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Conversazione con i Manetti Bros

Pubblicato il 2 marzo 2006 da Andrea Di Lorenzo


Conversazione con i Manetti Bros

Il vostro ultimo film, Piano 17 uscirà nelle sale il 3 marzo. La particolarità di questa vostra ultima fatica è che si tratta di un film low-budget autoprodotto, senza nessun grande produttore alle spalle. Una pratica che ricorda un pò quella di Roger Corman...

Marco Manetti Gabriele Albanesi ci paragona spesso a Corman, ed il paragone forse è giusto. In qualche modo abbiamo una rete di collaboratori intorno a noi, come una famiglia, facciamo le cose per noi, ad esempio ora stiamo montando un corto di Alessandro Marinelli ed anche il film di Gabriele Albanesi, Il Bosco Fuori, è stato montato qui. Quindi il paragone ci lusinga, ed è corretto sotto questo aspetto. Però c’è una differenza fondamentale come Corman: lui è un imprenditore, ha un sistema low budget per fare film di genere e per guadagnarci sopra ma non vorrei suonasse come una critica allo stesso Corman, perchè anche noi pensiamo che il cinema debba essere fatto per questo. Piano 17 in realtà nasce con intenzioni più leggere, meno industriali. da un’idea avuta con Giampaolo Morelli: volevamo fare qualcosa che ci piacesse utilizzando il nostro tempo libero, ed in questo senso è diverso dalle intenzioni di Corman.

Antonio Manetti Il fatto stesso che esca al cinema per noi è una sorpresa assoluta principalmente lo abbiamo fatto per divertirci, per il piacere di farlo. Quindi questa è la differenza. Però il paragone è interessante, ci piacerebbe arrivare a quei livelli un giorno.

Questa è una cosa molto importante. Parlate giustamente di piacere nel realizzare: molto spesso si vede nel cinema una possibilità di guadagno, o una via rapida alla fama, voi invece date una forte spinta a chi avvicinandosi al cinema ed avendo pochi soldi voglia fare qualcosa solo per passione.

MM Durante la conferenza stampa ci siamo accorti che non abbiamo risposto in maniera corretta ad alcune domande. Certo, quando ti chiedono "Che sfida lanciate al cinema italiano?" lì per lì ti viene da rispondere "La sfida è che si può fare cinema a basso costo", però poi, discutendone insieme oggi al telefono con gli altri, ci siamo detti, non è vero, noi non lanciamo la sfida a nessuno. L’unico messaggio che lanciamo, in effetti, non è rivolto nè al cinema italiano nè ai grandi produttori, è più indirizzato a quelli più sfigati di noi, a quelli che iniziano e che hanno spesso la colpa di non sfruttare ciò che la generazione gli ha dato: prima era difficile iniziare, ora è molto più facile. Poco tempo fa siamo stati a Berlino ad una conferenza sul cinema micro budget, che loro chiamano microWave (letteralmente micro onda), che rapprensenta una nuova ondata di giovani cineasti che realizzano film con micro budget. Davanti ad una folla di più di 500 giovani registi una donna che lavorava per la Film London, una società inglese micro budget, ha detto: "Non avete più scuse, alzate il culo e girate!". Stare seduti ad aspettare finanziamenti è solo una scusa.

AM In qualche modo anche Albanesi ha un ruolo importante in questo progetto: noi lo seguiamo da qualche anno ed era da un pò che cercava di realizzare Il Bosco Fuori. Voleva che fossimo noi a produrlo, ma non avevamo il modo per farlo. Allora ci chiese di presentargli qualche produttore, anche se noi continuavamo a ripetergli che era inutile. Lo abbiamo anche fatto, ma poi leggevano la sceneggiatura del film e si tiravano indietro. Alla fine lo abbiamo spinto verso questa auto produzione, come del resto aveva già fatto per il suo corto. Il tempo non gli mancava. Poi ci è venuta l’idea di fare un film così anche a noi. Il fatto che siamo professionisti non ci impedisce di farlo. La passione non ci manca, avevamo un periodo libero, era un film difficile da proporre (i produttori sono sempre spaventati dal puro genere). Eppure lo abbiamo fatto.

Forse allora è questa la nuova sfida per il cinema italiano: fare film di puro genere.

