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IL CASTELLO

Pubblicato il 10 luglio 2002 da Alfredo De Giglio


IL CASTELLO

“Un castello può avere un solo re”. È da questo assunto che si sviluppa, in modo lento e troppo enfatico, la lotta intestina ad un penitenziario americano tra il direttore, il colonnello Winter, ed il generale Irwin, pluridecorato eroe di guerra. Si innesca, quindi, un confronto teso e violento che avrà il carcere come campo di battaglia e la bandiera americana come conquista ultima e definitiva. Mentre Redford interpreta un generale monolitico e monocorde, tanto nella sua espressività quanto nei suoi convincimenti morali, Gandolfini tratteggia un interessante “villain”, un burocrate frustrato ed invidioso (ascolta Salieri e cura maniacalmente la sua raccolta di cimeli di guerra) che non ha mai messo piede su un campo di battaglia, misurato e controllato nei gesti ma rancoroso e violento nello sguardo.
La storia. Il generale Irwin, durante quella che sarebbe dovuta essere la sua ultima missione, ha disobbedito ad un ordine del Presidente mandando i suoi uomini a morire in un agguato nemico. Di fronte alla Corte marziale, consapevole del suo errore, rinuncia a difendersi si dichiara colpevole: sarà condannato a 10 anni di pena da scontare nel Castello, una dura prigione militare. Il direttore accoglie Irwin come un eroe (gli chiede un autografo sul libro di memorie del generale: “Il fardello del comando”) ma presto si accorge che tale giudizio non è ricambiato a causa dei metodi brutali e della violenza che Winter usa per imporre il suo potere. Irwin, accolto dagli altri detenuti con rispetto, decide di spodestare Winter dalla “torre” del Castello ed organizza una rivolta (simile nell’impostazione a quella di Maximus ne Il Gladiatore) che sortirà gli effetti desiderati ma che pagherà con la vita, in una delle scene più ridicole e retoriche che si siano viste sullo schermo: il generale riesce, mortalmente ferito, ad issare la bandiera americana, simbolo della conquista del penitenziario, tra le lacrime e l’incredulità dei detenuti, delle guardie e di Winter.
Siamo certo di fronte a quel che una volta si chiamava cinema classico, ma qui ne sono gli aspetti negativi ad emergere: non la classicità del racconto, dei personaggi portatori di diverse ideologie e valori, dell’ambientazione, di un finale che sia efficace e consolatorio; ma un patriottismo, una retorica, un ritratto dell’ambiente militare infarcito di luoghi comuni (come l’ormai lisa analogia con gli scacchi) e l’uso di personaggi secondari senza vita propria, con la sola funzione di dimostrare la personalità “eccezionale” del generale e di evidenziarne l’attitudine al comando (il soldato balbuziente che muore per riscattare il suo crimine, il doppiogiochista che non tradirà perché convinto dal generale sulla bontà della loro azione, il picchiatore che diventa buono convinto dal carisma di Irwin, etc.). Il regista Lurie, diplomato alla scuola militare West Point e per quattro anni ufficiale nell’esercito, voleva realizzare un film che parlasse delle qualità che fanno di un uomo un leader, dei motivi che spingono centinaia di soldati ad ubbidire ciecamente e fiduciosamente al loro comandante. In parte l’obbiettivo può dirsi centrato, ma più grazie alla figura bieca e priva di qualità delineata da Gandolfini, il quale dimostra l’uso distorto e violento, negativo, del suo grado, che per la figura interpretata da Redford, una macchietta con giustificazioni e sentimenti stereotipati (a che serve la breve parentesi “sentimentale” con la figlia, una non accreditata Robin Wright Penn), reso inespressivo dalle troppe rughe, da un brutto doppiaggio italiano, e ridicolo da capelli e fisico fin troppo “giovanili”.
Lento nella prima parte, in cui i due duellanti mettono in campo le loro ragioni di scontro, con una buona fotografia che riserva colori freddi virati al grigio al carcere mentre l’ufficio di Winter ha tonalità calde, per sottolineare l’agiatezza e la tranquillità che si gode della posizione di comando, il film si risolleva nella scena madre, la conquista della prigione, girata con ritmo, per scivolare bruscamente alla fine, con la succitata ed enfatica scena.

[Luglio 2002]

(The Last Castle)

regia: Rod Lurie sceneggiatura: David Scarpa, Graham Yost fotografia: Shelley Johnson montaggio: Micheal Jablow musica: Jerry Goldsmith interpreti: Robert Redford, James Gandolfini, Mark Ruffalo, Delroy Lindo produzione: Robert Lawrence III, Dreamworks origine: USA 2001 durata: 130’ distribuzione: UIP web info: sito ufficiale

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