X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



CONVERSAZIONE COI CITRULLO INTERNATIONAL

Pubblicato il 22 febbraio 2006 da Edoardo Zaccagnini


CONVERSAZIONE COI CITRULLO INTERNATIONAL

Siamo andati a farci raccontare la storia di un viaggio e ne abbiamo ascoltate almeno due. Poi altre, di traverso e di assoluto interesse. Abbiamo scoperto la crescita di quattro ragazzi (col digitale sulla spalla) e riconosciuto, nel loro lavoro, l’incrocio sinergico tra la critica e il cinema “attivo”. Abbiamo visto, illuminata a torce, la strada che dall’incontro col grande cineasta conduce al nuovo, antico, originale e umile, modo di fare racconto cinematografico. Abbiamo riscoperto ed apprezzato quella storia, tangente all’ opera d’arte, che diventa narrazione propria: opera indipendente, prima e dopo, liberamente insieme. Il nodo inossidabile e solidale che unisce due storie e riconcilia con il cinema, poiché lo salda alla vita, alle esistenze e ai loro perpetui e fertili pensieri. Incontrare Daniele, Luciano, Gerardo è stato ascoltare senso sopra un accento delicato e colloquiale che ha reso semplice e ricco il confronto. Utili e facili l’ascolto, la comprensione e il consenso; interessante, assai, ogni loro argomentata risposta. Nessun parlarsi addosso, massima attenzione alla verità: solo il contenuto, sinceramente elaborato, di esperienze e idee. La spiegazione di un amore per il cinema che nasce dal suo legame con le cose della vita. Dall’università e il cineclub di periferia alla più America che ci sia. Quella che dal Texas, o i milioni di villette a schiera, conduce davanti a Hollywood, e poi dentro fino a illuminare le vene e a far sentire l’odore di quelli che la “fanno” anche a cineprese spente. A tg e rotocalchi finiti. Da Roma a ad Arthur e Sean Penn, in nome e per volere dell’ uomo che non si vede, ma che tutti rispettano e considerano grande: Terrence Malick. Vedere e parlare per capire, prima ancora per conoscere. Poi scoprire l’uomo che c’è dietro e sentire la felicità per il documento salvato in Hard disk e di fondamentale, irreversibile ed intima importanza. Si chiamano Citrullo International), che non è il massimo del “figo” ma un segnale indicativo di carattere, personalità, forma. Abbiamo chiacchierato con loro per un po’ e ripercorso, a parole, il tragitto compiuto fino ad ora. Siamo partiti proprio da questo nome così bizzarro:

C’è un precedente divertente, e un po’ paradigmatico, dello spirito con cui facciamo le cose. Lo raccontiamo perché può essere utile a chiarire meglio la nostra cocciutaggine. Tra i primi progetti del gruppo c’era l’idea di un cineclub al Trullo, un quartiere alla periferia di Roma. Per inaugurarlo avevamo invitato nientemeno che Jean-Luc Godard. Lo avevamo fatto chiamare da una cabina telefonica della Garbatella da Giulia, la ragazza di Daniele, che parlava francese. Lui si mostrò disponibile e carino. Ma il cine-club non si fece più. Però da quel tentativo saltò fuori il nome: dal mancato cine club “Cine-trullo”, uscì fuori “Citrullo”.

E quale fu il primo passo dei Citrullo?

Il nostro primo lavoro fu a proposito di Otar Iosseliani, un regista che ci affascinava molto. Avevamo la possibilità di lavorare a una pubblicazione su di lui, e la cosa che ci sembrò più giusta fu l’idea di lavorare a un libro-intervista. Ci sembra che questo sia uno dei modi più interessanti ed utili di fare critica. È un approccio che consente un incontro, un confronto diretto, un dialogo aperto con gli autori.

Un libro per iniziare..

