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DVD - Il Cristo proibito

Pubblicato il 15 maggio 2011 da Carlo Dutto


DVD - Il Cristo proibito

Bastano i titoli di testa a definire l’originale estetica de Il cristo proibito, unica regia dello scrittore Curzio Malaparte, firmata nel 1950, a soli cinque anni dalla fine della guerra, periodo storico in cui l’Italia rimestava i cocci di una guerra civile, tentando di risorgere dalla nera povertà di un dopoguerra incerto e zoppicante. Ad aprire il film, le affascinanti, fluide immagini dall’elicottero che abbracciano in campo lungo la campagna senese in un piano sequenza di tre minuti raro nel cinema del tempo che si conclude in campo medio su due personaggi che camminano. Questi si girano guardando in macchina, come a suggellare dai primi fotogrammi la presenza dell’autore nella storia. Un piano sequenza che fa pensare, senza altri collegamenti logici, all’incipit sul deserto del wendersiano Paris, Texas.

Sono numerosi gli esempi di opera-unica al cinema da parte di scrittori, da Dacia Maraini a Indro Montanelli, ma l’esperienza alla regia dello scrittore italo-tedesco, pseudonimo di Kurt Erich Suckert, al centro di numerose polemiche da sempre (aderì al fascismo partecipando alla Marcia su Roma, quindi fu accusato di comunismo e confinato a Lipari), risulta un esperimento forse non completamente riuscito, ma sicuramente originale. Un’originalità che si dispiega più nella forma che nel contenuto, evidenziando una netta cesura qualitativa tra l’aspetto sonoro/visivo e i contenuti moraleggianti che vorrebbe insinuare. Basti pensare alla scena iniziale citata: le immagini aeree che si concludono sul protagonista sono in parte eluse nella loro forza dalla voce narrante. Un film che è prima di tutto un pensiero personale sul cinema da parte del suo autore, Malaparte, che ne cura soggetto, sceneggiatura e regia, ritagliandosi anche l’onere delle musiche, autentiche sonate popolari, spesso più vicine a nenie simil-natalizie. Tratto da un suo stesso romanzo, cominciato prima del più famoso e ‘scandaloso’ La pelle, Il Cristo proibito, presentato in concorso a Cannes, narra la storia di Bruno (Raf Vallone), un reduce dalla guerra e dalla prigionia in Russia che torna nel natìo paese toscano per vendicare la morte del fratello, tradito da un italiano del luogo e fucilato dai tedeschi.

Un film caratterizzato da dialoghi prosaici e volutamente non realistici, lontani dalla quotidiana materialità che in quegli anni rendeva grande il neorealismo italiano. Malaparte non descrive personaggi presi dalla realtà, non si impegna nel dare un affresco locale, ma tenta (fastidiosamente) di instillare una morale, svelando spesso con una violenza eccessiva, ma sicuramente rara nel cinema del tempo, ipocrisie e doppiezze della società italiana.

Si snocciolano dialoghi davanti al crocifisso sui poveri che fanno bene ad occupare le terre, o che sottolineano quanto la guerra sia una cosa sporca (il dialogo che imperversa durante tutto il film), ma se la giustizia che trasuda dal film spesso sa di artificioso, si deve ammettere che la violenza che si legge nei 100 minuti di visione non si trova in nessun altro film dell’epoca, almeno non così esplicito. Basti pensare alla frase Io ho fatto la puttana per salvare la vita degli altri, sconvolgente in un’epoca in cui si censurava anche Totò e Carolina e Scalfaro girava per le strade a misurare la lunghezza delle gonne sui manifesti cinematografici.

