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DESTRA E SINISTRA NEL CINEMA ITALIANO

Pubblicato il 3 luglio 2006 da Edoardo Zaccagnini


DESTRA E SINISTRA NEL CINEMA ITALIANO

Se per qualcuno le categorie politiche di destra e di sinistra sono, come le definisce Sartre, scatole rimaste vuote, allora questo libro può essere un simpatico ed agile ripercorrimento del cinema italiano di largo consumo. Se invece, come sostiene Bobbio, la diade rossonera è ancora la bussola migliore per orientarsi in un viaggio storico politico nel contesto culturale nostrano, queste pagine diventano un modo interessante e originale per riguardare la storia recente della nostra società. Christian Uva e Michele Picchi attraversano, cronologicamente e per generi, uno dei mezzi di comunicazione più potenti tra quelli alternativi all’informazione in senso stretto: il cinema. E accostano i film popolari, da quelli migliori a quelli più “bassi”, dagli acclamati ai rivalutati e ai crocifissi, ai decenni quotidiani che il paese ha attraversato dal secondo dopoguerra in poi. L’analisi che compiono è testimonie di un’efficace documentazione e mostra una capacità umile di muoversi con una trasversale fluidità all’interno di altre pieghe dell’enorme cinquantennio di produzione italiana. L’idea di base è che il cinema popolare, quello di tutti e non solo quello degli analfabeti e degli operai, abbia influenzato e raccontato il paese meglio di quanto abbia fatto il cinema militante, l’impeganto, l’ “alto” come direbbe qualcuno. Addirittura il provocator Fellini pare sostenne che ci fosse più Italia dentro i film di Franco e Ciccio che in tutta la commedia all’italiana. Forse il cinema italiano della grande commedia, dell’eroticomico, del poliziottesco, dell’horror ha raccontato meglio la superficie, il visibile, il quotidiano, diremmo la coscienza, mentre il cinema degli Olmi, degli Antonioni, dei Fellini, dei Pasolini, dei Taviani, dei Bellocchio ha tentato di esprimere il sottosuolo, le strade oscure, i magmi, le dinamiche di causa ed effetto, diremmo l’inconscio. Insieme hanno composto un doppio strato di narrazione e di interpretazione, come una fotografia e una risonanza magnetica comparabili per diversi approcci tendenti ad un’unica verifica. Gli autori di questo accattivante lavoro di freschezza e di ricerca si sono chiesti, quali creature sospese tra i ’70 e gli ’80, cosa sia la destra e cosa sia la sinistra. Oggi, dopo l’acme berlusconiano e all’alba di una mezza promessa di risarcimento morale. Il tentativo di capirci di più, di ripercorre con ordine ed attenzione traspare in ogni pagina, nelle curiose citazioni e nei frizzanti interrogativi che i due si pongono. I luoghi comuni vengono affrontati con meditato approccio critico e le verità impolverate vengono portate alla luce da una chiara comparazione. Il primo blocco messo al sole è quello della cosidetta commedia all’italiana, genere italico esaltato dalle penne acute di Germi, Monicelli, Risi, Scola, quell’eclettico di Comencini. Parlare è politico, non dire è politico lo stesso. Dalla consapevolezza della presenza politica in ogni atto sociale si deduce che è politico il vitellonismo, l’americanismo di Nando Mericoni, il consiglio clericale meridionale di votare un partito che sia insieme cristiano e democratico (Divorzio all’italiana, 1961). Ed è politica l’esistenza astratta del rivoluzionario Brancaleone da Norcia. Anche gli scenari parlano e se si può sorridere di un’Italia in affannata ricostruzione si fa un certo tipo di operazione culturale, inevitabilmente politica. Il caso dei Soliti ignoti è un film solco in questo senso, è il canale in cui si infila tutta la grande commedia che verrà. Il cinema italiano che nasce da lì inventa una maschera di umanità che contagia chi guarda e lo emoziona pur ponendosi lontano da ogni schema pedagogico. In poco tempo il dramma si infila dentro la risata e con esso l’ideologia, dentro un genere che per sua