Venivamo da una pessima esperienza universitaria, da un’occupazione che non andò bene. Poi capitò l’occasione di poter realizzare una collana di libri sul cinema per un piccolo editore romano. E la nostra scelta si orientò subito su Iosseliani. Così andammo a Bologna, dove Iosseliani teneva un seminario e lì avemmo l’occasione di incontrarlo e sottoporgli le domande per il libro. Qualche mese dopo Iosseliani accettò di venire a Roma per essere intervistato. Quello può essere considerato il primo capitolo della nostra storia. In realtà la svolta, se così la vogliamo definire, è avvenuta alla fine dell’intervista: lì abbiamo capito la grandezza umana della persona che avevamo di fronte. Da quell’esperienza nacque poi la voglia di continuare, il desiderio di stare dentro al cinema sia dal punto di vista critico che filosofico, concentrandoci su progetti monografici che prevedessero l’incontro con gli autori. Eravamo animati dal desiderio di imparare e trasmettere la ricchezza di questi incontri. Questo è avvenuto con qualsiasi personaggio abbiamo incontrato, da Kitano, a Kaurismaki, allo stesso Malick.

Alla scoperta dell’uomo che c’è dietro al cineasta...

Abbiamo sempre considerato queste persone degli artisti in senso pieno. Disarmanti all’inizio e poi estremamente facili da amare. Gente molto auto-determinata e animata da una forte componente etica. Persone che si sono guadagnate quello che hanno con coerenza e costanza, che mettono la loro natura esistenziale ed intellettuale dinanzi a tutto. Gente che guarda il cinema da una prospettiva morale. Per noi sono stati modelli di vita: nella loro diversità ci hanno mostrato quanto sia importante andare dritti per la propria strada. Rappresentano per noi una sorta di costellazione di riferimento.

Quale è stata la strada che da Iosseliani ha portato a Malick?

Un altro grande incontro è stato quello con la Ubulibri: casa editrice con la quale abbiamo realizzato tutte le nostre pubblicazioni. L’editore col quale avevamo progettato il lavoro su Iosseliani, alla fine è scappato quando ha visto la mole del nostro lavoro. Così abbiamo mandato il manoscritto a tutte le case editrici italiane. Una nota casa editrice ci ha detto: “Il vostro libro è molto bello, ma i libri migliori sono quelli che non si pubblicano”. Poi ci ha risposto Franco Quadri che invece ci ha fatto fare il libro esattamente come lo avevamo immaginato. Ci ha addirittura insegnato come si fa un libro. Basti pensare che siamo andati da lui a Milano per starci tre giorni e invece ci siamo rimasti un mese. A Franco Quadri, Otar Iosseliani ed Enrico Grezzi vanno sempre i nostri tre ringraziamenti speciali, quelli che mettiamo in ogni nostro documentario. Sono loro che in un modo o nell’altro ci hanno dato la possibilità di fare quello che facciamo. Ghezzi, ad esempio, ha accettato di scrivere l’introduzione al libro su Iosseliani. Questo ci ha molto incoraggiato, essendo noi all’epoca molto giovani e al nostro primo lavoro. Con queste persone continuiamo ancora a collaborare.

La lunga strada verso Malick..

Ad un certo punto abbiamo deciso di fondare una piccola casa di produzione e quello su Malick è stato il nostro primo documentario. L’amore per questo autore era nato con La sottile linea rossa. Ricordo che in quel periodo avevamo una prospettiva eurocentrica del cinema. Guardavamo molto anche quello americano ma ci dedicavamo con più energie a quello europeo, quasi per un’ideologia inconscia. Attraverso Malick abbiamo avuto l’occasione di tornare al cinema americano in modo nuovo.

Ma come avete fatto a partire per gli stati uniti e intervistare personaggi di quel calibro?

Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Malick a Milano. Proiettavano Badlands in un evento all’interno della Milanesiana organizzato da Elisabetta Sgarbi ed Enrico Grezzi. C’era anche Umberto Eco e, incredibilmente, lo stesso Terrence Malick. In maniera ancor più incredibile egli accettò di rispondere ad alcune domande del pubblico presente in sala. Lì gli proponemmo il nostro progetto e gli chiedemmo la sua adesione. Senza il suo consenso non ci saremmo mai mossi. Non era solo una questione di permessi ma anche un nostro principio per il quale lavoriamo solo in “collaborazione” col personaggio di cui trattiamo. Lui fu estremamente disponibile e l’unica clausola che pose fu quella (solita e per noi scontata) di non essere presente. La sua adesione ha reso possibile la partecipazione di tutti i protagonisti del documentario che altrimenti non si sarebbero fatti intervistare per il rispetto che nutrono nei confronti di Malick e della sua riservatezza. Al di là dell’aneddoto di Sean Penn, che in La sottile linea rossa ha lavorato con la paga sindacale, abbiamo riscontrato una forte partecipazione emotiva di tutti al nostro lavoro proprio perché Malick è considerato unanimemente un artista di grande spessore. Oltre che un paradosso di indipendenza all’interno del meccanismo hollywoodiano.

