FOUR SHEETS TO THE WIND - INDEPENDENT FILM COMPETITION, DRAMATIC

La voce calda, profonda, di un nativo americano si spande sulle case di legno, sui panni appesi al sole, sui campi di grano. Inizia così “Four sheets to the wind”, come un racconto, una leggenda. Il tempo narrato però non è quello dei miti lontani, ma la realtà odierna. Ancora una volta cruda.
L’idea di Sterlin Harjo di dar voce, con un’introduzione in voice-over in lingua indiana, ad un popolo che si trova schiacciato fra tradizione e modernità riprende il tema della difficile integrazione culturale in America. Non è un caso che, proprio sulle battute iniziali, il regista scelga di seguire Cufe mentre seppellisce, con un rito tradizionale, il corpo del padre appena suicidatosi. E’ un gesto emblematico quello del ragazzo, in quanto capace di aprire in lui una lacerante ferita. La morte brusca del genitore, infatti, unita alle reazioni della popolazione, provocano nella mente di Cufe una serie di profondi interrogativi. Perché rimanere attaccati alle proprie tradizioni? Perché non cedere al fascino dell’opulenta civiltà americana? Per rispondere a queste domande il ragazzo si trasferisce dalla sorella, nella città limitrofa. Quello che lo aspetta però non è l’El Dorado e Cufe lo capirà a sue spese.
Il tema più battuto, e a questo punto anche un po’ inflazionato, dal Sundance è quello delle realtà emarginate negli Stati Uniti. Siano Navajo, messicani, poveri americani o semplici immigrati clandestini, il loro destino è quello di finire ai margini di una società che, nel migliore dei casi, li ignora. Il pregio di “Four sheets to the wind” sta però nello stile con il quale Sterlin Harjo affronta questo tema un po’ trito. Alla scelta di fondo di rappresentare il viaggio, fisico e interiore, di Cufe fra tradizione e modernità, il regista fa seguire un racconto lento e cadenzato, che lascia lo spazio allo spettatore per emozionarsi e riflettere.
Mettendo da parte tutti gli insegnamenti dei manualisti americani Harjo costruisce una storia che si lascia guidare dal pathos, unico elemento che sembra dare una logica al caos di eventi che coinvolgono Cufe.
Intendiamoci: lo studio sulla sceneggiatura, sulle strutture narrative, è sicuramente presente, ma non comporta quelle forzature tipiche di molti script americani. Non si insegue il cliffhanger, non si cercano i punti di svolta al punto giusto. Le persone che il protagonista incontra, le disavventure che gli capitano appaino semplicemente il frutto del caso, proprio come se avvenissero nella realtà.
Un cinema d’ispirazione europea potremmo dire, che rifugge, anche nei momenti in cui potrebbe, inutili spettacolarismi, puntando tutto sulle emozioni.
Alla fine non è difficile perdersi nel racconto, proprio come in un’antica leggenda indiana.
Regia: Sterlin Harjo; soggetto e sceneggiatura: Sterlin Harjo; interpreti: Cody Lightning (Cufe Smallhill), Tamara Podemski (Miri Smallhill); produzione: Indion Film; durata: 91’