natura riesce comunque a condizionarla in moderazione. Le maschere della commedia diventano strumenti politici a sale, capaci di provocare bruciore senza danneggiare profondamente. E questo tipo di pallottole non piacciono alla critica militante di sinistra: ogni risata provoca allontanamento dalla realtà, o quantomeno un approccio superficiale ad essa. Il reale va affrontato con atteggiamento serio, scrupoloso, violento! Lo propone anzi lo impone, certo cinema e certo pensiero. Ridere è allora di destra? Si chiedono gli autori del libro e subito citano quella frase di Wilde, così cara a Risi e Monicelli, secondo cui solo i superficiali non si fidano della prima impressione. E di superficiali la commedia all’italiana è zeppa. Chi è di destra? Bruno Cortona? Con la sua invadenza ignorante e la bocca e le mani più veloci e sviluppate del pensiero? Se così fosse il Roberto interpretato da Trintignant sarebbe di sinistra di sicuro! Il pensiero del libro che è la commedia non abbia avuto interessi a nascondersi le contraddizioni del presente e quello che qualcuno definisce qualunquismo è in realtà una cinica fotografia dell’innegabile, corrente pensiero. Il libro lascia la commedia per avventurarsi nel cosiddetto Western all’italiana. La frase che apre il capitolo è un cappello attraente: “brigatisti famosi avevano una “passionaccia” per lo spaghetti western”. Solo per introdurre le mille implicazioni che questo genere ha con la politica del periodo. I registi marxisti avrebbero potuto sfogare la propria rabbia appunto con questo metaforico modo di raccontare conflitti e dolori. Come al solito la sinistra giudica spettacolare e farsesca questa messinscena della rivoluzione. Lizzani, tuttavia, uno non certo di destra, ricorda come attraverso il western iniziarono ad affiorare temi e ed atmosfere che erano diventati caldi e scottanti, come la rivolta, la giustizia. Insomma gli umori del ’68. E così, negli stessi anni, il genere definito poliziottesco che si sviluppa con taglio e piglio documentaristico-testimoniali, è un cinema dai contenuti coraggiosi ed assolutamente legati al presente. Come tentare di estrapolarlo da quel complesso e violento contesto storico politico? Meglio coglierne l’ambiguità ideologica, analizzarne le contrapposizioni politiche presenti al proprio interno: vedi il commissario fascista di Milano calibro 9 e l’essere comunista del suo vice. Personaggi antitetici, anche nell’eterna contrapposizione tra Nord e Sud. Il libro rileva la clandestinità del messaggio politico insito nello spaghetti western e ritiene assai più esplicito quello del poliziottesco, anche se ambiguo. Entrambi denunciano l’ingiustizia e la sofferenza sociali. Molto di politico c’è anche nella saga fantozziana, così vicina alla checoviana morte di un impiegato. Pasolini stesso lo conferma quando, negli Scritti corsari, parla dell’entusiasmo con cui gli italiani hanno accettato questo nuovo modello imposto dalla televisione, secondo le norme della produzione creatrice di benessere. “Ora”, si chiedeva Pasolini, “bisogna vedere quanto riusciranno a realizzarlo e quanto riusciranno ad evitare la caduta nella caricatura e nel rimanere vittime di questa illusione. E così, con passo agile e panorami pittoreschi conditi da puntuali citazioni di valore, il libro arriva ai giorni nostri, al cinema di Muccino e di Virzì, raccontando le evoluzioni (o involuzioni), sociali della terra italica senza mai la presunzione di infilarsi in intellettualismi avventurosi e mercenari e dentro complicate strade interpretative. Destra e sinistra nel cinema italiano si legge facile, bene, di getto. Fondamentale, però, è la passione in un certo senso sociologica per il cinema. Questo meraviglioso nulla di colori e suoni così legato alla storia e alle persone che ogni giorno la fanno.

Giugno 2006

Autori: Christian Uva, Michele Picchi Casa editrice: edizioni interculturali


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