MM La sfida è che questo film, Piano 17, possa servire non a far vedere che si può far cinema di genere a basso costo, ma che può avere un buon esito di pubblico e che in qualche modo l’industria del cinema capisca che il genere ha delle possibilità. La speranza è che anche il pubblico accetti il cinema italiano di genere.

AM Io, primo tra gli spettatori, quando vedo un film italiano di genere sono dubbioso, non ci credo tanto. Ed i miei dubbi sono il più delle volte confermati, anche se non vedo molti film italiani. Questo è dovuto al fatto che siamo tutti prevenuti sul cinema italiano: è un altro, non ci credi tanto.

MM L’idea è che il genere non sia nella cultura italiana, quindi quando realizzi un film con molti soldi, molti committenti e dove inevitabilmente parlano in tanti, questa non-cultura del genere penetra nel film e ti accorgi che contestano delle cose che in qualche modo vanno a rovinare quelli che sono i veri equilibri del genere. Del resto, i produttori italiani che vogliono fare il genere ma non lo amano profondamente, considerano questo tipo di cinema come molto superficiale. Durante il montaggio del film, c’è stato sempre suggerito di tagliare qualcosa nella parte centrale: ci dicevano che le parti di flashback, quelle non propriamente di genere riguardanti la vita di ufficio, erano un pò noiose. Ma non l’abbiamo fatto. Ti faccio un esempio: siamo convinti che la scena in cui lei si arrampica sulle corde dell’ascensore sia resa più emozionante dal fatto che grazie a quei flashback tu conosci quella ragazza. Può essere che per due minuti ti sei annoiato, ma poi quella sequenza ti da più emozioni, perchè vedi come reagisce. I generi in fondo sono questo: si parla di emozioni, di umanità, di verità.

Anche il classico noir americano altro non era che uno specchio sulla stessa società americana che cambiava.

MM Una volta dissi ad una persona che voleva che facessi dei tagli, sempre riguardanti la scena della mensa, che quelle scene sono la differenza che c’è tra Alien e Relic. Nel senso che in tutti e due i film ci sono persone rinchiuse in un posto claustrofobico inseguite da un mostro, però in Alien sono delle persone, e in Relic no! Il realismo delle persone è molto importante per calarti nella situazione del genere: per aver paura che quella persona muoia devi averla conosciuta, devi riconoscerci te stesso, o qualcuno che conosci, la tua famiglia, i tuoi colleghi. Altrimenti è solo un film superficiale. Anche in America fanno film di genere superficiali, sono belli esteticamente perchè ci spendono tanti soldi, ma chiaramente ci sono i film brutti pure là. Per questo secondo noi è importante costruire dei caratteri nella storia. Vogliamo mantenere gli schemi dei generi, ma è chiaro che quando ci sono dei committenti è difficile mantenerli. Quelli pensano che un film di genere è tutto ritmo, e invece no. Perchè quando vedi Bad Boys 2 o Fast and Furious 2 ti rompi le palle, e ti rompi le palle a ritmi elevatissimi! Al contrario di quando ti guardi Heat, anche se è più lento rispetto agli altri due. Questo perchè c’è più amore per il genere dentro, non c’è solo la voglia di fare i soldi.

Cambiando discorso. Cosa pensate della cinematografia italiana? Vi riconoscete al suo interno?

MM Prima di rispondere vorrei precisare una cosa: non abbiamo nessun intento guerresco verso il cinema italiano, non vogliamo sollevare nessuna polemica.

AM E poi siamo egoisti, vorremmo avere i nostri spazi per fare ciò che ci piace.

MM Però la mia impressione da osservatore asettico è che la cultura italiana sia in una fase di stanca, non stimolante. Non escono fuori cose molto interessanti ed il cinema, tra tutte queste culture, è quella che sta messa peggio. Forse ciò è dovuto al fatto che il cinema è più complicato, richiede uno sforzo maggiore: uno scrittore ad esempio scrive da solo, mentre per un film devi trovare i soldi, devi trovare le persone. L’impegno è maggiore. A causa di questa fase involutiva, senza nessuna polemica, non ci sentiamo parte di questo gruppo.

AM E non è una cosa nuova. Così come non è nuovo quello che ricerchiamo.

