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Il mio primo dizionario delle serie tv cult

Pubblicato il 29 marzo 2016 da Antonio Napolitano


Il mio primo dizionario delle serie tv cult

Scrivere un libro o redigere un elenco delle più importanti serie tv cult degli ultimi 25 anni è un lavoro soggettivo che in ogni caso presta il fianco a critiche e discussioni. Ogni lista, come ogni classifica, in quanto personale, è destinata a trovare sicuramente qualche lettore in disaccordo o comunque a fargli storcere il naso almeno una volta. Perché (restando alla strettissima attualità) si parla di Daredevil e non di House of Cards? Perché a Six Feet Under vengono dedicate solo quattro pagine mentre True Blood se ne accaparra ben dieci? Perché Orange Is the New Black e non Oz? Queste sono solo alcune delle domande che qualche malato da binge-watching potrebbe porre agli autori de Il mio primo dizionario delle serie tv cult – Da Twin Peaks a Big Bang Theory che l’editore Becco Giallo ha appena pubblicato nella sua collana dedicata ai dizionari dello spettacolo.

Scritto da Matteo Marino e Claudio Gotti, critici e autori televisivi e cinematografici (Filmcronache, Cineforum), Il mio primo dizionario delle serie tv cult non è una guida, né un dizionario nozionistico carico di dati e dettagli, ma un’analisi contenutistica e stilistica di ognuna delle trentatre serie televisive che sono state selezionate dagli autori. Ogni serie infatti viene analizzata attraverso sette paragrafi-linee guida che sono uguali per tutti e che ne definiscono la struttura in maniera omogenea. Si parte da “iniziare” paragrafo dove vengono analizzati i teaser e/o il pilot della serie in questione. Una scelta questa che sembrerebbe scontata e ovvia ma che ad una lettura più approfondita non lo è minimamente e che fa emergere infatti tanti dettagli che a molti spettatori per anni erano sfuggiti. Si passa poi al paragrafo sui “personaggi”, un tema più classico dove vengono presentati i protagonisti e i loro ruoli nell’intreccio narrativo, per poi arrivare al “marchio” (terzo paragrafo), una sorta di filone conduttivo che regge la serie dall’inizio alla fine e che ne caratterizza la forza e il successo. Ma non è solo il successo a rendere una serie televisiva un cult. Spesso anche l’insuccesso o l’atipicità fanno sì che una serie diventi cult solo in un secondo momento e il Dizionario si occupa anche di queste circostanze. È il caso del remake di Battlestar Galactica, nata sulle ceneri dell’omonima serie del 1978 o di Flash Forward, serie annunciata da molti come naturale erede di Lost ma che invece è stata chiusa in fretta e furia dopo una sola stagione. Il quarto paragrafo è perciò dedicato al “salto dello squalo” (jumping the shark), parola idiomatica che segna il punto di non ritorno di una serie televisiva (o anche di un film). Il salto è una scena in cui gli autori mettono a repentaglio tutta la credibilità dei loro protagonisti rischiando di perdere la fiducia dello spettatore. Il riferimento allo squalo si rifà all’episodio di Happy Days in cui Fonzie facendo sci nautico con la sua immancabile giacca di pelle decide di saltare uno squalo bianco. Quel momento segnerà l’inizio della fine e per gli spettatori niente sarà più come prima. Ma non tutte le serie naturalmente hanno il loro “salto dello squalo”; ad esempio Breaking Bad prosegue imperterrita con i suoi continui mutamenti di tensione ma senza perdere mai la credibilità. Altro paragrafo che Marino e Gotti prendono in considerazione è la “firma” delle serie, in primis l’ideatore (spesso anche showrunner), ma anche tutti gli altri sceneggiatori e registi che si sono alternati durante le riprese degli episodi. Infine il sesto tema si intitola “vite parallele” dove vengono nominate sia le fonti di ispirazione da cui è stata tratta la serie, le sue ambientazioni, i dialoghi e ogni forma di citazione, sia di riflesso, le influenze che sono nate dopo la messa in onda di quella serie stessa. A tal proposito non possono mancare i continui rimandi ai Simpson che fanno spesso ricorso a parodie o ambientazioni prese in prestito dalle serie tv cult (da I Soprano a X Files, da 24 a Mad Men). Infine l’ultimo paragrafo è dedicato alla "ser(i)endipità", parola coniata dagli autori e intesa come riferimento per tutto ciò che ha fatto la fortuna di quella serie e che l’ha resa unica nel panorama internazionale. Un panorama che travalica appunto i confini e che non a caso vede elencate nel Dizionario, oltre alle serie americane, anche tre prodotti di casa nostra (Boris, Gomorra, Romanzo Criminale) e cioè le serie che più si sono distaccate dal classico format della fiction all’italiana, due delle quali hanno avuto anche un riscontro internazionale (mentre Boris resta un fortunatissimo ed unico esperimento di prodotto metalinguistico e metanarrativo all’italiana).

In un panorama ormai sempre più sconfinato e infinito della serialità televisiva, Il mio primo dizionario delle serie tv cult è un’agevole e pratica bussola che può aiutare lo spettatore a non smarrirsi o almeno a seguire un percorso segnato. Infine ad arricchire il lavoro degli autori, ci sono i disegni di Daniel Cuello che, oltre a realizzare la copertina, riesce a interpretare ogni serie televisiva con pochissimi elementi racchiusi in una semplice ma esaustiva vignetta.


Autori: Matteo Marino e Claudio Gotti
Titolo: Il mio primo dizionario delle serie TV cult
Editore: Becco Giallo
Dati: 416 pp. bn, brossura con alette
Anno: 2016
Prezzo: 19,00 €
Isbn: 978-8899016357
webinfo: [Scheda libro sul sito >http://www.beccogiallo.org/shop/147...]


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