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Gli insoliti ignoti

Pubblicato il 27 gennaio 2003 da Alessandro Izzi


Gli insoliti ignoti

Gli Insoliti Ignoti nasconde, dietro al titolo quasi scioglilingua (con quell’ins-ign così ravvicinato da far scivolare la lingua tra i denti), un giocoso omaggio al vecchio capolavoro di Monicelli I soliti ignoti. L’ammiccamento è volontario e, anche se siamo certi che il nuovo film per la televisione, trasmesso su canale 5, non abbia assolutamente i numeri per competere con lo spietato e caustico ritratto epocale del precedente monicelliano, il sincero affetto con cui esso è portato avanti è tale da sciogliere tutte le possibili riserve in un tiepido e non scontato sorriso. In realtà, gli autori, più che rifarsi narrativamente alla complessa sceneggiatura de I soliti Ignoti (lo ricordiamo scritta a più mani da autori del calibro di Age e Scarpelli, Suso Cecchi d’Amico e lo stesso Monicelli) si sono ispirati piuttosto ad un fatto di cronaca realmente accaduto qualche anno fa: il furto, al Museo Nazionale di Arte Moderna di Roma, di un dipinto di Van Gogh. Sulla suggestione di questo evento ladresco in qualche modo epocale, gli sceneggiatori hanno poi imbastito le storie parallele di alcuni personaggi che, per certi aspetti, si ricollegano ad alcune delle maschere che hanno fatto celebre la commedia all’italiana in quella che è stata la sua fase meno corrosiva e sarcastica come il ladro di buon cuore e sensibile alle suggestioni dell’arte o il poliziotto integro e volitivo afflitto dai problemi famigliari. La storia è presto detta. Cosimo (interpretato da un efficace Valerio Mastandrea), nella vita di tutti i giorni è un elettricista con il pallino per l’arte (nei suoi discorsi su come illuminare i quadri è evidente una genuina passione per la pittura e una competenza nel percepire emotivamente l’atmosfera di un dipinto non sgrossata ancora da un appropriato vocabolario critico), ma la pochezza dello stipendio che l’occupazione gli fornisce è tale da costringerlo ad arrotondarlo con i bottini di piccoli furti realizzati insieme al suo amico Ruggero (Marco Giallini), un appassionato di modellismo. La moglie di Cosimo, Marisa (Carlotta Natoli) che lavora in un museo di Roma, fornisce presto ai due loschi ladruncoli, che per lo più impiegavano il tempo racimolando misere refurtive rapinando autobus colmi di turisti giapponesi, l’occasione per un insperato salto di qualità. La donna si propone, infatti, come basista per il furto proprio di un quadro di Van Gogh precedentemente appartenente ad un marchese decaduto, collezionista d’arte per cui Cosimo aveva prestato la sua opera di elettricista. Un colpo, quello che il trio progetta e riesce miracolosamente a portare a compimento, che è certamente destinato a cambiare il destino di tutti. Peccato che nessuno avesse fatto i conti con l’ispettore Pietro Cucciola (Pierfrancesco Favino) che, nella sua ricerca dei colpevoli riesce ad infiltrarsi nella banda e a toccare il cuore del ladro gentiluomo. Nonostante l’operina respiri fino in fondo secondo quelli che sono i ritmi imposti dalla programmazione televisiva, stupisce la capacità degli sceneggiatori e poi del regista di tenersi lontani da lidi di facile volgarità in cerca di una poesia piana e regolare. Al di là della complessa sequenza del furto (strutturata come in ogni buon giallo con notevole senso del montaggio) quello che resta nella mente degli spettatori non sono tanto le continue derive nei lidi di un comico di bassa lega, quanto piuttosto il modo realisticamente poetico con cui ci viene descritto il rapporto tra i due coniugi protagonisti e il messaggio di fondo secondo cui bellezza dell’arte è capace di colpire anche un semplice esponente di un incolto sottoproletariato di periferia purchè egli sia stato capace di mantenersi puro di cuore. Ma è ben difficile restare integgerimamente puri come bambini in un mondo, come l’Italia, che sempre più sembra rendere impossibile l’esistenza alle persone, ed ecco, allora, che di fronte alle difficoltà della vita di tutti i giorni, si può rispondere solo con una celebrazione incancrenita dell’arte di arrangiarsi. Ed è questo, infine, il senso ultimo di questa piccola fiction: proporsi come celebrazione degli autori di furti giocosi e di ribalderie sfrontate. L’infrazione della legge perde, nella logica degli autori, la sua aura catartica e il suo significato etico di fronte allo sguardo un po’ bambino con cui il protagonista pare sempre dire: “si l’ho fatto, ma ammira la mia bravura, e il candore con cui ho compiuto un’azione certo disdicevole”. Così come parrebbe quasi crudele, alla fine, punire l’autore di un furto che restituisce il bottino perché consapevole, di colpo, di non avere meritato davvero la bellezza profonda di un Van Gogh. Questa celebrazione borghese di un (anti)eroe piccolo piccolo è certo il punto debole di un film che si avvale, però, di un ispirato gruppo di interpreti, di una regia solida, e di uno splendido accompagnamento musicale.

(Gli Insoliti Ignoti); regia: Antonello Grimaldi; sceneggiatura: Walter Lupo e Luca Rossi; fotografia: Paolo Carnera (A.I.C.); montaggio: Angelo Nicolini (A.M.C.); musica: Stefano Arnaldi; interpreti: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Carlotta Natoli, Pierfrancesco Favino; produzione: Mediatrade

messa in onda: giovedì 23 gennaio 2003; rete: Canale 5; orario: 21:00

[gennaio 2003]


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