Cosa si prova a conoscere uno come Malick?

Si scioglie il mito e si aprono un’infinità di spunti e di intrecci. Ci siamo resi conto di una forte solidarietà intellettuale che c’è tra grandi artisti anche all’interno di un contesto come Hollywood. C’è tutta una Hollywood parallela (che è comunque Hollywood), che coltiva progetti di valore all’interno di un sistema dove dilaga l’affarismo. E’ una sorta di resistenza poetica, soprattutto oggi in cui questa logica di guadagno si sviluppa in maniera ancora più spudorata rispetto al passato. The New World è un film fuori da ogni tipo di logica commerciale. Malick è un outsider che sta dentro al sistema con una forte componente “etica”. Ribadisce l’importanza e la possibilità di essere se stessi in un mondo pieno di imposizioni che limitano un approccio filosofico e sincero al cinema.

Con Daniele, Luciano, Gerardo non si è potuto non parlare dell’ultimo, grande, importante film di Terrence Malick. Le risposte del gruppo “ Citrullo international” sono quelle di chi ha conosciuto da vicino l’autore. Le loro conclusioni aggiungono dati e prospettive utili a qualsiasi approfondimento sull’autore americano. E allora parliamo un po’di The New World..

Poema epico e sublime componimento d’amore, in cui si sente tutto il potere del cinema. E un grande rigore espressivo. Non si tratta di un rigore coatto, ma piuttosto morale ed estetico insieme.

Questo film non ha ottenuto solo consensi, anzi..

Come tutti i film di Malick. Del resto è un regista difficile per chi si aspetta un classico kolossal hollywoodiano. Quando vai a vedere The New World ti trovi invece davanti a qualcosa che non hai mai visto. Inoltre è stato pubblicizzato come un film sugli indiani e per le famiglie...Tutti gli elementi del cinema di Malick sono presenti in questo film: c’è I giorni del cielo, c’è Badlands e c’è La sottile linea rossa. C’è lo scontro tra culture, c’è l’impossibilità della purezza umana, c’è il rispetto per l’altro. C’è l’utopia e il suo contrario, l’amore per la natura e con esso il riconoscimento della sua crudeltà.Insomma ci sono tutta una serie di problematiche irrisolte che sono un modo di guardare il mondo. Malick ha una visione dis-incantata dell’universo. Il film possiede un’astrattezza che sa colpire in profondità. Lo spettatore deve come planare, bisogna che si lasci andare...

State lavorando ad un nuovo progetto che ruota intorno a un film di Malick: Badlands

Si tratta di un progetto nato per volere dello stesso Malick. Negli Stati Uniti è in uscita la nuova edizione del dvd di Badlands in alta definizione. Malick ha chiesto alla Warner Bros che fossimo noi ad occuparci degli extra, tenendo conto del lavoro da noi già svolto e dei materiali in nostro possesso. Va considerato che abbiamo più di cento ore di girato e da queste siamo partiti quando abbiamo spiegato a quelli della Warner i temi e la struttura del nostro progetto. Badlands: an American fairytale, il documentario che ne è venuto fuori è per certi versi più classico di quello precedente, che raccoglieva emozioni ed entusiasmi del nostro viaggio americano. Ha un approccio diverso e analizza anche le fasi di lavorazione del film. Naturalmente abbiamo colto quest’altra occasione per indagare alcuni aspetti del suo cinema che non avevamo approfondito in precedenza. Come il rapporto con la terra, con le sue origini texane. O ancora quali, e quanto profondi, siano i suoi riferimenti cinematografici: da James Dean e in particolare un film come Il gigante, a Bonnie & Clyde e più in estensione a tutto il cinema di Arthur Penn, che ha inoltre aiutato Malick nella produzione di Badlands. Bonnie & Clyde somiglia molto a Badlands: il film di Malick è quasi una variante sul tema. Abbiamo ancora molto materiale inedito, girato per Rosy-fingered Dawn, sul quale ci piacerebbe lavorare.

