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Il cigno nero

Pubblicato il 18 febbraio 2011 da Sila Berruti


Il cigno nero

L’arte è catarsi, morte, dolore, liberazione, angoscia, sogno, visione, estremo tormento ed esasperata sofferenza.

L’arte è esaltazione, allucinazione, annegamento, metamorfosi e terrore.

L’arte è, ancora, scoprire se stessi, tradirsi, distruggersi fino ad divenire altro da sé.

L’arte non è, infine, né tecnica, né precisione né, tanto meno, bravura stilistica; bensì un cocktail micidiale di imperfezione, eccellenza e passione.

Per Darren Aronofsky l’arte ha a che fare con un’estrema solitudine, con la lacerazione del corpo e dell’anima. Qualche cosa di terribilmente, fisico, sanguinante, sporco e impreciso. Non ci sono definizioni di genere capaci di costringere l’ultima fatica dell’autore di The Fountain e, francamente, non sembrano necessarie. Black Swan è un film estremo, e non potevamo aspettarci altro. Un’affermazione di personalità da parte del regista che, dopo la consacrazione avvenuta due anni fa proprio qui al Lido con The Wrestler, rivendica se stesso e non si piega ad un cinema più semplice e immediato.
Rispetta le sue origini Aronofsky e con Black Swan, le eleva, facendo sue le lezioni di maestri del calibro di Lynch e Altman. La storia di una ballerina ( Natalie Portman) che per ottenere ed affrontare il ruolo da protagonista ne Il lago dei cigni si trova costretta a distruggere tutto quello che sapeva di sé, si trasforma in un viaggio nell’animo umano, nel processo di creazione-metamorfosi, in una lucida immersione nel tormentato universo femminile.
Il regista scava con sorprendente precisione nelle pieghe oscure e celate, dell’essere donna; nell’estremo tormento della fame, dell’autolesionismo, delle privazioni e della doppia identità, rendendo visibile il sommerso, attraverso un climax di allucinazioni, visioni e sogni. Il ristretto ed esasperato universo di una compagnia di balletto classico fornisce ad Aronofsky una vasta gamma di ossessioni sulle quali lavorare: anoressia, rapporto con la madre, perfezionismo, autolesionismo, competizione, gelosia, omosessualità e paranoia. Una straordinaria Natalie Portman (che, al contrario di quanto si possa pensare si accosta per la prima volta al mondo della danza) interpreta con magistrale bravura il ruolo di una ragazza costretta a massacrare e uccidere la bambina che è stata (e che la madre tenta disperatamente di non perdere costringendola a vivere in un mondo di pupazzi e carillon) per permettere alla donna di esplodere in una femminilità spietata, magnifica e crudele fino ad assumere le sembianze di uno splendido cigno nero. Horror, thriller psicologico e melodramma trascinano lo spettatore all’interno di un unico istante di vorticosa follia; lo attirano nelle maglie di un universo contorto, sensuale e affascinante che lo costringe alla riflessione, all’introspezione lasciandogli addosso un senso di disagio e esaltazione.
Black Swan non è un film privo di difetti. Molti lo troveranno un po’ eccessivo e, a tratti, saturo di cliché presi in prestito dall’horror. Ma è imperfetto nel suo essere opera d’arte, nel suo gridare con forza che, solo lasciando emergere le pulsioni che ci hanno insegnato a reprimere e dando fiato al bisogno di imperfezione che alberga inquieto nelle nostre anime, possiamo sentire e comunicare veramente. In un mondo dominato dalla perfezione, l’opera rivendica il valore della distruzione, della lacerazione, del continuo superamento del limiti personali e del sentire comune. Rivendica il ruolo dell’arte nella crescita e nello sviluppo dell’individuo, nella sua elevazione ad un livello più cosciente di comunicazione. Un grido potente per una società che sentila cultura in generale come uno scomodo, costoso ed inutile accessorio.


CAST & CREDITS

(Black Swan); Regia: Darren Aronofsky; sceneggiatura: Mark Heyman, Andres Heinz e Andres Heinz; fotografia: Matthew Libatique; montaggio: Andrew Weisblum; musica: Clint Mansel; interpreti: Natalie Portman (Nina), Mila Kunis (Lilly), Winona Ryder (Beth MacIntyre), Vincent Cassel (Thomas Leroy); produzione: Fox ; origine: U.S.A., 2010; durata: 110’


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