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Helmut Newton: The Bad and the Beautiful - Fuori Concorso

Pubblicato il 26 novembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Helmut Newton: The Bad and the Beautiful - Fuori Concorso

“Molti fotografi sono persone terribilmente noiose, e i film sui fotografi che ho visto sono altrettanto noiosi. Mostrano un tizio che sta dietro l’obiettivo, lo riprendono di spalle, mostrano la macchina fotografica e senti il click dell’otturatore. Poi c’è un po’ di stupido chiacchiericcio che intercorre fra la modella, o il modello, e il fotografo”: così il celebre fotografo tedesco-americano Helmut Newton (Berlino, 31 ottobre 1920 – West Hollywood, 23 gennaio 2004) apre il sipario sulla sua vita – passata, presente, futura.

L’occhio del giornalista e documentarista tedesco Gero von Boehm, già familiare ai volti di Pablo Picasso, Susan Sontag, Umberto Eco e tanti altri, delinea un ritratto di questo bizzarro reporter del corpo con la stessa irriverenza autoironica che da sempre ne contraddistingue l’opera. Fin dalle inquadrature d’esordio di questo ricco e variegato Helmut Newton. The Bad and the Beautiful , il progetto appare più ambizioso di quanto non si pensi: le voci di Grace Jones, Marianne Faithful, Hanna Schygulla, Claudia Schiffer, Isabella Rossellini e di molte altre maschere femminili in bilico fra ordinario e straordinario si sovrappongono e si mescolano, dando alla luce un coro caotico e spesso dissonante. Tanto più è semplice ritrarre il soggetto, quanto più si fa complesso immortalare l’artista: e, in effetti, Newton sfugge in continuazione, contraddicendosi di sfumatura in sfumatura. Il dipinto che dalle numerosissime testimonianze emerge, somiglia più a un quadro cubista che non ad un’icona sacra – anche se dietro alla patinata miseria delle sue fate ignoranti è sempre possibile leggere una certa solennità blasfema, come se il fotografo si divertisse a plasmare nuovi idoli per poi gettarli in pasto al pubblico. Ma dal banchetto torniamo sempre affamati, perché le creature di Helmut rimangono intangibili, inaccessibili, impenetrabili – tanto a noi, quanto a loro stesse.

L’ossessione per il corpo, per il travestimento (che si tratti di un bel vestito o della ben più semplice e ben più complessa nudità), per i gioielli o i camei, affonda le sue radici in luoghi insospettabili: e così, dalla Hollywood leziosa a cui l’immaginario comune riconduce l’artista e l’uomo, finiamo per approdare nella Berlino dei "Roaring Twenties". Dietro all’enigma visivo di quei totem tanto familiari quanto mostruosi si nasconde tutto un carnevale: emergono le pantomime di Dora Kallmus, i rotocalchi illustrati, le salme opulente di George Grosz, le gambe femminili spaventosamente scoperte, i frammenti di un’epoca in cui guardare significava toccare, sentire, esperire. E poi riaffiora il sardonico sorriso della fotografa Yva, maestra di vita e figura mitologica per il piccolo Helmut, ancora incespicante di fronte alla spietata opera di smascheramento messa in scena all’interno di ogni atelier.

Nel brutale sarcasmo dei suoi scatti, il fotografo ritrae l’abbondanza della superficie, la sfavillante indigenza dell’essere umano, gli stenti a cui il fisico deve sottoporsi per raggiungere l’Ideale – un concetto tipicamente novecentesco, tipicamente berlinese. Nessuno è interessato all’anima, l’essenza del mondo si rapprende e si sprigiona in un braccio, in una caviglia, in un torso ritorto: a questo punto, la memoria scorre fino a raggiungere le divine e terrificanti costellazioni di Leni Riefensthal, il culto della fisionomia perfetta, la materializzazione di una distopia astratta. E d’un tratto riusciamo a capire per quale motivo, a quasi quarant’anni di distanza, le Femmes Fatales di Newton appaiano così spaventosamente dispotiche. È interessante osservare come l’artista abbia contribuito ad accrescere, nei soggetti immortalati, le fantasie e le illusioni che ognuno serba di sé stesso: Charlotte Rampling racconta di come, davanti all’obiettivo, gran parte delle consuete infrastrutture si sbriciolassero, lasciando il posto a ciò che dietro di esse si nascondeva.

Nelle prosaiche visioni di questo rasender Reporter mancato (come egli amava scherzosamente definirsi), la macchina fotografica conserva tutto il mistero e l’incanto delle origini: aprire e chiudere l’otturatore significa erigere una barriera protettiva fra l’individuo e l’universo circostante – una barriera in grado, tuttavia, di aprire lo sguardo verso altre dimensioni percettive. Così, perfino la moglie June, fondamentale figura nella sua vita, ricorda il suo eterno compagno d’avventura come un folle scienziato dell’esteriorità, un osservatore poliedrico, estroso, indissolubilmente avvinghiato alla materia. In fondo, nella disciplina forse più cinica che esista, ci sono, secondo Newton, solo due brutte parole: una è “arte”, l’altra è “buon gusto”.


CAST & CREDITS

Helmut Newton. The Bad and the Beautiful - Regia e sceneggiatura: Gero von Boehm; fotografia: Sven Jakob-Engelmann; montaggio: Tom Weichenhain; interpreti: Charlotte Rampling, Catherine Deneuve, Isabella Rossellini, Grace Jones, Marianne Faithfull, Claudia Shiffer, Anna Wintour, Helmut Newton; produzione: ZDF; origine: USA/ Germania 2020; durata: 93’.


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