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Il Papa buono

Pubblicato il 27 gennaio 2003 da Alessandro Izzi


Il Papa buono

Su una cosa non c’è più dubbio ormai: la televisione, qui da noi, non gode di buona salute. La sua, infatti, è una vita breve, consumata nell’effimera fiammata di un evento che si imprime, come un’orma, sulla sabbia del bagnasciuga di una spiaggia mentre il mare già avanza. Ogni cosa che passa sullo schermo è consumata brevemente e dimenticata con la nonchalance che si riserva ai pochi accidenti della vita che non ci toccano direttamente, ma che hanno la ventura di passare nel nostro sempre più distratto campo visivo. Solo sfruttando la logica di questo meccanismo che vede il cervello dello spettatore televisivo come una sorta di tabula rasa che si resetta, come una playstation, alla fine di ogni inquadratura, è stato possibile far passare, a così breve distanza l’una dall’altra, due fiction virtualmente identiche (in realtà molto diverse dal punto di vista stilistico, ma che gliene importa al pubblico serale e pantofolaio di stile?) come quelle dedicate alla figura del Papa Giovanni XXIII: il Papa Buono. La prima di queste fiction, interpretata da Edward Asner con la regia di Giorgio Capitani, era passata appena qualche mese fa nei palinsesti di RAI UNO non senza un certo successo di pubblico a conferma dell’incredibile popolarità di cui il personaggio, già in vita in odore di santità, gode presso gli italiani. La seconda, quella trasmessa nei giorni scorsi da Canale 5, vanta invece la regia di Ricky Tognazzi mentre il ruolo principale, molto più complesso di quanto non appaia a prima vista, spetta ad un attore tra i più acclamati come Bob Hoskins (qui veramente bravo). E’ da dire che Tognazzi riesce ad evitare abbastanza miracolosamente alcune delle trappole in cui era caduto, invece, Capitani nell’impaginare la vita di Angelo Roncalli per la rete nazionale, in primo luogo rifiutando, in maniera piuttosto intelligente, di adagiarsi su una visione troppo canonizzata del personaggio. In questo modo il regista non evita certo l’agiografia che è sempre lo spauracchio dietro l’angolo di operazioni di questa natura, ma cerca, nei limiti del possibile, di complicare lo spessore psicologico del protagonista restituendocene un’immagine abbastanza sfaccettata. Mentre nella fiction precedente, infatti, l’immagine vulgata del Papa era tutta rivolta verso l’idea di una bontà semplice e contadina che non teneva in alcun modo conto della cultura e della scaltrezza straordinarie del vero Giovanni XXIII, in questa fiction in due puntate abbiamo uno sguardo più realistico e più storicamente attendibile. Proprio per questo, già all’inizio (dopo l’ormai canonica rappresentazione della precoce vocazione sacerdotale del futuro pontefice) troviamo Roncalli, dietro i banchi del suo seminario, mentre traduce un testo dal latino all’ebraico, più tardi lo scopriamo attento ascoltatore delle sinfonie di Beethoven (in realtà solo la Sesta, La pastorale, scelta forse per banale assonanza con il carattere bucolico dell’uomo) e, più avanti ancora, abile manovratore dei nuovi Media come Radio e Televisione. L’idea che ne dovrebbe venire fuori è che semplicità e cultura non sono necessariamente due valori antitetici e che, anzi, essi possono essere coniugati in una volontà comunicativa che sopravanza ogni credo e ogni condizione sociale. I momenti fondamentali della vita di Roncalli ci sono tutti: dagli anni del seminario, al periodo greco, dalla visita, ormai storica, alla prigioni fino al celebre discorso della carezza ai bambini. Stupisce, semmai, il rifiuto del regista di toccare, con le sue morbide immagini, il periodo bulgaro che portò l’allora vescovo Roncalli, a contatto con la Chiesa Ortodossa, ma è pur sempre questa una scelta autoriale che può essere legittima. Molto meno legittima ci pare, invece, l’esigenza, evidentemente sentita dal regista, di rendere più drammatizzabile la vita del personaggio mediante scelte da televisione d’accatto. Per rendere più appetibile il prodotto, Tognazzi, non si preoccupa di porre al centro della fiction il rapporto tra Angelo Roncalli e i due amici/nemici dei tempi del seminario Mattia e Nicola (quest’ultimo presto cacciato dall’ambiente clericale per le sue idee moderniste). Nel descrivere la loro amicizia profonda (densa di gelosie, bugie e momenti da vero e proprio fuilleton) il regista tira fuori dal cappello quel sapore zuccheroso, con quella visione dell’adolescenza come periodo eroico e gagliardo, che già avevamo detestato nel suo precedente Canone inverso. Così mentre il tempo scorre per tutti, di fronte alla bontà sempre troppo insistita (ancorché vera) del protagonista, si trovano dei personaggi un po’ troppo macchiettistici come il vescovo crudele e spietato (che però si pente per tempo) e l’amico fidato che segue da lontano e con nostalgia i successi del primo. Figure, queste, troppo da teatro dell’opera per apparire davvero credibili. Immergendo le vicende in un clima da corsa contro il tempo (per prevenire i gerarchi nazisti che vogliono deportare seicento bambini ebrei, prima, per completare la propria opera nonostante il cancro, poi), Tognazzi dimostra certo padronanza del mezzo, ma insiste troppo su lacrime facili per non apparire alla fine più nocivo che altro. Tra i tanti momenti di questa fiction salviamo, comunque, con piacere la sequenza assai ben diretta della parte greca, in pieno periodo nazista, che dispiega un buon ritmo e un novero di interpreti tutti ottimamente funzionali.

(Il papa buono); regia: Ricky Tognazzi; sceneggiatura: Frabrizio Bettelli, Simona Izzo, Ricky Tognazzi; fotografia: Tani Canevari; montaggio: Carla Simoncelli; musiche: Ennio Morricone; interpreti: Bob Hoskins, Carlo Cecchi, Fabrizio Vidale, Sergio Bustric, Francesco Venditti, Rolando Ravello, John Light, Francesco Carnelutti; produzione: De Angelis group, Mediatrade

messa in onda: 28-29 gennaio 2003; rete: Canale 5; ore: 21:00

[gennaio 2003]


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