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Il clan dei Miserabili

Pubblicato il 6 dicembre 2014 da Alessandro Izzi


Il clan dei Miserabili

Il clan dei Miserabili è il sesto romanzo di Umberto Lenzi, dopo Delitti a Cinecittà, Terrore ad Harlem, Morte al cinevillaggio, Scalera di sangue e Spiaggia a mano armata, ad avere come protagonista il detective dei divi Bruno Astolfi.
Più che un alter ego, l’investigatore che anima le pagine di questi romanzi ci sembra essere una sorta di figura transfert, un ponte ideale che serve a riversare emozioni, stati d’animo e sensazioni dalla realtà del cinema (nella quale Lenzi ha operato spesso a livelli di eccellente professionalità, firmando alcune pellicole fondamentali nel nostro frastagliato panorama di genere) a quelle della letteratura.
I testi in questione sono, infatti, per citare le parole dell’autore “cinema su carta”, opere che, pur mantenendo una specifica autonomia rispetto al dorato mondo dei film, si portano addosso un fortissimo odore di pellicola e di solventi fotografici.
Raramente la narrativa era stata così capace di tenersi dentro, tra le righe e lo scricchiolio delle pagine, l’atmosfera di una vecchia e fumosa cabina di proiezione con il suono sferragliante delle vecchie macchine Prevost e il fruscio spezzettato della pellicola che passa, un fotogramma per volta, davanti alla lampada, subito prima del fiocco che esce dalla croce di Malta.
Del cinema questi romanzi conservano non solo l’ambientazione (che è un dato evidente e scontato), quanto soprattutto il ritmo, la limpida costruzione di un montaggio di situazioni che è calibrato da una precisa successione di dettagli significanti, di atmosfere e di vere e proprie inquadrature.
Nel raccontare le sue storie Lenzi entra nel suo mondo con la baldanza di una macchina da presa che sa che deve costruire un’impressione di spazio con una precisa successione di piani e con l’inveterata abilità di chi passa dal dettaglio al campo medio con la naturalità di un battito di ciglia.
Quello che colpisce nella lettura dei romanzi è prima di tutto l’abilità di muoversi con secchezza e senza inutili fronzoli dalle panoramiche descrittive ai campi e controcampi dei dialoghi senza mai perdere il senso del racconto.
Prendete uno qualsiasi dei momenti ambientati sul set de I miserabili per averne prova concreta. In poche righe l’autore restituisce l’impressione del film nel suo farsi senza perdere di vista il contesto del dietro le quinte e il racconto delle indagini: vero e proprio cinema su cinema pensato per la carta!
Lenzi non è un cesellatore, né uno stilista. Non scrive prosa per dare spazio a un fraseggio prezioso e rifinito. Quel che gli interessa in quello che scrive è la sua funzionalità narrativa. Quel che entra in pagina sta lì perché serve, perché ha uno scopo e un perché. Il resto è meglio che resti fuori giacché, trovasse spazio, rischierebbe di far incagliare in racconto nella stasi della bravura fine a se stessa.
Eppure nello spazio franco di una narrazione che vuole essere prima di tutto avvincente, prende corpo, come in ogni transfert che si rispetti, un’emozione altra.
I romanzi di Lenzi, nel loro raccontare il mondo di un cinema che non si fa più, tra i telefoni bianchi del periodo fascista e la ricostruzione post bellica (quest’ultimo al centro de Il clan dei Miserabili) si riempiono di un senso di trattenuta malinconia.
Qui, in queste pagine, si parla di Totò e della Magnani, di Freda e Suso Cecchi d’Amico, di quando il cinema si faceva con allegra ribalderia, mettendo insieme pezzi di cartapesta e tanta voglia di portare a casa un film.
Un periodo nel quale lo stesso Lenzi era poco più che ventenne, diverso anche da quello in cui avrebbe espresso i suoi maggiori capolavori, ma di cui ha una conoscenza diretta e viva, umana e palpabile che sa restituire al lettore senza perdersi in chiacchiere.
Certo non tutto è perfetto. Certo ne Il clan dei Miserabili, che trova nel contesto della ricostruzione americanizzata della nostra Italia lo spazio per gustosi inseguimenti notturni e per la violenza tutta grafica di una scena memorabile come quella del canile, ogni tanto si perde un colpo. E certo c’è qualche passaggio un po’ tirato via (proprio a inizio romanzo Bruno incontra il colpevole sul luogo delle indagini e non gli passa per la mente di porsi un minimo di dubbio sul perché sia lì) e qualche personaggio un po’ tagliato con l’accetta (il commissario). Però Il clan dei Miserabili è una lettura godibile e caldamente consigliata soprattutto a chi ha voglia di respirare un po’ di cinema senza togliersi il piacere caldo di una lettura magari davanti a un caminetto.

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INTERVISTA A UMBERTO LENZI


Autore: Umberto Lenzi
Titolo: Il clan dei Miserabili
Editore: Cordero editore
Collana: Crimen
Dati: 170 pp, brossura
Anno: 2014
Prezzo: 14,00 €
Isbn: 978-88-98130-12-2
webinfo: Scheda della collana sul sito di Cordero


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