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Elisa di Rivombrosa

Pubblicato il 28 dicembre 2003 da Alessandro Izzi


Elisa di Rivombrosa

Quando leggemmo per la prima volta la notizia che Cinzia TH Torrini stava dedicando le sue energie ad una fiction di tredici puntate (durata di ogni puntata ben 100 minuti), il nostro primo pensiero fu che da qualche parte qualcuno aveva compiuto un umanissimo refuso. La televisione italiana è, già da qualche tempo ormai, un “contenitore misero” che non riesce ad accettare nelle sue programmazioni l’idea di una serialità chiusa così espansa. Certo ci possono essere molti telefilm, ma la fiction per essere vincente (sembra dirci una legge non scritta) deve essere totalmente legata ad un discorso narrativo capace di esaurirsi in uno spazio non superiore alle quattro puntate per un tempo totale, considerato rischioso, che oscilla tra i quattrocento e i quattrocentocinquanta minuti (È il caso limite del bellissimo La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana). Insomma sembra quasi che, nella mente dei programmatori, lo spettatore possa accettare solo due poli estremi di durata per una narrazione televisiva: da una parte c’è l’infinito virtuale delle soap (e dei telefilm che prolungano, di serie in serie, la loro formula), dall’altro la durata limite di un film per la televisione che esaurisce il proprio racconto nei canonici novanta-cento minuti di programmazione. Andava, quindi, salutata con una certa trepidazione una fiction che voleva porsi molto rischiosamente al di fuori dei limiti di durata considerati, fino a quel momento, assolutamente invalicabili. Ad aggiungersi a questo primo problema di carattere prettamente merceologico, si aggiungeva poi il non secondario problema costituito dal genere narrativo scelto: il racconto storico in costume (da sempre una cenerentola per il pubblico italiano). Quella che avevamo di fronte era, insomma, una vera e propria sfida produttiva che poteva rivelarsi un totale fallimento commerciale se il pubblico avesse dimostrato di non affezionarsi ai personaggi di questa colorita saga fin dalle primissime puntate. Oggi come oggi, arrivati, come siamo, al quarto capitolo del film possiamo dire, forti di un deciso ventinove percento di share, che la sfida produttiva è stata certamente vinta. Magari non in maniera schiacciante, ma, comunque, con l’onore delle armi. La sfida produttiva, però, esaurisce solo nella durata e nel genere la sua volontà di rompere con i canoni tradizionali di una confezione televisiva usa e getta perché, da un punto di vista prettamente estetico, quella che ci siamo trovati di fronte, è un’operazione assolutamente fallimentare. Lontana dai lidi espressivi che altrove hanno prodotto opere altrettanto lunghe, ma decisamente più importanti (pensiamo al Berlin Alexanderplatz di Fassbinder o all’Heimat di Edgar Reitz, ma anche al vecchio Poldark inglese di qualche anno fa), Cinzia TH Torrini limita la sua azione registica alla realizzazione di un prodotto abbondantemente manierato che ha il sapore di certe telenovelas ad alto tasso sentimentale. Evidentemente preoccupata dalla durata eccessiva del suo prodotto la regista, nel tentativo di tenere avvinto il proprio spettatore, ha compiuto la scelta di lavorare su un montaggio estremamente serrato di piccole micorosequenze chiuse, ma mai autonome. Il risultato non è un’operazione aggiornata all’estetica di MTV, ma un prodotto tradizionalmente impaginato che però dà l’impressione di muoversi più velocemente di altre fiction di argomento analogo a causa della spesso eccessiva brevità dei singoli frammenti che la compongono. La storia della piccola servetta finita suo malgrado negli intrighi dei nobili ha tutto il sapore di un classico romanzo Harmony (qui in versione estesa) ed è ridotto in dialoghi assolutamente risibili che non hanno nulla a che vedere né con le pagine della Pamela di Richardson (da cui il tutto trae ispirazione), né dalla successiva sapida rielaborazione che ne ha fatto Goldoni (che funge, comunque, da modello per certe scene di realismo settecentesco). È una prosa enfatica, quella della Torrini, fatta di esclamazioni e declamazioni prima ancora che di sentimenti e di caratteri che si snoda in una trama di orditi improbabile ed assurda come un minuetto ballato da un ippopotamo. La fotografia ultra patinata (solo esteriormente assimilabile a quella di Barry Lyndon, ma senza la crudeltà pittorica di quest’ultimo) come pure le assolutamente inaccettabili interpretazioni degli attori contribuiscono al tracollo di un prodotto che ha il solo pregio di riuscire involontariamente ridicolo e di filare abbastanza veloce verso la sua prevedibilissima fine.

(Elisa di Rivombrosa); regia: Cinzia TH Torrini; sceneggiatura: Piero Bodrato; fotografia: Alessandro Pesci, Roberto Cimatti; montaggio: Carla Merli; musica: Silvio Riccardi; interpreti: Vittoria Puccinio, Alessandro Preziosi, Antonella Fattori, Jane Alexander, Kaspar Capparoni, Pierluigi Coppola, Luca Ward, Cesare Bocci, Francesca Rettondini, Antonio Salines; produzione: Guido e Maurizio De Angelis per TPI Together Production International

messa in onda: mercoledì 17 e giovedì 18 dicembre e, dal 25 dicembre tutti i giovedì per tredici puntate complessive; rete: Canale 5; orario: 21:00

[dicembre 2003]


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