X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



EL ABRAZO PARTIDO

Pubblicato il 18 maggio 2004 da Antonio Pezzuto


EL ABRAZO PARTIDO

L’Argentina si conferma un paese dove, malgrado tutto, fiorisce un cinema fatto da giovani con pochi mezzi ma molte idee. Come in Tan de repente di Diego Lerman, Pardo d’argento a Locarno 2002, siamo anche qui alle prese con un giovane regista che con una macchina da presa in spalla, attraverso immagini “sporche”, pedinando i suoi personaggi, racconta storie con la “s” minuscola, ma in realtà universali. In particolare ci troviamo in un microcosmo formato da un sottopassaggio e dai suoi negozietti, gestiti tutti da immigrati: tra loro ci sono italiani, coreani e soprattutto ebrei provenienti dalla Mitteleuropa, che ricreano l’atmosfera di un villaggio alla Train de vie, dove ognuno ha una sua storia, un soprannome, una caratteristica che serve ad identificarlo, ognuno tira a campare come può, tra espedienti e piccoli commerci, all’ombra della sinagoga. Con sense of humor tipicamente ebraico, si susseguono liti, tradimenti, riconciliazioni, paragoni sulla pericolosità di Buenos Aires di notte e la vita in Israele tra gli attentati, filmini sulla circoncisione e scene melodrammatiche della immancabile yiddisch mame, la terribile e affettuosissima mamma delle barzellette, sempre minacciante il suicidio con un coltello da cucina alla minima contrarietà. Malgrado la modestia dell’ambiente e i piccoli crimini e misfatti dei suoi abitanti, si respira un’aria di armonia e solidarietà, propria delle comunità di rifugiati all’estero, come quella americana di un altro piccolo e divertente film, Auf Wiedersehen, Amerika, diretto nel 1994 da Jan Schütte: in questo caso, solo il protagonista Daniel sogna di fuggire oltreoceano, approfittando di una nonna europea scampata all’olocausto, per ottenere lo status di cittadino polacco. La Polonia sostituisce quindi il sogno Americano, e per giustificare la sua decisione si arriva persino a glorificare il fascino di papa Wojtyla davanti al rabbino capo. Come nella musica klezmer e nelle ballate in yiddisch della nonna canterina, dove una vena malinconica si insinua tra le vivaci melodie, sotto il fuoco di fila delle battute esilaranti in filigrana si delinea il dolore per l’abbraccio perso, quello di un uomo che ha lasciato la famiglia ufficialmente per andare a combattere in Israele o forse per qualche altro motivo, più o meno valido. Senza pathos, in un mirabile equilibrio tra la leggerezza e il lamento biblico “padre, perché mi hai abbandonato?”, la riconciliazione si compie soprattutto con le proprie radici e con se stessi.

[maggio 2004]

regia: Daniel Burman sceneggiatura: Daniel Burman, Marcelo Birmajer fotografia: Ramiro Civita montaggio: Alejandro Brotersohn musica: Cesar Lerner interpreti: Daniel Hendler, Adriana Aizenberg, Jorge D’Elia, Sergio Boris produzione: BD Cine Srl origine: Argentina 2003 durata: 100’

Enregistrer au format PDF