X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Claudio Simonetti incontra il pubblico – Roma 22/03/07

Pubblicato il 24 marzo 2007 da Marco Di Cesare


Claudio Simonetti incontra il pubblico – Roma 22/03/07

Importante appuntamento alla Casa del Cinema con Dario Argento e Claudio Simonetti, grazie all’interessamento della redazione del sito Colonnesonore.net.
Prima dell’incontro viene proiettato Opera.
Purtroppo, finito il film, in sala entrerà solamente Claudio Simonetti, il quale ci dirà che Dario Argento non potrà essere dei nostri, a causa del prolungarsi del suo lavoro a Cinecittà, per il missaggio de La terza madre. Ma può bastare anche solo la metà di uno dei sodalizi più importanti nella storia del nostro cinema, per farci trascorrere un’ora molto interessante.

Nella colonna sonora da te realizzata per La terza madre sono presenti brani musicali con orchestra e coro e anche un po’ di musica elettronica.

La terza madre è un film importante: non c’è più solo musica elettronica; ho preferito escludere a priori qualsiasi richiamo a Suspiria, perché sarebbe stato fuori luogo. Il tema dei titoli è molto orchestrale, con dei cori: è il tema della Terza madre, che si ripete spesso. È un coro alla ’Carmina Burana’, quindi non in sottofondo. Il testo è in latino: ho preso spunto anche dai libri, soprattutto dai salmi. Ho suonato i titoli di coda coi Daemonia; spero che alla voce ci possa essere il cantante di un importante gruppo del dark metal inglese, ma non dico ancora chi: sapete, il paese è piccolo…
Il film è molto dinamico e cruento, spero che la censura non lo tagli (anche perché poi magari fa passare indenne The Passion, considerato come un film religioso, quando in realtà non è altro che uno splatter): voi tutti siete amanti dell’horror immagino, quindi che horror sarebbe se non ci fosse violenza (e qui sogghigna giustamente soddisfatto, ndr)…?

Ti sei ispirato ad altri lavori orchestrali come, ad esempio, Il presagio?

Quella di Jerry Goldsmith è una grande partitura, vicina ai ’Carmina Burana’ di Orff. Poi mi sono ispirato anche a Bernard Hermann. Ci sono anche molti suoni elettronici, ma particolari, che richiamano i film degli anni ’50 e ’60, riletti attraverso le sonorità di oggi.
Non ho mai fatto qualcosa di così grande e importante: su 1h50’ totali di film, ci sono 1h35’ di musica ed effetti. Oggi il lavoro è facilitato dal computer. Una volta si andava alla moviola col contasecondi, in uno studio grosso, si suonava in sala, era tutto molto costoso: se si sbagliava, bisognava far tornare la bobina al punto d’inizio, perdendo così molto tempo.

Il tuo lavoro comincia durante il montaggio, o già in fase di sceneggiatura?

Dopo anni di collaborazione con Dario, dopo aver letto il copione vado direttamente sul set. Ma, di norma, la musica la si compone guardando le immagini.

A volte in fase di post-produzione un regista utilizza musiche preesistenti…

Sempre!

…poi dice al compositore di rifare la stessa musica. Tu come vivi questa situazione?

Con Dario non ho mai avuto problemi di questo tipo: parliamo del film, delle nostre particolari preferenze. Di solito gli piace subito abbastanza quello che scrivo: dopo devo solo apporre alcune modifiche.
Ed è molto meno rompiballe di registi meno importanti di lui che stanno tutto il tempo in studio, ad ascoltare quello che compongo; oppure ti mettono tutto Giuseppe Verdi e ti dicono «Voglio questo!». I registi, non solo in Italia, di solito non sono preparati in musica.

Nei grandi sodalizi capita spesso che ci scappi un cameo.

Ma io da tempo aspetto una proposta da Dario…! Ne ho fatto uno solo, con Stivaletti: vengo ucciso da un licantropo, in una piscina. Devo dire che il sangue migliore è l’amarena Fabbri, puoi anche ingoiarlo: così tutto diventa più realistico!

Prima di quest’incontro abbiamo proiettato Opera per la cui colonna sonora hai composto solo tre pezzi.

Allora, negli anni ’80, si usavano i film compilation (in America accade ancora oggi: basta pensare a Scream): è successo anche con Phenomena e, in parte, con Demoni. Dopo, per fortuna, sono tornato a essere il compositore per tutto il film.

