DVD - Quattro Passi fra le Nuvole

Prima della Commedia All’Italiana, prima del Neorealismo Rosa e del Neorealismo stesso, ci pensava questo delizioso e modernissimo film di Blasetti a scompaginare i canoni della tradizionale Commedia dei Telefoni Bianchi da un bel po’ in voga e a “romperne il giocattolo”. Eravamo ancora appena al 1942, e solo l’anno successivo sarebbe giunto il sovversivo Ossessione di Visconti – indicato da ogni manuale storico come l’autentico film-detour della cinematografia nostrana – il quale, a sua volta, non avrebbe potuto che trarre giovamento da questo precedente, forse ancora più ardito nel compiere la sua riforma all’interno del genere stesso. Ma la commedia, si sa, è sempre stata genere negletto e tributare i legittimi meriti storici a Quattro Passi fra le Nuvole è stata per lungo tempo operazione pressoché impossibile. Eppure, in Francia come negli Stati Uniti, il cui primo impatto col film non potè avvenire nell’immediato, il film venne immediatamente e senza alcun ripensamento successivo accluso all’interno del filone neorealista.
Lo scoppiettante soggetto zavattiniano arrivava, difatti, a condurre una serrata critica “dal basso” ai severi dettami del regime, secondo cui niente della vita pubblica e privata degli italiani andava discusso, poiché, semplicemente, si era stabilito che tutto andava per il meglio. Qui invece, in ogni angolo inquadrato, perfino nei moderni interni cittadini, non si coglieva che caos e disordine. Ma poi il film usciva dalle mura domestiche dipinte attraverso pochi, ma precisi tratti, come universi particolarmente angusti, spaziando coraggiosamente nell’entroterra italiano. Una delle più significative frasi di lancio della pellicola, affidate all’elegante brochure originale contenuta nel dvd della Ripley, definiva Quattro Passi fra le Nuvole come “un originale intermezzo extracittadino”. Finalmente il Paese Reale tornava a far capolino più convintamene nelle sale italiane. Pur comportandosi in maniera inedita all’interno dell’allora limitato orizzonte nostrano, Blasetti e il suo operatore ceco Waclaw Vich guardavano Oltralpe, traendo abbondantemente ispirazione dalla lezione renoiriana.
Il nome esatto del paesino della ragazza sedotta e abbandonata (un’eterea Adriana Benetti) non detene alcuna importanza nell’economia del racconto: avrebbe potuto esser situato in un punto qualsiasi della penisola. Ciò che qui premeva far emergere era piuttosto lo scontro tra vita contadina, indicata come più a misura d’uomo, e alienazione cittadina, acuita da disoccupazione o impieghi ben poco soddisfacenti. E individuando pure in anticipo rispetto a molti colleghi questo spunto critico, sempre tenuto tra le righe del tono disinvolto e scanzonato, Blasetti e Zavattini anticipavano addirittura uno dei motivi cardine della poetica antonioniana (vedi pure il dato del matrimonio infelice tra Cervi e la moglie “legittima”, anche questo, solo suggerito).
La straordinaria qualità del materiale non è passata certo inosservata, tanto che ad Hollywood, nel lontano 1995, qualcuno ha pensato bene di trarre un edulcorato remake di successo dall’originale di Blasetti, intitolandolo Il Profumo del Mosto Selvatico, con Keanu Reeves a far rimpiangere a calde lacrime Gino Cervi e Giancarlo Giannini e Anthony Quinn, invece, all’altezza rispettivamente del magnifico papà Aldo Silvani e del nonno Giacinto Molteni. Curiosamente meno noto il remake italiano del ’56, Era di Venerdì 17, con Fernandel e Alberto Sordi protagonisti (e curiosità nella curiosità, lo scavalcamento di campo di Don Camillo e Peppone, le cui traiettorie tornavano momentaneamente ad incrociarsi, seppur non contemporaneamente… ) e Mario Soldati alla regia.
L’inizio movimentato, con le automobili che percorrono a scossoni stradine dissestate (in barba al vanto fascista in materia di infrastrutture), la panoramica sul palazzo, il montaggio sincopato e la capacità di notazione finissima, costituiscono un breve saggio di tutto quanto ha reso questo breve, “flautato” racconto cinematografico uno dei classici assoluti della nostra tradizione filmica. E quel finale non lieto, “appeso”, è davvero da incorniciare: quanti registi sarebbero capaci, e non parliamo di allora, ma oggi, di chiudere un loro film in maniera analoga?
La qualità audio-video
La fotografia in bianco e nero ritrova il suo originale splendore: che in questo caso non è sinonimo di "scintillio", dal momento che neppure queste erano le intenzioni originali di Blasetti e Vich, tutti presi da interessi realisti anche e soprattutto nella resa dell’immagine.
Buono il lavoro di pulizia sull’audio: ma ci troviamo al cospetto di una pellicola comunque storicamente datata. Tuttavia, questo non è affatto un problema nel caso specifico, poiché la dizione di tutti gli attori risulta impeccabile, e i loro dialoghi sono sempre perfettamente intelleggibili (cosa che non sempre avveniva per opere coeve).
Extra
Abbastanza nutrito il pacchetto degli extra. Qui spiccano soprattutto le due interviste a Blasetti realizzate per il Centro Sperimentale e risalenti entrambe agli anni ’70.
Nella prima, Blasetti ricorda con orgoglio i pregi del suo film e la calorosa accoglienza che ricevette all’estero. Nella seconda, “assistiamo” (ma solo mentalmente, poiché le dichiarazioni raccolte sono radiofoniche), alle spassose schermaglie verbali tra quei cervelli fini di Zavattini e Blasetti, intorno alla questione, vecchia come il cinema, dell’appartenenza di un film al suo regista o allo sceneggiatore. E i due vanno avanti a disquisire pure sui film di Fellini, Visconti o Chaplin. Questa è davvero una chicca per i nostalgici del cinema italiano che fu.
(Quattro Passi fra le Nuvole); Regia: Alessandro Blasetti; interpreti: Gino Cervi, Adriana Benetti, Giuditta Rissone, Guido Celano, Giacinto Molteni; distribuzione dvd: Ripley Home Video; formato video: 1,37:1 (4:3); audio: Italiano Mono; sottotitoli: italiano per non udenti, inglese;
Extra: 1) Trailer originale 2) Blasetti parla dei suoi film 3) Il Cinema secondo Blasetti 4) Galleria Fotografica 5) Brochure Originale
