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Documentari? Documentiamoci un po’

Pubblicato il 4 gennaio 2008 da Giampiero Francesca


Documentari? Documentiamoci un po'

Ogni anno, agli inizi di gennaio, si tirano le somme. Vincitori e vinti, successi e fallimenti, sorprese e delusioni di una stagione vengono sezionate e analizzate. La riflessione spontanea sul cinema italiano l’avevamo già fatta in tempi non sospetti. Approfittiamo dunque del consueto esame di coscienza di fine anno per soffermare la nostra attenzione su un particolare genere filmico: il documentario.

Per poter analizzare correttamente un fenomeno bisogna, in primis, conoscerne l’entità. Nel 2007, in Italia, sono stati prodotti 97 documentari, numero assai rilevante se inserito nel contesto generale della produzione nostrana. Nello stesso periodo, infatti, l’ammontare delle pellicole di finzione raggiunge gli 89 film. E’ evidente che i diversi costi di produzione e la maggiore adattabilità del documentario alle nuove tecnologie ne favoriscano la realizzazione, ma è altrettanto palese che la cultura del documentario sia ben sviluppata nel paese. Con questo mezzo, infatti, non solo continuano a cimentarsi registi affermati (In fabbrica di Francesca Comencini, Un Piede in Terra e l’altro in Mare di Silvio Soldini) ma si confrontano anche le nuove generazioni (Auschwitz 2006 di Saverio Costanzo). Affianco a loro, inoltre, l’Italia può vantare alcuni grandi interpreti del genere che, anche nel 2007, hanno contribuito a innalzare il livello del made in Italy (Talsi di Corso Salani, Le vie dei farmaci di Michele Mellara e Alessandro Rossi).

A fronte di una produzione tanto interessante e variegata, però, la distribuzione italiana resta cieca. Dei 97 titoli solamente uno, Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi, è previsto in uscita per il 2008. Per questo motivo risultano di vitale importanza i festival e le rassegne, che, al contrario delle sale, manifestano un crescente interesse per il genere. Nascono così intere sezioni parallele, ultima l’Italiana DOC del festival di Torino, dedicate alla promozione e alla diffusione dei documentari. Proprio in occasione di un festival, quel Cinemambiente che da sempre fa del documentario la sua ragione, l’incontro avuto con i registi Rossi e Mellara ci ha dimostrato come anche dall’interno il problema della distribuzione appaia fondamentale. Distribuzione che, beninteso, non deve affatto corrispondere a mainstream. Per pellicole come queste i piccoli circuiti, i club, le sale d’essai dovrebbero rappresentare un approdo sicuro, un luogo di ritrovo, un centro di interesse. Eppure così non è. Ad esclusione dei festival, solo la televisione pare interessarsi al documentario. Sia i canali satellitari che le reti generaliste, in particolare RAI 3, sono riuscite a ritagliare uno spazio per i documentari permettendo a pellicole come 99 Amaranto di Federico Micali di diventare piccoli fenomeni mediatici. Ancora una volta la tanto bistrattata televisione riesce a recuperare ciò che troppo frettolosamente il cinema ha scartato.
A ben guardare, però, tutto ciò appare naturale. Il sistema distributivo italiano si muove secondo uno schema che ricorda la struttura delle reti ammiraglie dei broadcaster generalisti. Come per questi ultimi, è dunque impensabile che un documentario arrivi sugli schermi dei cinema. Il target di pubblico del genere è difatti troppo ristretto per rispondere ad una politica di mercato che fa della quantità il suo totem. Politica questa, per altro, difficilmente contestabile. La differenza, però, fra piccolo e grande schermo è la presenza in tv, accanto alle reti dal grande share, di canali satellite non costretti a inseguire importanti risultati numerici e dunque liberi di fondare il loro palinsesto sulla qualità. Il moltiplicarsi dei supporti, satellite prima e digitale terrestre poi, ha esponenzialmente aumentato queste possibilità.
Dal canto loro, esercenti e distributori non sembrano interessati ad una politica che diversifichi i loro investimenti. Anzi, basta guardare le uscite natalizie per notare come sia preferibile moltiplicare il numero delle sale in cui si proiettano i cinepanettoni, piuttosto che dedicare anche un piccolo spazio a cinematografie di nicchia.

Grazie dunque alle possibilità dell’home video, ai festival e alla televisione, ma soprattutto allo sforzo di registi e autori, il documentario italiano affronta il 2008 con il giusto slancio. Molti film, spesso dall’elevato tasso qualitativo, sono il bagaglio che questo genere porta con sé dal vecchio anno. Fossero queste le premesse per l’intera cinematografia italiana, si potrebbe davvero brindare felici.



Giampiero Francesca


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