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European film awards 2002

Pubblicato il 29 dicembre 2002 da Alessandro Izzi


European film awards 2002

Quella trasmessa ieri sera su Rai 2 (7 dicembre 2002) non era tutta la cerimonia di premiazione degli European film awards, ma una sorta di telecronaca differita di una sintesi quasi calcistica dell’evento. Un vero e proprio montaggio di “Pillole” della serata che ha tirato via tutti gli eventuali ed antonionani punti morti, concentrando l’attenzione sui soli goal-premi assegnati ai vari film-makers. Una scelta, questa, comprensibile, dato lo spesso mortifero tasso di noia insito in operazioni di siffatto genere, ma che dà l’impressione (soprattutto motivata anche dalla tarda ora della trasmissione) che le stesse menti organizzative non abbiano creduto fino in fondo sul valore mediatico e pubblicitario di una manifestazione di tale fatta. In una serata che si è voluta il più possibile anglofona (e preferiamo pensare che quella parlata sia stata la lingua di Shakespeare e non quella del dollaro), quindi, sono state assegnate una serie di argentate statuette che sembrano essere, più che altro, una versione più stilizzata e longilinea dell’Oscar americano. Quella che è stata messa in scena, in effetti, (di fronte ad una scenografia-sfondo che omaggiava Fellini, ma che restava del tutto inerte rispetto alla cerimonia che pure avrebbe dovuto contenere) è stata una vera e propria ossessione per l’inglese che, in certi momenti ha toccato momenti grotteschi. Sono stati salutati con piacere, quindi, tutti quei premiati che hanno rivendicato la propria dimensione linguistica. E non ci riferiamo solo a Tonino Guerra che ha polemicamente iniziato il suo discorso di ringraziamento per il Premio alla carriera parlando in russo per poi rivendicare, giustamente, che il fascino di un film passa anche e soprattutto attraverso la lingua che vi viene parlata, ma ci riferiamo anche a tutti quei personaggi (attori o registi che fossero) che hanno portato avanti un vero e proprio gioco di contaminazioni linguistiche. Ci riferiamo al geniale e maccheronico inglese di Benigni (suo l’intervento più divertente coadiuvato dalla regia invisibile, e per questo tanto più efficace, di Wenders), ma anche al miscuglio di inglese spagnolo ed italiano sfoderato dal pluripremiato Almodovar oppure, infine, all’orgoglioso spagnolo di Victoria Abril che ha ricevuto il premio per il Miglior contributo europeo nel mondo. In questo senso la telecronaca della serata, affidata alle voci di Massimo Coppola e Vittoria Cabello, lungi dal contraddire l’ossessione anglofona del tutto, ha finito per esasperarla in una serie di discorsi spesso inconcludenti che si volevano divertenti ed erano spesso francamente irritanti. Sicché il nostro sforzo, nel seguire la cerimonia, era tutto rivolto nel vano tentativo di cancellare le loro pessime battute o la loro incerta traduzione, per ascoltare, in sottofondo, i discorsi sicuramente più interessanti dei vari premiati. Tentativo vano soprattutto nel secondo discorso di ringraziamento di Almodovar, momento in cui i due telecronisti avevano senz’altro qualcosa di più interessante da dire. Beninteso il loro tentativo di vivacizzare la serata è stato certo encomiabile (laddove non ha nascosto un tentativo di dissacrante sperimentazione), ma ci sono dei momenti in cui anche le buone intenzioni devono farsi da parte per lasciare spazio all’evento per cui, in fondo, sono nate. Ma passiamo, infine, ai premi che non sono stati sempre del tutto condivisibili. Lascia perplessi, in prima istanza, l’enorme serie di nominati per ogni categoria che rivelava un quasi inesausto desiderio di non lasciare nessuno fuori. Contro alle sobrie cinquine portate avanti da una manifestazione come la Notte degli Oscar, l’European film awards sfoderava spesso otto nove nomination per categoria toccando punte di palese incongruità nei momenti in cui candidava o un solo attore per due diversi film che venivano trattati come fossero un unico (è successo a Castellitto) oppure nominava per l’ambita statuetta ad un intero cast (le otto splendide attrici del film di Ozon). Questa scelta, sfortunatamente, ci pare abbia minato alle basi la credibilità di un premio che si vorrebbe il più possibile prestigioso. Per la categoria Miglior sceneggiatura, il premio è andato, non senza una punta di rimpianto, all’ottimo lavoro di Pedro Almodovar per Hable con ella. Un premio, questo, certo motivato, ma che non ha tenuto conto né dello splendido lavoro di Kaurismaki per L’uomo senza passato (il vero sconfitto della serata), né della possibilità, invero irripetibile, di poter assegnare un premio postumo al vivido spaccato psicologico di Kieslowski per Heaven (un film appena discreto su una sceneggiatura ad un passo dal sublime). Il Premio Fipresci della Critica è andato, con somma nostra soddisfazione, al bellissimo Sweet sixteen di Ken Loach. E non c’è altro da aggiungere! Lo Screen international award vantava una serie di candidature a dir poco eterogenee. Ha avuto la meglio l’interessante Intervento divino di Elia Suleiman (in un premio che ha avuto motivazioni eminentemente politiche), trionfando, però, su capolavori della portata di Minority report di Spielberg o su film incomprensibilmente nominati come l’ancora inedito (in Italia) 8 mile di Curtis Hanson con Eminem. Miglior attore è stato Castellitto (ma non sappiamo per quale dei due film per cui era nominato), mentre Migliore attrice è stato l’intero cast di Otto donne e un mistero (bah!). Infine, è stato acclamato Miglior Regista Pedro Almodovar (in una rosa di candidati di estremamente alta qualità) che ha ritirato il premio anche del Miglior film per Parla con lei e il Premio del pubblico. Ed è in questa eccessiva abbondanza di premi alla pur bellissima pellicola almodovariana che si consuma il maggior rimpianto della serata che ci pare aver troppo trascurato altri ottimi film. La telecronaca della serata non ci ha detto nulla di premi come quello per la Miglior fotografia, del Fassbinder award per la migliore opera prima (andata a Hukkle dell’ungherese Gyorgy Palfi), o quelli per il miglior documentario (per Etre et avoir del francese Nicolas Philibert) e il cortometraggio. Categorie di cui pare non importi niente a nessuno. A fronte delle pessime conduzioni di tante manifestazioni, ci si permetta infine di spezzare una lancia a favore di una bellissima e, in fondo, molto brava Asia Argento. Lasciamo a Disegni (sulla pagine di Ciak) il compito di ironizzare sulla sua pessima dizione, ci basti qui sottolineare come l’attrice si sia, col tempo, costruita una sua personale posizione di vera e propria icona italiana nel mondo.

[dicembre 2002]


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