DVD - 30 anni quasi 21
Aperta parentesi
Da più parti ormai si sente dire che nel giudicare i film indipendenti bisogna partire dal presupposto che li definisce tali: in quanto lavori esclusi, per scelta o necessità, dalle logiche di mercato, essi sono l’unico vero cinema ormai possibile. Tutto il resto è mera merce. Ammesso e non concesso che ciò sia vero rimane il fatto che un film indipendente merita in ogni caso un applauso, rivolto se non proprio alla qualità del prodotto, quantomeno all’impegno e al coraggio del lavoro.
Nel trasformare il concetto in principio, però, si corre il rischio concreto di contribuire ad alimentare quel clima di autoreferenzialità che, se da una parte garantisce immediata riconoscibilità all’opera facendola soggetto appetibile per Festival e Rassegne, dall’altro tende a crearle attorno come una grande campana di vetro all’interno della quale registi e produttori possono continuare a sbattere senza fare né rumore né danni.
C’è poi da fare un altro tipo di discorso, anche questo molto comune: il digitale non significa impoverimento della fotografia né ostentata artigianalità, al contrario il digitale crea nuove possibilità di visione che abbiamo appena iniziato ad esplorare.
Chiusa parentesi.
Esile commedia questo 30 anni quasi 21, in cui il regista fiorentino Emiliano Cribari tenta di trattare i luoghi comuni di una generazione perennemente (e a questo punto diciamo pure convenientemente) in crisi con un’ironia che vorrebbe esorcizzare il tema, ma che finisce con l’aggiungere solo banalità ad una storia già banale di per sé. Lorenzo, alter ego del regista, compie 30 anni nel giorno in cui è ambientata la vicenda. Fresco di separazione dalla ragazza, guarda un po’, il nostro protagonista deve recarsi dalla provincia di Firenze a Milano per presenziare in serata ad una proiezione privata di uno dei suoi improbabili film. La sarcastica voce fuori campo del protagonista ci guida nell’arco della giornata all’interno della sua docile crisi d’identità. Durante la mattinata abbiamo il tempo di gustare uno spaccato di vita familiare: mentre il papà legge il giornale e la mamma pulisce e cucina, tra una battuta e l’altra, si parla si questo figlio che proprio non vuole saperne di diventare grande; e come dobbiamo fare. Si va a messa, e qui esilarante scenetta di Lorenzo che nel momento dello “scambiamoci un segno di pace” dà la mano a tutti presentandosi con nome e cognome tra l’imbarazzo dei genitori. Lorenzo però deve partire e cominciare la serie di incontri (simbolici?) che lo dovranno poi portare ad una presa di coscienza finale (poi solo parziale, non sia mai): allora una signora alla stazione gli affida una pentola di polenta da portare in un Hotel di Sesto San Giovanni dove parlano tutti fiorentino (e questa è un’idea originale!); il direttore dell’hotel, che fa gesti insulsi e non finisce mai le frasi, gli offrirà, ovviamente, un lavoro; lavoro che consiste nel gestire il traffico di telefonate, quindi insulso e cattivo, da gettarci la vita. Arriva la sera, alla proiezione in suo onore Lorenzo è in ritardo, cerca di non dire due parole di presentazione al film e lascia che gli spettatori si addormentino beatamente. Lui, dal canto suo, passerà la serata a parlare, senza rendersene conto, con un sordomuto in grado di fare ben quattro tipi di faccette. La notte stessa, in preda ai dubbi, Lorenzo chiama il nonno e dopo un dialogo illuminante decide di tornare seduta stante al paese. Lorenzo torna con lo spirito riappacificato e la mattina è sulla spiaggia a scrivere un’idea per un nuovo film e a giocare a pallone (con tanto di ralenti dell’esultanza per il gol) con l’amorevole nonno che alla fine (sempre in ralenti) gli fa “mannaggia, mannaggia” con la manina e pronuncia la frase che dà il titolo al film. Ad un certo punto viene il dubbio che non sia tutto una grande presa in giro.
Come direbbe un produttore non-indipendente: “l’idea è buona, ma non funziona”. L’originalità e la freschezza cercate sono schiacciate dal peso di situazioni forzate, innaturali. I personaggi sono tutti troppo sopra le righe e la recitazione stenta a tenerne il passo, non convince. L’ironia si riduce ad una serie di spallucce e ad un susseguirsi di battute da cabaret che come sempre al cinema non possono funzionare se non sono accompagnate da una recitazione all’altezza. A parte qualche gioco di montaggio la regia non ha sussulti e fin dall’inizio si assesta su un anonimo campo medio da cui, per paura di sbagliare o forse per lasciare maggior spazio alla recitazione, si sforza di gestire le inquadrature. La scelta del digitale in questo senso non può non peggiorare le cose, soprattutto se praticata al ribasso, per sottrazione, mostrando quindi tutta la propria artificialità.
Il film è stranamente dedicato a Francesco Nuti ed effettivamente l’uso della voce fuori campo in chiave autoironica e il modo di affrontare la vita di Lorenzo possono rimandare in qualche modo a quella ingenuità consapevole e divertita tipica delle pellicole e dei personaggi di Nuti; ma dove sono quell’eleganza della fotografia, quella sapiente scelta delle luci e quella capacità di trasformare i personaggi in figure esemplari di un’intera generazione che facevano grandi le opere del regista toscano?
La qualità audio-video
La predilezione per la luce naturale, ostentata per la gran parte del lavoro, giova alla qualità dell’immagine digitale che non mostra, così, gravi carenze di definizione. Però la scelta “verista”, e non possiamo non sottolinearlo, finisce per ribaltarsi, in corso d’opera, nel suo esatto contrario: quanto più il regista si affanna, infatti, a cercare, con l’immediatezza del video, immagini realistiche tanto più il digitale gli restituisce quadri che suonano, agli occhi, fasulli e forzati. In generale, comunque, il lavoro di compressione è piuttosto buono.
Discreto anche il riversamento sonoro che si avvale, però, di una sola traccia 2.0. Certo è il minimo sindacale, ma per un film come questo, che non fa ricorso a grandi effetti, è più che sufficiente.
Extra
Dalla Biofilmografia del regista scopriamo che nasce come poeta, anche apprezzato, e che questo è il suo terzo film. Gli extra si arricchiscono poi di un Backstage, in cui i vari componenti della troupe riferiscono a turno quali sono stati i loro personaggi preferiti e quali, invece, le difficoltà sul set. C’è, infine, anche un Diario di bordo composto dalle fotografie scattate durante la lavorazione del film, la maggior parte delle quali dedicate al regista.
(30 anni quasi 21); Regia: Emiliano Cribari; interpreti: Alessio Venturini; Daniela Guerra; Fabrizio Rizzolo; Alessandro Riccio; distribuzione dvd: Cecchi Gori
formato video: 16/9 (widescreen); audio: Dolby digital 2.0 (stereo) italiano; sottotitoli: italiano per non udenti
Extra: 1) Biofilmografie 2) Backstage 3) Diario di bordo