A parte l’elettronica, una tua caratteristica sono i suoni e le voci femminili, per contrasto accostate a scene più forti: ad esempio, in Opera, una musica del genere sottolinea il vagare della protagonista dopo che ha assistito a un omicidio.

Spesso può funzionare, perché crea un contrasto molto forte.
Anni fa ho lavorato in un film che tratta delle vicende di Versace (The Versace Murder del 1998, ndr), con Franco Nero come protagonista. Alla fine assistiamo all’omicidio dello stilista con, in sottofondo, un romantico brano lirico.

Per Masters of Horror hai lavorato in America?

No, qui a Roma. Poi mandavo i file, pesantissimi, via FTP, fino a Vancouver: tutta la notte a scaricare…!
Certo che con un regista americano avrei avuto dei problemi: sarei dovuto andare fin lì.

Si dice che Phenomena sia stata la tua prima collaborazione da solista.

Ho avuto delle discussioni con la Cinevox per questo motivo: sul cd compare il nome Goblin, ma se lo giri potrai vedere come sul retro sia riprodotto l’lp originale, dove c’è scritto che i brani sono di Simonetti. È stato utilizzato il nome Goblin solo per vendere.

Parlaci di come siete stati scelti per Profondo rosso.

Noi al tempo eravamo solo dei ragazzini, mentre Dario era già un mito.
Ci chiamavamo Oliver e avevamo trascorso un anno a Londra, a realizzare demo e suonare dal vivo. Tornati in Italia, mio padre (il compositore Enrico Simonetti, ndr) mi portò alla Cinevox , che era la sua casa di produzione, dove c’era Carlo Bixio che era anche l’editore di Dario Argento. Non è facile essere un figlio d’arte, perché non è semplice portare su di sé il peso delle aspettative altrui: però, in quel momento il nome di mio padre mi fu d’aiuto.
Dario da tempo sognava di lavorare con una banda rock. Inizialmente la colonna sonora di Quattro mosche di velluto grigio (dove il protagonista suona la batteria in un gruppo rock) doveva essere composta dai Deep Purple, che avevano già cominciato i provini. Ma la legge per il cinema in Italia prevedeva che un film, per poter accedere ai finanziamenti pubblici, dovesse avere un cast in gran parte italiano. Però la montatrice Françoise Bonnot era francese, mentre i due protagonisti erano americani: così Dario dovette ‘sacrificare’ proprio i Deep Purple. Venne allora chiamato Morricone: di certo ha composto delle belle musiche, ma ancora oggi non capisco bene il nesso che passa tra Morricone e i Deep Purple…
Per Profondo rosso (il titolo Deep Red non vi richiama proprio i Deep Purple…?), Dario pensò agli Emerson, Lake & Palmer. Al tempo, però, lavorava con Giorgio Gaslini, con cui aveva realizzato La porta sul buio e Le cinque giornate.
Bixio gli parlò di me. Dario allora ci scelse per arrangiare le composizioni di Gaslini, che ci portò la partitura, per poi andarsene. Era sempre impegnato col suo lavoro di jazzman, non c’era mai per il film: per questo motivo Dario discusse con lui e la loro collaborazione terminò lì. Dario ci disse che dovevamo finire noi la colonna sonora: ma mancava praticamente tutto il film (il tema portante ad esempio; nostra è la facciata A del 33 giri, mentre i pezzi sul lato B, come la nenia del bambino, sono di Gaslini). Così ci rinchiudemmo nella mia cantina all’EUR e, in una nottata, scrivemmo il brano ‘Profondo rosso’; nei giorni seguenti realizzammo gli altri.
A quei tempi, in Italia, il progressive era molto seguito da una buona fetta di pubblico, ma, comunque, andavano di moda sempre Baglioni e ‘Anima mia’ dei Cugini di campagna: per noi la vita non è che fosse poi molto facile.
Il film ebbe subito molto successo, ma la musica venne stroncata dalla critica: c’è chi la giudicò fracassona.
Eppure, in seguito, il disco cominciò a vendere: ha un record che resiste ancora oggi, quello di 15 settimane al primo posto, mentre ‘Questo piccolo grande amore’ è secondo a 13… Ha venduto 3 milioni di copie ed è rimasto nella hit parade per un anno intero.
Andavamo in televisione per promuovere il disco: prima si esibivano i Cugini di campagna e Baglioni, e poi noi! Comunque eravamo anche invidiati, perché avevamo raggiunto il successo grazie alla musica che ci piaceva.

