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Il perenne autunno tedesco nel cinema di Rainer Werner Fassbinder

Pubblicato il 10 giugno 2007 da Marco Di Cesare


Il perenne autunno tedesco nel cinema di Rainer Werner Fassbinder

C’è un ragazzo che nel 1969 ha ventiquattro anni, proviene dalla Grecia e approda nel profondo sud della Germania, nella stanca, apatica e fascistoide periferia di Monaco: un Katzelmacher come tanti altri, un terrone ’fabbricante di gattini’, picchiato dai suoi coetanei tedeschi, ma amato da una di loro, colei che lo accompagnerà nel sogno di poter tornare verso Sud, verso il sole. E c’è quello stesso ragazzo, pochi anni dopo, nel 1973, lavoratore tedesco pronto a inveire contro gli immigrati e contro la suocera di sessant’anni che si è innamorata di un marocchino molto più giovane di lei: perché si sa che La paura mangia l’anima. Entrambi sono le due facce, contrapposte, della Germania: ed entrambi hanno la faccia di Rainer Werner Fassbinder. In mezzo c’è un lungo autunno che scorre come un filo rosso all’interno della filmografia di un regista la cui parabola artistica copre l’arco cruciale che dal 1965 giunge fino al 1982, gli anni che hanno visto il passaggio dalla Rivoluzione al sentore del Riflusso: un sogno finito prematuramente, segnato dall’utopia e dal pessimismo; ma sempre, e comunque, un sogno vivo.
Il cinema di Fassbinder ci ha mostrato la viltà della collettività e la coraggiosa solitudine degli emarginati, degli anti-eroi. E vari sono i film che mostrano il punto di vista dell’autore sulla storia tedesca e, in particolare, sulla ricostruzione operata nella Germania Federale: ossia la parte ‘buona’, quella che era di casa ad Ovest del Muro. Quella Germania, però, che ha cercato di rimuovere la propria Storia; quella Germania colpevole per il Nazismo e che ha voluto cogliere solo gli aspetti più mercantili dello scenario post 1945, fino a diventare succube del profitto fine a se stesso, concetto importato dagli Stati Uniti e presto unitosi al substrato socio-culturale del 1933.

Secondo Pier Paolo Pasolini (artista che presenta vari punti di contatto con Fassbinder: la marginalità, la passione politica senza alcun ideologismo, la trasgressione e l’alto senso morale, il discorso sul Corpo, l’interpretazione dei testi marcusiani Eros e civiltà e L’uomo a una dimensione) quella italiana era la peggiore borghesia d’Europa. Fassbinder, da par suo, non risparmia nessuna fascia della classe di mezzo del suo Paese: prova ne è l’insostenibile e meraviglioso Perché il signor R. è stato colto da follia improvvisa? (1969), film che di certo farebbe la gioia di Lars von Trier (uno dei pochi che, oggi, possa essere avvicinato al regista bavarese, grazie al comune gusto iconoclasta e all’intercessione di Godard e Brecht: l’interesse per gli outsiders e la passione verso la materia raccontata, ma unita al distanziamento che dovrebbe permettere agli spettatori di prendere coscienza). Rainer ci mostra un borghese piccolo (piccolo), vittima della sua condizione esistenziale, imprigionato in giorni sempre uguali a loro stessi (il Rito borghese, mondo chiuso che rifugge dalla Storia). E carnefice, fino alla fredda esplosione omicida, compiuta in piena tranquillità: una violenza fredda che non può sostituire l’incapacità nei confronti del contatto fisico (violenza che giungerà fino alle lotte ‘coreografate’ di Querelle). Mamma Küsters va in cielo (1975) inizia dove il signor R. finisce; ed è un film fondamentale, in particolare per il discorso che si sta qui proponendo. Fassbinder mostra una incredibile capacità di colpire qualsiasi obiettivo di una sinistra traditrice del sogno rivoluzionario (in effetti, di lì a poco, sarebbe scoppiato il ’77, l’ultimo moto europeo partito dal basso): i comunisti borghesi, così come gli anarchici goffi ragazzini che amano giocare con le armi. La proletaria Mutter Emma Küsters lotterà contro il senso comune e l’ignoranza che la circondano, ma vedrà la sua famiglia cadere in pezzi e non riuscirà a riscattare il buon nome del marito: tuttavia sarà l’unica a prendere coscienza.