MM Per la nostra posizione umana, non sentiamo di dover fare o non far parte del cinema italiano, sentiamo di dover far parte del cinema. In fondo a me non importa tanto l’intento politico-sociale, non voglio far crescere il cinema italiano, non sono interessato a questo genere di cose. Al cinema ci sono film che mi piacciono, non è che non c’è la possibilità di andare al cinema a vedere qualcosa di buono, ci sono film che mi piacciono e da cui prendo ispirazione ma in questo senso non c’è nessun film italiano che m’ispira. Non lo vivo come un dramma. Vivo, da cineasta, come un dramma il fatto che non posso fare quello che voglio fare e che non si fa. Mi ritorna in mente un nostro amico e idolo, DJ Graf, che alla domanda "Cosa ne pensi del rap italiano?" ha risposto, "A me il rap piace". (Risata) Io ci tengo però a rispondere sinceramente: questa non è una polemica nè una volontà di cambiare il cinema italiano. Voglio fare il mio film secondo i miei gusti.

E comunque facendo questo film voi cambiate un pò il punto di vista italiano sul cinema: come voi siete riusciti a fare un film del genere, altri potrebbero seguire il vostro esempio dando il via ad un fenomeno nuovo.

AM Nel nostro film ci sono essenzialmente due strade che seguiamo: quella produttiva low budget e quella di genere. Sono due novità per la nicchia del cinema italiano. In Italia purtroppo, o meglio nei film in lingua italiana, non ci sono queste due cose. Come spettatore io vorrei vedere solo genere e se mi danno un film in lingua italiana, magari con i miei amici sarei contento e li andrei a vedere. Sarei contento se questo accadesse però non è la motivazione che ci ha spinto a realizzare Piano 17.

MM Però io spero che un giorno nasca un’industria del genere italiano, mi piacerebbe molto, anche perchè egoisticamente a me conviene: inserito dentro l’industria propongo il film di zombie che sto scrivendo e me lo fanno! (Risata)

AM A causa della nostra cultura, che è una passione e non una scelta di campo, siamo fuori sia dal cinema importante dei David di Donatello o di Venezia sia da quello basso, dei film di Natale, della commedia italiana. Certamente entrare nell’industria mi farebbe piacere...

MM Magari entrasse il genere nell’industria cinema italiana.E’ vero che low budget è bello, essere indipendenti è bello, però non è che mi dispiacerebbe fare Matrix... ma non si può! Non c’è la possibilità. Sempre dal punto di vista egoistico, mi viene in mente, che se in Italia si sviluppasse una cultura del cinema di genere industriale e si decidesse di produrre un Matrix, forse chiamerebbero noi, considerato che siamo pure fratelli! (Risate)

AM Sarebbe positivo per lo spettatore se si venisse a creare un filone di cinema low budget: dei film italiani, per me, i più interessanti sono i più economici, mi interessano di più, sono quelli che l’industria non ha accettato, sono più vicini ai miei gusti. E poi il low budget può creare la novità in quanto permette una forte forma di sperimentazione.

MM Anche se forse è il caso di fare un discorso più serio: c’è un rischio implicito nel low budget giovane, ovvero questa tendenza al cattivismo, a pensare che la libertà d’espressione sia un’occasione per fare qualcosa che prima sarebbe stato censurato. Credo che anche questa sia un’esigenza americana più che italiana. Loro hanno Matrix, Bad Boys, hanno Heat, e se uno scrive Heat lo trova un produttore e allora è chi scrive Hostel che necessita dell’indipendenza. Si cade sempre in questo grande errore di pensare che il giovane cineasta italiano debba scrivere Hostel: ma sai quanta acqua deve passare sotto i ponti prima di scrivere un film del genere? Prima dammi un poliziesco normale, fai vedere che si possono fare i polizieschi in Italia, fai vedere che si può portare il pubblico a vedere cose di questo genere e poi, dopo, nascerà spontaneamente il desiderio di fare vedere quello che si trapana la lingua! Temo che la motivazione di fare il film low budget e di pensare che si debba essere efferati e immorali sia una spinta fasulla. E’ una spinta che gli americani hanno, e li capisco, perchè è quello che l’industria non ti permete: di essere scorretto, truce. Il problema qui è un altro: l’industria italiana non ti permette di essere divertente.

Infatti quello che si nota è una mancanza di sarcasmo nel cinema italiano, secondo me, cosa che invece ho trovato nel vostro film soprattutto nel continuo prendersi gioco dei napoletani, divertente ma forse rischioso...