Come hai registrato l’inciso d’organo?

Il loop di ’Profondo rosso’…? C’è un arpeggio di chitarra e un minimoog. Oggi si può utilizzare il computer. Ma a noi, al tempo, non andava di suonarlo sempre uguale per cinque minuti: per cui abbiamo preso il nastro della registrazione e abbiamo unito i pezzettini con lo scotch e lo abbiamo fatto girare vicino al microfono!
La casa di produzione aveva la sala di registrazione a Piazza Euclide, sotto una chiesa con un organo che io suonai per il brano.

Parlaci delle altre tue collaborazioni.

Non mi piace essere ripetitivo: per anni ho suonato musica dance, ho scritto ‘Gioca Jouer’. Sono tornato indietro, ai miei primi anni, per amore del rock e del cinema.

Sappiamo che hai in cantiere un altro progetto: un musical su Profondo rosso, per la prossima stagione teatrale.

Sì: me lo ha proposto una compagnia di Milano, molto famosa (ha già realizzato Fame e Gian Burrasca) e molto preparata. Lo spettacolo dovrebbe debuttare a novembre, negli stessi giorni dell’uscita de La terza madre (prevista per la notte di Halloween, ossia il 31 ottobre). Gli unici brani di repertorio sono la ‘Bambina’ di Gaslini, ‘Deep Red’ e pochi altri: tutto il resto è inedito, comprese anche alcune canzoni. La regia è di Sergio Stivaletti, mentre Dario ha voluto avere la supervisione su tutto il lavoro. Se ci pensate, già Il fantasma dell’opera era un horror e un musical insieme.

Con Nonhosonno hai cambiato approccio.

Siamo tornati al vecchio giallo, a Torino. Abbiamo pensato di rimettere insieme i Goblin, ma me ne sono subito pentito: è come un matrimonio, quando finisce finisce, non si può tornare indietro; ormai apparteniamo ad ambienti diversi. Dopo pochi giorni in due suonavamo in uno studio, mentre gli altri due in un altro…
Ne è risultato un sound che è sì il nostro, ma senza la necessaria convinzione.

Non ti sei ripetuto per Il cartaio.

L’anno prima de Il cartaio avevo ricevuto una proposta da New York per una reunion dei Goblin, per una sola data, che avrebbe, però, coinciso col periodo di lavorazione del film. Quando i biglietti erano già stati venduti, pochi giorni prima di partire, gli altri componenti del gruppo decisero di non venire…
L’impresario americano insistette perché andassi comunque. Tenni il concerto, coi Daemonia: il pubblico non se la prese e ottenemmo un certo successo.
Da quel momento i Goblin sono diventati un capitolo chiuso.

Difatti poi hai realizzato Il cartaio da solo.

Lì è tutto elettronico, internet è protagonista, non poteva esserci un altro tipo di musica. Ringrazio Stefania Rocca: è un’appassionata di elettronica, mi ha fatto ascoltare molti dischi della sua collezione.
Ho utilizzato Moog, PPG e varie altre cose: oggi i plug-in vintage sono belli e comodi, perché imitano benissimo, ad esempio, i moog di una volta.

Tenebre rappresenta un momento di passaggio tra i Goblin e il tuo periodo da solista: come è andata? Si tratta di una colonna sonora molto particolare.

Mi piace molto.
Dario voleva i Goblin, che si erano sciolti nel ’78. Quindi eravamo in tre: io, Morante e Pignatelli, senza Marangolo (c’era la batteria elettronica).
Io nel periodo dal ’78 all’84 ho fatto musica dance, per cui ho pensato al vocoder, per creare un effetto di paura e ho convinto il restìo Pignatelli a una versione discotecara: così è nato il brano ‘Tenebre’.

Cosa ascolti?

Di tutto, anche Céline Dion e Whitney Houston: non ho pregiudizi, quando uno è bravo è bravo. Comunque ascolto molto rock, anche la classica, un po’ meno il jazz.

Parlaci della tua etichetta ‘Deep Red’.

La pioggia tempo fa ha distrutto lo studio: ho potuto recuperare solo una parte del materiale. Dovrei poter far uscire le colonne sonore degli anni ’80, quelle realizzate per Deodato e Lamberto Bava.


Enregistrer au format PDF