza di omosessualità e di politica italiana contemporanea. Si intitola Diverso da chi? e l’ha diretta l’esordiente Umberto Carteni. L’ha scritta con piglio ed acume Fabio Bonifacci, lo sceneggiatore di Notturno bus e Si può fare. Filmetto vivace e brillante, sofisticato in senso americano, calato nelle vicissitudini di casa nostra. La pellicola opta per una messa in ridicolo di alcune di queste (quelle politiche) e preferisce mostrare (a colpi di simpatiche battute) una biasimevole situazione storica piuttosto che affondare le unghie nella complessità del territorio, e far nascere quella splendida amarezza che il cinema popolare italiano, altre volte, seppe far emergere. Diverso da chi? saltella su un pavimento molto italiano, percorrendo con gustosa disinvoltura una superficie non astratta, raccontandoci un triangolo d’amore piuttosto curioso e brillante, con Luca Argentero, Filippo Nigro e Claudia Gerini. C’è del politico, ed è sempre bene sospendere il silenzio su questo ormai drammatico argomento, anche solo per un timido e superficiale sberleffo. C’è dell’omosessuale, ed è positivo parlare di questo tema quando si ha il buon senso di farlo con intelligenza. Prendiamo nota, mentre ricordiamo che il riferimento del film alle due principali culture politiche contemporanee italiane (Pd, Pdl) è assai evidente, del fatto che ci troviamo a Trieste, e che questa città, complice, probabilmente, il sostegno di una film commission volenterosa e ben organizzata, sta diventando una location cinematografica importante negli ultimi tempi cinematografici nostrani: Diverso da chi? non è la prima commedia che in tempi recenti viene girata da quelle parti. Ripensiamo ad Amore bugie e calcetto (Luca Lucini), e per quanto riguarda un cinema più secco, a Fuori dalle corde di Fulvio Bernasconi. Ad essere esaustivi ci mettiamo pure l’ultimo deludente Salvatores, per dire che insomma, nel profondo nord si girano film.

_L’altra commedia che salviamo, anche se non ci ha fatto sfregare le mani, nè lucidare gli occhi, è quella diretta da Francesca Archibugi ed intitolata Questione di cuore. Bravissimi i protagonisti Kim Rossi Stuart e Antonio Albanese, soprattutto il secondo, attore semplicemente straordinario. Il tema è quello dell’amicizia, e lo sfondo del film, interessante ma sostanzialmente scenografico, è quello del Pigneto di Roma, un quartiere popolare di rosselliniana e pasoliniana memoria, oggi di moda, intellettuale e multietnico insieme, un posto accattivante che il cinema italiano ha prontamente ri-morso. La storia è curiosa, quella del proletario e dell’intellettuale che si incontrano e finiscono per volersi bene, mentre la vita fa sentire la sua cattiveria ma lascia che i sentimenti migliori le ridiano dignità e ce la facciano amare nonostante la sua doppia faccia e la sua natura maligna. Il limite del film, gustoso ed armonico quanto vuoi, è che i personaggi, seppure pieni di energia, non affondano in maniera consistente e considerevole nella meraviglia dolorosa della realtà e del contesto culturale che vivono, limitandosi a solleticarci con battute, espressioni e dialoghi ad effetto. Sul terreno della commedia poggia pure il film, sulla carta curioso ma nei fatti piuttosto piatto e poco coinvolgente, Due partite, di Enzo Monteleone. E’ un film tutto di donne, un viaggio nel mondo femminile e nel costume italiano del dopoguerra, dai soliti, favolosi ed ipermediatici anni ’60, fino ai giorni nostri e alle tendenze e problemi attuali. La cosa più bella e interessante di questo film tratto dall’opera teatrale omonima di Cristina Comencini, sono gli otto volti femminili che occupano tutti gli spazi del film: le giovani Carolina Crescentini, Alba Rohrwacher, Valeria Milillo, Paola Cortellesi e Claudia Pandolfi; le meno giovani, ma sempre splendide e bravissime, Isabella Ferrari, Margherita Buy e Marina Massironi. Sul fronte della commedia generazionale ci era sembrato che le cose andassero un po’ meglio quando in Ex di Fausto Brizzi, un film corale con sceneggiatura ad intreccio, avevamo, oltreché sorriso una quantità soddisfacente