MM Si, molto rischioso.

AM Non lo è perchè è fatta da un napoletano e per questo è divertente!

MM Però più che sarcasmo lo chiamarei leggerezza. Ironia. Non è una cosa che vuole essere cattiva. E’ più un dire "non stiamo lanciando grandi messaggi, stiamo facendo un film diverte". E’ divertente la risata, come è divertente l’emozione dell’adrenalina, come è divertente la suspense. Sono cose che hanno come fine il divertimento, e in Italia c’è questa malattia per cui sembra che il film che abbia come scopo quello di creare suspense o quello di farti ridere o quello di farti paura, sia una cosa superficiale o minore. Chi lo pensa non si accorge che in fondo sta denigrando anche Hitchcock... E poi vado ancora più in là, tu dicevi il genere lo hanno inventato gli americani. Non è vero, non lo hanno inventato loro...

Però se pensi ai generi li ricolleghi subito all’America.

MM E’ vero. Però forse il genere lo abbiamo inventato noi, anzi i greci prima di noi. L’Odissea è genere. Shakespeare è genere. Gli americani sono quelli che lo industrializzano meglio adesso. Nell’antica Grecia lo industrializzavano Eschilo o Omero. In un epoca diversa.

Ma qui parliamo di altre cose.

MM Il genere sta nella natura stessa del racconto e l’impressione è che il non-genere, che è l’unico tipo di cinema che si fa adesso in Italia, sia bello e debba esistere, però ha come sua natura quella di essere un alternativa, un’idea diversa, se il cinema si limita a questo c’è qualcosa che non va. Il cinema è fatto per i pop-corn, per lo spettatore, per divertirsi e poi c’è l’intellettuale che vuole il suo spazio intellettuale per intrattenere intellettuali. E’ un paradosso.

AM L’unico genere italiano che ancora esiste e resiste è la commedia, da Muccino a Veronesi, ai film di Natale, tutti questi fanno parte della cultura italiana, sono quelli che il cinema vuole, sono quelli che incassano. E’ la conferma di una commistione autoriale-industriale.

MM Mi viene in mente, per puntualizzare la malattia, L’ultimo bacio: Gabriele (Muccino) è un nostro amico, ma all’epoca, leggendo le critiche sui giornali, mi era diventato antipatico (Il film non Gabriele!). Poi l’ho visto e mi è piaciuto: è un film adrenalinico con un pò di suspence. Poi mi sono accorto della malattia italiana: dopo che il film ha avuto successo ed è piaciuto, si sono dovute trovare delle motivazioni al lavoro di Gabriele che erano aldilà del film stesso. Ricordo prime pagine su Repubblica a proposito della generazione di trentenni senza più valori. Eppure a me sembra un film su uno che tradisce la moglie e ha paura che si scopra. Era un film che aveva un linguaggio cinematografico, e questa non era la cosa importante. La cosa importante era invece Curzio Maltese che scriveva il fondo su Repubblica sulla generazione allo sbando raccontata da Muccino. E’ buffo questo.

AM Ciò porta fuori strada, in quanto i film che poi si ispirano a Muccino vanno a creare un filone generazionale ricercato dai produttori, mentre la cosa più importante, e che passa in secondo piano, è l’uso del mezzo cinematografico per raccontare queste cose.

MM Non saprei dire se la critica è il problema. Però è una cosa insita nella cultura italiana. Noi siamo convinti che questo problema nasce dal finanziamento statale, perchè c’è proprio scritto che il tuo film per essere finanziato debba avere una motivazione socio-culturale. Noi avevamo scritto un film tempo fa e volevamo provare a chiedere i fondi tramite l’articolo 28. Allora ci siamo messi in mano ad un produttore che ha fatto tutte i documenti e poi ci ha chiesto una motivazione del perchè questo film fosse d’interesse nazionale... ma questo film non era di nessun interesse nazionale! E noi dovevamo inventarci il perchè, altrimenti il film non sarebbe stato prodotto. Per legge. Ma certo se lo stato finanzia un film è pure questo che cerca. E allora c’è da chiedersi se sia giusto che lo stato finanzi un film. Forse questi fondi andrebbero usati in un altro modo.

