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Il dramma in una risposta

Pubblicato il 23 agosto 2002 da Alessandro Izzi


Il dramma in una risposta

La fascia serale che precede la messa in onda dei telegiornali delle due principali reti televisive italiane (TG 1 e TG 5) è da sempre luogo di confronto per i più accaniti ed originali organizzatori di palinsesti televisivi. Si tratta, in effetti, di una fascia oraria alquanto ambigua (con i vari impiegati di ritorno dai propri posti di lavoro e con le massaie intente ai preparativi per la cena imminente) che non permette la programmazione di opere televisive di così complessa strutturazione da richiedere un’attenzione costante da parte del pubblico a casa. La soluzione ideale sperimentata dalle reti televisive su menzionate è stata quella di ricorrere a programmi d’intrattenimento spettacolare come i telequiz: programmi, questi, inizialmente destinati alla ben più corposa prima serata. Rai 1, con Azzardo e L’eredità (entrambi presentati da Amadeus e attualmente in programmazione sperimentale), e Canale 5 con Passaparola e Chi vuol esser milionario (sotto la briosa conduzione di Jerry Scotti, ora trasmessi alternativamente in replica) tentano in effetti la strada di un intrattenimento che nasconde, dietro le finte ambizioni di fare anche un po’ di cultura mentre si fa solo svago ed intrattenimento, le strategie di un programma/confezione infinitamente replicabile e virtualmente inesauribile. In questo senso le differenze tra i programmi Rai e quelli Mediaset (poche, in verità) sono assai meno interessanti delle troppe, invadenti analogie che si rincorrono nello spazio di un’ora appena di trasmissione. E non ci riferiamo, qui, alle presunte somiglianze tra i vari format televisivi (stessi giochi, stesse -o quasi- regole ecc.) che diventano necessarie dal momento che è sempre di giochi impostati sul modello di “a domanda rispondo” che si sta parlando, quanto, piuttosto, al ricorrere, in tutti questi programmi, di una stessa idea di televisione. Se nei vecchi programmi televisivi a quiz era la cultura di base dei partecipanti ad essere il centro reale d’interesse, nei nuovi programmi che si contendono il pubblico a casa, quello che conta è essenzialmente e solo la dimensione spettacolare entro cui l’evento mediatico si consuma nella sua effimera fiammata. Non conta infatti la qualità delle domande e l’abilità del concorrente, quanto, piuttosto, la cornice scenografica nella quale egli deve compiere la propria performance. Il concorrente cessa, spesso, di essere un ottimo professore o un pensionato ancora immerso nelle letture di classici della letteratura russa, per diventare una persona qualunque che non si confronta più con specifiche aree del sapere (nei vecchi quiz il concorrente poteva spesso scegliersi la materia nella quale essere interrogato), ma con domande trasversali di cultura generale (desunte da non sempre ottimi dizionari). Che sia estratto a sorte da un computer o che acceda al gioco dopo un’eliminatoria (e cioè per meriti personali e per una certa dose di fortuna), il concorrente è quanto più possibile una persona qualunque che fa affidamento alle sue spesso scarse conoscenze e, soprattutto, alla sua buona stella per vincere. L’esaltazione dell’Uomo medio che ne deriva (e dove scompare il senso assolutamente fuori moda di dover faticare anni per arrivare ad avere una propria cultura personale, dal momento che si può vincere qualche soldo anche da perfetti ignoranti) cede il passo ad un’altissima spettacolarizzazione dell’evento quiz. Luci stroboscopiche che si alternano a bruschi tagli luministici contribuiscono a creare un clima altamente drammatico costantemente sostenuto da brevi jingle musicali di forte impatto emotivo. I presentatori sono portati a giocare nella dilatazione più o meno grande (eccessiva spesso in Amadeus) dei tempi con un ritardo consistente del momento topico di ogni quiz: quello in cui si scopre se la risposta che il concorrente ha dato è giusta o meno. Se i presentatori protestano spesso che dietro alle loro domande c’è anche una sincera volontà di far cultura, divertendo, non credeteci perché, alla fine, chi, tra gli spettatori, riesce a ricordare le risposte alle assurde domande che in essi sono propinate e che spesso sono anche sbagliate (con conseguenti ricorsi dei concorrenti poi rimmessi al gioco)? Ricordiamo qui il caso di una domanda tra le tante: “In quale opera lirica Barbarino canta la celebre aria “L’ho perduta”?” Facile risposta, penserebbe un melomane: Le nozze di Figaro di Mozart! Salvo, poi, venire a scoprire che non di aria si tratta, ma di una cavatina (che non è esattamente la stessa cosa, soprattutto in Mozart) e che a cantarla non è un tale Barbarino (un castrato magari!), ma una povera servetta (Barbarina) costretta ad uno dei più straordinari momenti di teatro che la Storia della civiltà occidentale possa ricordare.

[Agosto 2002]


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