Non è detto che non accada..

Noi ce lo auguriamo. Ci piacerebbe poter realizzare un libro su Malick.

E qual è stata la strada del primo documentario dopo la sua realizzazione..

Siamo andati subito a Venezia nella sezione "Nuovi territori", dove il film ha avuto un’ ottima accoglienza. Poi il documentario ha girato per diversi festival nel mondo ed è stato trasmesso dai canali satellitari di Svezia, Finlandia, Canada, Israele, Gran Bretagna, oltre che in Italia su Tele+, Sky e "Fuori Orario". Il lavoro ha quattro anni, ma continua a suscitare interesse.

Tornando al vostro ammirato rispetto e alla grandissima considerazione artistico-umana per Terrence Malick, volevo chiedervi se in Italia esistono registi che possono essere considerati alla stregua dell’autore di Badlands..

Un nome che ci viene in mente è sicuramente quello di Ermanno Olmi, ma ci preme dire che proprio nell’anno in cui uscì Il mestiere delle Armi, uscirono anche altri due film.

L’ora di religione di Marco Bellocchio e Chimera di Pappi Corsicato. Due autori importanti, che in modo diverso, non hanno vita facile.

Approfondite questa risposta..

Riteniamo che Bellocchio, attraverso il suo cinema, non abbia paura di dire quello che pensa. Lo scandalo che solitamente si sviluppa attorno al suo lavoro è sempre uno strumento che serve a depistare e a nascondere il contenuto del suo messaggio. Il chiacchierare sulla bestemmia de L’ora di religione non è altro che un valido esempio di questo discorso. La parte “offesa” compie un finto superamento dell’ “oltraggio” ed evita, così, di affrontare un argomento delicato, sempre attuale, ed importante. E’ un modo di neutralizzare il messaggio..una forma di censura molto sottile. Un atteggiamento che paradossalmente può avvenire anche attraverso l’esaltazione (castrante) di un personaggio. E’ un po’ quello che adesso sta accadendo con Pier Paolo Pasolini. Poi c’è un’altra forma di censura che è quella di non dare i soldi. Corsicato è vittima di quest’altra forma di censura.. Raccontiamo un aneddoto di Iosseliani che può aiutarci a spiegare meglio questo concetto: egli ci diceva che quando era in Unione Sovietica aveva moltissimi problemi con la censura, in quanto il suo era un cinema a-sovietico. I suoi film andavano oltre la realtà politica di quel tempo e di quel luogo, in qualche modo la superavano. Le sue storie ignoravano il contesto e si occupavano universalmente dell’essere umano. Questo non piaceva al regime. Per cui era costretto ad inventarsi mille escamotage per aggirare la censura. Spesso depositava una sceneggiatura che veniva approvata e poi la stravolgeva completamente durante le riprese. Così riusciva, nonostante le pressioni del regime, a conquistarsi una certa libertà espressiva. Una volta a Parigi la libertà è stata molto più relativa perchè soggetta a regole meno palpabili, ma molto più pressanti. La censura economica rappresenta un ostacolo costante, non tanto per motivi politici, quanto perché un film cosiddetto d’autore non garantisce la sicurezza del tornaconto economico al produttore.

Per tornare al vostro lavoro e concludere. Il vostro non cinema sembra avere un suo linguaggio, aprirsi una strada comunicativa che parte dalla critica ed arriva all’epressione diretta:

Cerchiamo sempre di stimolare la curiosità del nostro referente verso l’oggetto che gli proponiamo e al contempo siamo alla ricerca di un nostro linguaggio. La forma tuttavia nasce sempre dal percorso di ogni singolo progetto e si forma strada facendo.

E Malick come ha reagito al vostro primo lavoro?

La prima volta che si è accinto a vedere il nostro documentario ci ha telefonato per dirci che la cassetta gli si era incastrata nel videoregistratore e non era riuscito a vedere nulla. Poi, risolti i problemi tecnici, ci ha detto che con la moglie si era commosso nel vedere riuniti nel documentario tutti gli amici con cui aveva condiviso tante esperienze durante la realizzazione dei suoi film.

Grazie mille ragazzi.. e in bocca al lupo per tutto..


Enregistrer au format PDF