Soldi che tra l’altro finiranno presto, in quanto il fondo si sta velocemente esaurendo.

MM Magari non ci fossero più questi soldi! Almeno si sveglierebbe qualcuno!

Per quanto invece riguarda la musica in Piano 17, avete affrontato il tema in maniera diversa dai vostri film precedenti. Solo tre canzoni e molto commento sonoro. Eppure si sente molto questa vostra vicinanza al mondo del videoclip.

MM Prima di Piano 17 i nostri film sono stati pieni di canzoni, vedi Zora, Torino Boys e...

AM .. e basta! (Risate)

MM Sul fatto delle canzoni questo film è differente: ci sembrava che un film di questo tipo andasse affrontato in maniera diversa perchè la musica ha un aspetto narrativo piuttosto che stilistico. In questo senso abbiamo cambiato rotta. Mentre per il montaggio sulla musica comunque anche le non canzoni le trattiamo in quel modo.

AM La musica iniziale, che poi si ripete per gran parte del film, ce l’hanno fatta prima, ne abbiamo parlato e poi abbiamo montato il film su quella musica.

MM Quasi per caso quella musica si ripete spesso durante il film.

Quasi un leitmotiv.

MM E’ una cosa quasi involontaria: avendo solo quella musica originale, e siccome sentiamo di dover montare sulle musiche, ogni volta che c’era una scena in cui quella musica poteva andare bene ce la mettevamo. E poi era nostra, non ci veniva di cambiarla. Mentre in altre occasioni o emozioni, quando non abbiamo il tema e sentiamo l’esigenza di montare una scena e di capire se funziona o meno...

AM ...allora prendiamo altre musiche, da altri dischi, o da DJ generici e le proviamo e poi non potendole usare obblighiamo i musicisti a tenere lo stesso tempo nel fare una musica nuova.

MM E’ un procedimento un pò strano.

Dopo una commedia-horror ed un noir si prospetta uno zombie-movie...

MM Accenno solo qualcosa perchè abbiamo imparato nella vita che non sempre sai quello che farai, quindi non voglio fare affermazioni che poi potrebbero non avverarsi. Comunque, se le cose si mantenessero così, pensiamo di continuare sul filone del genere. Del resto stiamo lavorando molto anche in televisione, dove c’è molta più apertura riguardo ai generi, anche se ha il limite di essere ancora più industriale del cinema. E’ un lavoro che facciamo con passione e la nostra idea è che vorremmo continuare questo filone di film liberi, autoprodotti o meno, seguendo la nostra conformazione culturale diretta ai film di genere. Vogliamo proseguire in questa direzione, ed è per questo che siamo qui riuniti per scrivere questa storia di zombie, che poi è un termine sbagliato, perchè è più un virus movie come struttura: lo zombie movie parla sempre di un mondo popolato di zombie, invece il virus movie parla di una zona circoscritta contaminata, come il treno di Cassandra Crossing.

Per chiudere. In questa stagione sono usciti diversi film di genere, ad esempio Romanzo Criminale, Arrivederci, Amore, Ciao o La Cura del Gorilla...

MM Penso che sia segno di qualcosa che si muove.

AM Tutti e tre questi film sono tratti da romanzi noir italiani, e questo non è un caso. La letteratura ha trovato pubblico e questa cosa è stata subito notata dal cinema che ne ha approfittato. Il nostro film però non è tratto da un romanzo noir, quindi forse sarà visto in maniera diversa dal pubblico, proprio per quest’assenza di un romanzo dietro.

MM Tra l’altro Romanzo Criminale è difficile interpretarlo come un film di genere perchè è una storia vera e quindi questo lo toglie... AM ...storia vera e politica....

MM ...dal genere. Però è un segno. E’ un film che ha l’estetica del genere, quindi al di là di De Cataldo, è Placido che ce l’ha messa, è un germe che cresce, un inizio. Poi c’è un altro errore che si fa in Italia: di pensare che il genere sia legato alla realtà: il genere è finto, e spesso ho notato che gli sceneggiatori italiani si ispirano ai fatti di cronaca, che però sono squallidi, è meglio parlare di...... zombie. (Risata) La cronaca non parla di trafficanti cinesi di diamanti, però il cinema di genere è pure quello. E’ legato al sogno o all’incubo, a seconda di cosa si preferisce.


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