Se i dialoghi risultano opprimenti e fuori luogo, dal punto di vista visivo Malaparte scrive invece una pagina unica nel panorama cinematografico italiano, utilizzando ogni espediente nel campo dei movimenti di macchina, senza per questo sembrare eccessivamente animato dall’idea di un futile esercizio di stile. L’uso di una macchina da presa mobile e sempre posizionata in modo da far sentire la presenza di un occhio ‘esterno’ che giudica, riprende dal basso un Gino Cervi che sprona i poveri alla ribellione. Sullo sfondo, un grande crocifisso sembra dare il suo placet, un Cristo silenzioso, un Dio che è morto nella guerra sul Don e nelle violenze fasciste (queste mai evocate dal regista) e che risorge nella vittoria del perdono sulla rabbia della vendetta. La macchina da presa è spesso posizionata in vari plongèe che schiacciano il personaggio di Bruno, accecato dalla sete di vendetta e spinto dalla frustrazione del reduce che affoga in una società che non sente più sua. Malaparte segue i personaggi ora con carrellate laterali a precedere, spesso lasciandoli in secondo piano, incorniciati da un albero o da una giostra, svelando anche nella scena finale un occhio più vicino alla pittura e all’immagine statica della fotografia piuttosto che a quella in movimento.

Nell’intensa scena della processione si dipana uno dei momenti più intensi del film. Girata senza dialoghi e musicata dal rollare dei tamburi e dai gorgheggi delle perpetue, la scena vive di primi piani e di dettagli delle maschere ferine indossate dai salmodianti, vive delle ombre sulla piazza e del bianco accecante di una croce illuminata con tocco espressionista. Una scena che trova il suo climax nel gioco della Croce, girato con i veri abitanti del luogo e caratterizzata dal violento monologo dell’eremita interpretato da un eccessivo Gino Cervi, che invita tutti a farsi crocifiggere per lavarsi dalle colpe. Una giornata di festa popolare che farà da contraltare agli eventi drammatici e violenti che vedono Bruno uccidere un innocente.

Nelle intenzioni di Malaparte, Il Cristo proibito doveva risultare un film popolare ma non banale, ma si risolve in un lavoro macchinoso, imprigionato da dialoghi intrisi di facile morale da oratorio, didascalico come ogni opera d’arte che si impone di moralizzare ad ogni costo. Dialoghi tra due innamorati quali: non sai quanto ci è costata la patria, un complesso che sa di artificioso ma che trova anche il tempo di citare il Cristo del Mantegna anni prima dell’Ettore morente nel Mamma Roma pasoliniano.

La qualità audio-video

Il bianco e nero delle immagini full screen è reso ottimamente, sottolineando la linea ‘pittorica’ di Malaparte, evidente nelle scene iniziali e nella scena finale e nell’uso del chiaro-scuro nelle scene di interni. Una drammatizzazione resa dalla scrittura con la luce firmata dall’ungherese Gabor Pogany che la versione della Ripley regala in tutte le sue sfumature.
Grande lavoro anche sul sonoro, personaggio “altro” del film.

Extra

Poverissimi i contenuti extra del dvd: una piccola brochure cartacea presenta le note della censura dell’epoca, che tra l’altro chiedeva di eliminare l’autodefinizione di puttana da parte di Nella e di attenuare moltissimo o addirittura eliminare le scene goliardiche legate alla figura di un frate e alle frasi che potrebbero risultare offensive per la Magistratura da parte di Padre Antonio. Tra gli extra nel dvd, si possono vedere i titoli di testa in lingua inglese, caratterizzati dal fermo immagine sulle scritte (mentre sono davvero meritevoli quelli originali italiani che ricordano, curiosamente, quelli di Guerre Stellari, con le scritte che dal basso dello schermo vanno rimpicciolendosi mentre si muovono verso la parte alta dello schermo). Infine, una decina di fotografie di bassa qualità tratte dal film, alcune delle quali ritraggono un irriconoscibile Malaparte alla macchina da presa.

[Carlo Dutto]


(Il Cristo proibito); Regia: Curzio Malaparte; interpreti: Raf Vallone, Elena Varzi, Gino Cervi, Alain Cuny, Anna-Maria Ferrero, Rina Morelli; distribuzione dvd: Ripley Home Video;
formato video: 1,33:1; audio: italiano (Digital 1.0 Mono); sottotitoli: italiano per non udenti, inglese;

Extra: 1)Titoli dell’edizione inglese 2) Galleria fotografica 3) Brochure di 16 pagine


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