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Ho qualcosa da dirti

Pubblicato il 21 luglio 2014 da Alessandro Izzi


Ho qualcosa da dirti

Il fatto è che la Verità non sta né qui, né lì.
Forse sta un po’ qui e un po’ lì.
Di certo non in mezzo, perché in mezzo si sta stretti e la Verità, si sa, è un po’ ingombrante. Del resto è anche vero che tutti la vogliono, ma poi nessuno sa mai davvero dove metterla perché sulle mensole prende solo polvere e nell’armadio si rischia di scambiarla per un segreto. E non è la stessa cosa.
Sullo scorcio iniziale di un millennio che ci ha sfiancato con una pioggia di infinite Verità, nel tripudio di ognuno con le sue ragioni e di tutti in pieno torto, Ambra Simeone si mette sul guado e cerca una posizione altra.
Ho qualcosa da dirti non denuncia. È un libro, strano a dirsi, che non grida. È una raccolta che non proclama. Non mette manifesti e, quindi, di suo, proprio per questo rischia di diventare un manifesto. Eppure, quando anche lo diventa, non è per colpa sua, ma di chi lo legge male e poco.
Ho qualcosa da dirti è un libro grigio e non solo per via del colore dominante in copertina, ma per meriti tutti suoi che stanno dentro le parole. È un libro che rifiuta bianchi e neri non perché li cacci, ma perché li prende tutti e due e ti obbliga a vederli per quel che sono: niente più che colori.
Ho qualcosa da dirti è un libro che apri dritto e poi lo leggi storto perché delle due strade non ne sceglie una sola, ma le percorre entrambe ed è così che non si perde.
In questo trionfo di grigi si stinge anche la forma poetica. In un certo senso è come se l’autrice avesse messo il suo modo di scrivere in lavatrice e poi avesse scoperto (e noi con lei) che c’è un senso anche nel capo scolorito, nel tessuto ristretto o sbrindellato.
Perché in fondo i nostri tempi questo fanno, chiudono tante sedicenti verità nel cestello e non si accorgono di stare ad aspettare niente più che il risciacquo.
E in questa lavatrice che è il suo libricino (che per certi versi ti assomiglia pure ad un libretto di istruzioni) Ambra Simeone mette tutto, il contrario di tutto e poi programma la centrifuga e il lavaggio in acqua tiepida. È certa che non ne ricaverà molto di più di un bucato bagnato, ma è questo in fondo ciò che serve perché la poesia cessi finalmente di essere esercizio autoreferenziale e ritorni ad essere qualcosa da usare, qualcosa per cui valga la pena esserci stati.
Il tutto supera la sfera del mero concetto per sperdersi in una musicalità che non aspetteresti in delle prosette poetiche che sin dal titolo ti dicono di non essere poesie, ma quasi.
Rivelano, questi brani, un’eleganza che è un passo avanti rispetto a Come John Fante prima di addormentarmi (il libro precedente dell’autrice) che, dall’altro lato dello specchio era prosa che si sfrangiava in poesia.
Perché forse l’aspetto più bello di queste paginette (che vanno a capo quando decidono loro e quindi seguono una regola più necessaria di quella che ti insegnano a scuola) è proprio la scoperta divertita delle linee di confine, degli spazi in cui i limiti si stingono e non si capisce più tanto bene dove finisco io e dove cominci tu.
E così Ambra Simeone ti diventa un poco una specie Alice che però si aggira in un paese senza tante meraviglie in cui l’illuminazione scende a patti col quotidiano scoprendo che può essere bello e sicuramente è importante sporcarsi un po’ le mani con l’effimero.
Perché come nota Linguaglossa nella quasi introduzione «le parole sono zattere instabili sopra il mare grosso della Lingua, fragili barchette di carta che vogliono sfidare una breve eternità».


Autore: Ambra Simeone
Titolo: Ho qualcosa da dirti
Editore: deComporre
Collana: MiniPotery
Dati: 64 pp, brossura
Anno: 2014
Prezzo: 7,00 €
Isbn: 9788898671281
webinfo: Sito editore


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