di volte, persino visto i giovani trattati con un rispetto maggiore in confronto al passato recentissimo. In Generazione mille euro, poi, di Massimo Venier, avevamo visto dei ragazzi che somigliavano nell’aspetto, nell’atteggiamento e nel carattere, a quelli che incontriamo per strada, o che frequentiamo direttamente. C’è una scrittura rispettosa in questa commedia commerciale di giovani e di precariato, uscita nello scorso inverno, oltrechè degli attori molto bravi, tra cui il giovane e promettentissimo Alessandro Tiberi (quello di Boris). Poi le cose hanno preso un’altra piega e i minuscoli passi in avanti nel discorso sui giovani si sono fermati là, con il ritorno autunnale del solito Moccia e del moccianesimo mascherato di Meno male che ci sei. Ma di questi film parleremo nella seconda parte della riflessione. Anche qui, però, abbiamo di che arrabbiarci, e di che rimproverare, perché consideriamo Italians di Giovanni Veronesi il film italiano peggiore dell’anno, una commedia di rara sciatteria, che spreca il canovaccio navigato degli italiani all’estero con un film senza capo né coda, in cui attori bravi, se non bravissimi, vedi Verdone e Castellitto, si prestano distratti ai voleri del Produttor Aurelio. Molto meglio un piccolo esordio che dal tema degli italiani all’estero ricava un’opera godibile ed armonica. La commedia si intitola La casa sulle nuvole ed il giovane regista che l’ha costruita fa di nome Claudio e di cognome Giovannesi. Il film, che è prima di tutto una storia di padri e figli, ha la capacità di porre uno sguardo interessante e mai troppo ambizioso sul Marocco di oggi, e, tra paesaggi suggestivi e personaggi sufficientemente caratterizzati, riesce a farci annotare il nome Claudio Giovannesi sulla nostra agenda di giovani autori promettenti. Se vogliamo chiudere con le commedie di questa prima parte di 2009, dopo aver menzionato film come L’ultimo crodino (Umberto Spinazzola) e I mostri oggi (Enrico Oldoini), dobbiamo ricordare anche l’ennesima pellicola di Pupi Avati. Il regista bolognese ha la nostra stima, per le numerose volte in cui è riuscito a confezionare bene i suoi prodotti, in alcuni casi riuscendo a creare dei piccoli capolavori innocenti. Ma stavolta, complice forse la superproduzione a cui questo autore ama sottoporsi, il risultato non raggiunge la sufficienza. Il film si intitola Gli amici del bar Margherita, ed è un salto dentro la metà degli anni cinquanta della solita provincia emiliana avatiana. Tanti attori, tante gag, tante note di costume sul periodo, ma poche emozioni, poco divertimento, un po’ di noia. Parecchia. Spondandoci poco poco dalla commedia, ci sorprende un’opera assai originale e interessante. Il suo autore è quel Davide Ferrario che in più di un caso ci ha coinvolto e convinto. Diciamo almeno un paio di volte, con Tutti giù per terra e Dopo mezzanotte. Il suo ultimo film, uscito in sala nella scorsa primavera, si intitola Tutta colpa di Giuda, ed è una commedia particolare, con decisi inserti musicali. E’ opera anomala nel nostro panorama cinematografico, un musical di ambientazione carceraria sulla passione di Cristo. Solo che nessuno vuole fare Giuda e questo dà il là ad un film dove carcerati veri interpretano se stessi, con esiti davvero divertenti, e sanno fondersi a meraviglia con gli attori professionisti: Kasia Smutniak, Fabio Troiano e Luciana Lettizzetto. Più la breve apparizione di Cristiano Godano, il leader dei Marlene Kuntz che compongono anche la colonna sonora del film. Di commedia c’è qualcosa anche nel bel film di Stefano Incerti, Complici del silenzio, a causa di alcuni atteggiamenti dei personaggi. Non cadiamo in pericolosi equivoci, però, perché quasi subito il film trova il suo sentiero drammatico, e la tensione diventa sempre più alta, dentro un opera di valido impegno e di più che sufficiente valore espressivo. In questo film si parla del dramma argentino dei Desaparecidos negli anni della dittatura, e se il paesaggio culturale del film non è la nostra bella e dolente Italia, ci pensano gli attori, un intenso Alessio Boni e il sempre bravo