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Django (DVD)

Pubblicato il 21 gennaio 2013 da Edoardo Zaccagnini


Django (DVD)

Che Corbucci e compagnia potessero minimamente immaginare l’eccezionale potenza esplosiva del loro rustico e affascinante Django, è da escludere con decisione. Il film l’avevano pensato e poi girato con passione e certo con bravura, come Corbucci era solito fare visto il suo talento e il suo mestiere. Ma anche con una certa leggerezza, già a partire dal titolo e dal nome del protagonista Django, che nacque casualmente dalla copertina di un disco capitato nelle mani degli sceneggiatori durante una riunione. C’erano certamente Piero Vivarelli e Sergio Corbucci, forse anche Franco Rossetti e Bruno Corbucci, fratello di sergio, ma quel che è sicuro è che non riuscivano a trovare il suono giusto da associare al loro protagonista, un titolo che funzionasse davvero. Il disco era quello del chitarrista belga Django Reinhardt, e qualcuno disse, probabilmente Vivarelli: "Perchè non lo chiamiamo Django?" "Django?" rispose qualcun altro chiedendosi se il nome suonasse bene oppure no. "Si, Django!", e già qui potrebbe partire la musica di Bacalov con sopra le parole di Rocky Roberts: la canzone è Django, tassello di un cult italico nato ormai da quasi mezzo secolo, e ancora vivo e arzillo, seppur segnato dall’età. Il volto è quello di un Franco Nero giovane, pulitissimo nonostante il fango sulle guance e sui vestiti, con due occhi azzurro ghiaccio immensi e caldi. Man mano che il personaggio si distende lungo la pellicola, la forma si fa sempre più nitida, ed ecco un importante spaghetti western di casa nostra, targato 1966, farsi largo a suon di colpi di pistola e battute taglienti. Franco Nero è Django, punta affilata di quella che poi sarebbe diventata una delle pietre miliari del genere, un reduce nordista silenzioso e pieno di dolore per l’uccisione della moglie durante la sua assenza. Un’indimenticabile bara a tracolla ed un cappotto nero sopra il classico pantalone blu con striscia gialla verticale. Infallibile grilletto sempre pronto e poche parole, che suonano però come sentenze, uomo solo ormai senza più paura e autentico desiderio di nulla. Quando la mitragliatrice salta fuori all’improvviso dalla bara di legno e ne fa fuori un bel gruppetto in una sola volta, quella è crema per appassionati, mitica trovata che quando la vedi ti si scioglie un piccolo sorriso tra gli spari e le comparse che saltano in aria.
C’è un paese di legno fradicio lungo il cammino solitario di Django, poggiato su uno strato di fango ai confini col Messico, con l’eco non troppo lontana della guerra di secessione americana. Due gruppi armati irregolari si contendono il potere: una setta razzista di incappucciati rossi e una banda di messicani rivoluzionari, che Django farà fuori a scaglioni, con calma, un componente dopo l’altro, perché nessuno capisce che è meglio lasciarlo in pace e fare come dice lui. Alla fine l’eroe solitario e triste se ne andrà da solo verso chissà dove, a fargli compagnia solo le note di Bacalov.
Django ebbe un successo clamoroso in mezzo mondo: solo in Germania, per capirci, sono usciti una trentina di titoli col nome Django dentro, e dal ’66 quella pellicola mitica non ha mai smesso di viaggiare: nel 2007 ha toccato l’oriente di Takashi Miike, che presentò alla Mostra del cinema di Venezia il film Sukiyaki Western Django. Si trattava di un riadattamento-omaggio all’originale italiano, che rivisitava il genere spaghetti western collocandolo in uno scenario giapponese. In quel film recitava anche Quentin Tarantino, da sempre dichiarato fan del film di Corbucci, che non a caso oggi porta in giro per il mondo il suo bellissimo Django Unchained, che più di un remake è un immenso e caloroso omaggio all’archetipo corbucciano, zeppo di tantissimi rimandi al primo, a cominciare dalla frusta che segna il corpo della moglie del suo Django, dello stesso tipo e agitata nello stesso modo di quella che insanguinava la pelle della ragazza fuggita dai messicani nel film di Corbucci. Torna pure quella fanga che dominava il primo Django, e che nell’opera Tarantiniana incontriamo durante il viaggio a cavallo degli amici Django e Schulz. E poi molti altri richiami disseminati lungo tutto il film, da scoprire durante la godibilissima visione del meraviglioso Unchained. Qui ne ricordiamo un paio tra i più vistosi: la medesima e già citata traccia musicale che accompagna il primo ed apre il secondo film, la "Django" di Bacalov; e splendido, il cameo del vecchio Django/Franco Nero che chiede il nome al nuovo Django tarantiniano Jamie Foxx, e questo gli risponde: "Django, la D è muta" e Nero risponde: "Lo so".

La qualità audio-video

Ottima la resa del DVD edito da CG Home Video. Immagine pulita, colori ben equilibrati che rispettano quelli della pellicola originale, girata quasi cinquant’anni fa, e una visione che si mantiene piacevole anche nei momenti luministicamente più difficili. Buono anche l’audio, sia per la colonna sonora che per il suono in generale.

Extra

L’elemento piu’ prezioso del dvd è sicuramente lo speciale "l’uomo con la bara", che contiene interviste a Piero Vivarelli, sceneggiatore del film, e Quentin Tarantino, da sempre fan dichiarato del film di Corbucci. Completano l’approfondimento le interviste a Franco Nero, Nori Corbucci, Luis Bacalov e Gilberto Galimberti, stuntman e maestro d’armi nel film, nonchè controfigura di Franco Nero nel film. Tra gli extra ci sono anche il trailer internazionale e quello italiano, e una galleria fotografica.


(Django); Regia: Sergio Corbucci; interpreti: Franco Nero, Loredana Nusciak; distribuzione Dvd: CG Home Video
formato video: 16:9 - 1.66:I; Audio: Italiano e Inglese Dolby digital 2.0; sottotitoli: Italiano per non udenti

Extra: 1) Speciale: L’uomo con la bara 2) Interviste a Franco Nero, Nori Corbucci, Luis Bacalov e Gilberto Galimberti 3) Trailer italiano 4) Trailer internazionale 5) Galleria fotografica


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