Giuseppe Battiston, oltre naturalmente al regista Stefano Incerti, a rendere positivamente italiano questo lavoro. Non è il caso di definire commedia neppure l’ultimo film di Giuseppe Piccioni, Giulia non esce la sera, interpretato da Valeria Golino e Valerio Mastandrea. Preferiamo definirlo un misto di dramma interiore e melò impossibile su sfondo amaro e realistico. Nel film ritroviamo le caratteristiche che hanno fatto di Piccioni un rispettabile regista italiano, ovvero la delicatezza del tocco e l’amore per la sofferenza e la complessità interiore dei suoi personaggi. Ma stavolta, rispetto per esempio a film come Fuori dal mondo, siamo un gradino più in basso. Pazienza, il film si lascia guardare, molto di più rispetto a film che se da un lato provano ad attraversare valli diverse dalla solita commedia, dall’altra si perdono in prodotti poco riusciti. Il caso dell’infedele Klara di Roberto Faenza è uno di questi, insieme ad Aspettando il sole di Ago Panini. Il primo c’è sembrato una pellicola con poca spina dorsale, che vorrebbe parlare di gelosia e cercare una forma espressiva nuova per l’Italia senza aver capito bene come e perché. E’ una storia, quella dell’ (in) fedele Klara, che riprende e sciupa il romanzo di Michal Viewegh, che annulla le sue sfumature ed appiattisce i mali e le motivazioni di chiunque cammini e parli dentro la pellicola. Verrebbe da dire che Faenza si trovi più a suo agio con l’esterno pubblico, storico, collettivo, politico, che con l’intimo psicologico. E’ un’idea che viene in mente ripensando velocemente alla sua carriera, ma non esiste pensare di costringere un autore a non confrontarsi con tutte le sfide del suo mestiere. Anche l’esordio di Ago Panini non ci ha colpito particolarmente: il film sceglie le strade di una storia corale, di un luogo sordidamente astratto e di una commedia nera per ravvivare il linguaggio cinematografico italiano. Le strade, però, le formule e gli stessi generi cinematografici, sono spazi insignificanti prima di essere attraversati e vissuti. E la cosa fondamentale di un film, come di ogni forma espressiva, è la qualità stessa del contenuto. I problemi irrisolti di Aspettando il sole stanno in una povertà contenutistica che sbiadisce la formula delle vicende incrociate. Nessuna storia del film ha stimolato la nostra curiosità di andare a vedere fino in fondo, nessuno dei personaggi ha offerto spunto di riflessione alcuno, nè ci ha divertito o coinvolto. Ma anzi il film è sfiancante, alla lunga se non prima. E non influisce sull’esito finale del lavoro neanche la trovata di ambientare quest’insieme di storie confinanti negli (ormai cinematografabili) anni ’80. Ricordiamo, prima di passare al film italiano più bello e più importante dell’intero 2009, una serie di piccoli film che hanno faticato non poco ad incontrare il pubblico. Il primo si intitola Polvere, esordio di Massimiliano D’Epiro e Danilo Proietti, ed ha un legame di contenuto piuttosto spesso con un altro piccolo film italiano uscito nei primi mesi del 2009: Sbirri, di Roberto Burchielli. Il comun denominatore di queste due piccole opere è la cocaina, nel senso che entrambi i film costruiscono un’interessante messa a fuoco di questo fenomeno/problema sociale sempre più dilagante nella nostra società. L’approccio di entrambi i lungometraggi è di tipo realistico, per il taglio del montaggio ed per il ricorso a strumenti di ripresa digitali, i quali danno maggior senso documentaristico a quanto veicolato dal racconto. Altri due piccoli titoli meritevoli di parole positive sono Solitudo e Il solitario, due produzioni italiane indipendenti, due esordi simili nel titolo e nella distanza dal linguaggio della Tv. Pino Borselli è il regista (e attore) del primo film, Francesco Campanini è l’autore del secondo. In realtà i film sono radicalmente diversi e se uno fa leva sull’estetica dell’immagine più che sulla storia, il secondo narra in maniera più convenzionale poggiandosi agli appigli del cinema di genere. Film noir anni ‘70, con malavita, rapine, armi, soldi sporchi e donne in nero, Il solitario è un film godibile e genuino. Solitudo, invece, non meno interessante dell’altro, è un’opera sperimentale e d’avanguardia, un film girato in Hd con risultati di un certo valore. Peccato che nove spettatori e mezzo su dieci non abbiano mai sentito nemmeno nominare questi due piccoli e interessanti titoli nostrani. Va bè, ricordiamone altri tre, prima di chiudere con lo straordinario film di Marco Bellocchio che ha rappresentato, unico film in concorso, l’Italia al Festival di Cannes. Altri due piccoli film del sottobosco italico 2009 sono infatti Dall’altra parte del mare, Sleeping Around e lo stravagante Focaccia Blues. Il primo, diretto da Jean Sarto, torna a riflettere, con un linguaggio complesso e articolato, sulla tragedia dell’Olocausto, puntando sulle affidabili interpretazioni di Vitaliano Trevisan e Galatea Ranzi. E’ un film complesso, colto, tanto interessante quanto non accessibile a tutti i palati, mentre il secondo, diretto dall’esordiente Marcello Carniti, raccoglie un nutrito gruppo di storie e le fonde, con cupi toni da atmosfera quasi fantascientifica, in un discorso amaro sulla cultura metropolitana e sulla società contemporanea. Anche questa piccola opera produce motivi d’interesse e spunti di riflessione che purtroppo sono rimasti confinati a qualche piccola sala di qualche grande città italiana. Due parole anche su Focaccia blues, il naif delizioso film pugliese che racconta, adottando la formula del docufiction, la storia di una Focacceria che ha messo in fuga il colosso Mcdonald. Carino, simpatico, genuino, lavorino originale e accattivante in cui giocano agiati Banfi e Renzo Arbore. Chiudiamo con la grande forza espressiva di Vincere, il film che racconta la passione tragica dell’indomita Ida Dalser, amante di un giovane Benito Mussoli. Il film racconta la storia di una donna che crede in una sola forma di libertà : totale, senza compromessi, menzogne o calcoli. E’ la storia di una ragazza borghese che si innamora di un uomo perché si accorge del suo carisma e perché condivide le sue idee rivoluzionarie. Una ragazza intelligente che perderà tutto ciò che ha a causa di quell’amore fatale, folle e sbagliato. E’ una donna di cui Bellocchio non poteva non innamorarsi, vista la passione dell’autore per le figure ribelli che ascoltano le proprie passioni, scartando le ipocrisie razionali facili prostitute dei sistemi politici e culturali. Non poteva non pensare, questo nostro orgoglioso, colto ed irrequieto maestro, di trasformare la vicenda dolorosa di questa donna schiacciata dalla Storia, in uno dei suoi personaggi più potenti. Un giorno vide in tv un documentario su di lei e non potè non pensare di sublimare quest’amore scoperto per caso in un racconto che si infila per forza dentro un altro magnifico e terribile, e che conferisce al primo un sapore più alto, un valore simbolico e pesante. E per ciò, dopo aver letto due libri (La moglie di Mussolini, di Marco Zeni, e Il figlio segreto del duce, di Alfredo Pieroni) su questa donna trentina nata forte e finita (non) pazza in manicomio, prima di morire giovane, a 47 anni, ecco un romanzo storico pieno di cinema denso e complesso, poco regolare nella sua grande vitalità, che racconta una violenza privata frantumata in polvere scomparsa nel disastro della violenza e della tragedia pubblica, nazionale, storica, universale. Ecco il destino tragico di una donna che rappresenta quello di un intero paese, incrociando la sua vicenda ad un mostro che procede spedito e incontrastabile, lungo tutto il film. Schiacciati entrambi da un uomo che guarda sempre avanti, quando fa l’amore in silenzio, quando immagina il futuro dalla finestra, nudo, e quando muove il viso in maniera innaturale conquistando il favore delle masse. E’ la storia di Ida Dalser, sconosciuta eroina romantica, uccisa dal fascismo e riesumata dal silenzio della Storia grazie alla determinazione di un grande e vivissimo regista italiano, e grazie al corpo lacerato, disperato e fiero, di una attrice mai così capace di darsi integralmente a un personaggio: Giovanna Mezzogiorno.


Enregistrer au format PDF