Martha (1973) e Il diritto del più forte (1974) ripropongono temi costanti nella poetica di Fassbinder: le relazioni d’amore viste come esempi lampanti di rapporti di produzione - dove un tirannico padrone comanda su di un servo - l’incomunicabilità, la fine della famiglia borghese, il sado-masochismo, la differenza di classe e cultura come barriere invalicabili, il marxismo, l’educazione come oppressione.
Ogni horror è un melodramma e ogni melodramma è un horror: così Martha può apparire come una versione più terrorizzante di Effi Briest, un film sospeso tra Buñuel e certi lavori di Dario Argento, Profondo rosso e Suspiria in particolare (facile accomunare l’Italia e la Germania del tempo, per le loro situazioni molto simili: uscite sconfitte dalla guerra e protagoniste del boom economico, vittime dei vari terrorismi e poste al centro dei giochi tra U.S.A. e U.R.S.S.). Ne Il diritto del più forte il protagonista proletario Fox è interpretato dallo stesso Rainer Werner: una probabile dimostrazione della sua ritrosia ad entrare nel mondo della Cultura tedesca.

Nessuna festa per la morte del cane di Satana (1976) è il titolo dell’ultimo libro di Walter Kranz, intellettuale protagonista della lontana rivoluzione(?) sessantottina, ora diventato un bardo piccolo borghese, artista che non riesce più a creare, attaccato al vil denaro e al sesso, sfruttatore di chi gli sta intorno, plagiatore del lavoro del poeta decadente Stefan George (fautore di un’arte per l’arte, sganciata dalla realtà sociale), sempre seguito da un fratello ritardato che è la sua degna controparte. Quasi un ribaltamento, ancora più tragico nel suo registro comico, di A proposito di tutte queste… signore di Ingmar Bergman.
Il segno della crisi si fa ancora più evidente con Germania in autunno (1978), il film collettivo composto da vari episodi diretti da alcuni fra i più importanti registi tedeschi d’Occidente, nato dall’indignazione cresciuta per il clima sempre più pesante degli anni di piombo, che vide l’acme nell’horribilis 1977. In questo caso Fassbinder mette in scena se stesso e l’impotenza dell’intellettuale di sinistra nell’afferrare il presente. Scandalizzato, ma sempre aperto al dialogo, ascolta e cerca di controbattere ai discorsi della madre, frutto della più bieca e mediocre banalità del male, figlia dell’incapacità di scendere nelle profondità delle problematiche messe in scena dalla realtà: “La democrazia è il male minore […] Ci vorrebbe un sovrano buono, onesto, amato”. E dopo queste parole, l’inno Deutschland über alles chiude il cortometraggio. Dimostrazione semplice ed efficace di come i giovani degli anni ’70 non potessero fidarsi neanche dei loro padri, che nulla avevano capito dalle dittature degli anni ‘30. Fassbinder con convinzione afferma che lo Stato non può uccidere i terroristi, perché non può mettersi sul loro stesso piano. E intanto sniffa coca perché è depresso e non riesce a lavorare, diventa paranoico e litiga di continuo con l’amato Armin Meier (che di lì a poco si suiciderà: Rainer Werner lo ricorderà, con disperazione, attraverso Un anno con tredici lune). Splendidamente Fassbinder mostra la ricostruzione della sua Vita attraverso l’Arte, fornendo un ulteriore esempio di Cinema-Realtà.
La terza generazione (1979) è quella dei nuovi terroristi, mossi dalla violenza e non da un attivismo politico: si tratta di grottesche figure che indossano maschere di Carnevale, in un film tragico dove lo Stato uccide impunemente e dove l’astrazione delle luci e degli ambienti e gli elettronici suoni distorti presenti nella partitura di Peer Raben, non possono non rimandare ad Arancia meccanica.

Fassbinder affronta la Storia rimossa dai suoi contemporanei, per parlare di quel Presente che loro non vogliono vedere: è interessato agli anni ’50 di Adenauer, perché rappresentano il prodromo ai Sessanta delle rivolte.
La Germania è una Donna che, come ogni eroina fassbinderiana, sogna un Matrimonio felice: è Maria Braun (1978), allegoria della ricostruzione post-1945; è Marie-Louise, in arte Lola (1981), cantante e puttana - santa come l’Arte di fare Cinema? - simbolo del nuovo patto (a)sociale tra politica ed economia nella seconda metà degli anni Cinquanta (il 1957, per la precisione); ed è Veronika Voss (1982), rudere glamour del Terzo Reich antebellico che si ritrova nella Monaco del 1955, prigioniera del Passato e dell’oblio regalatole dalla morfina, stuprata e costretta a suicidarsi, l’unica fra le tre a essere stata realmente abbandonata dal marito.
Nel cinema di Fassbinder i (non) individui che compongono la massa alle spalle dell’emarginato non-eroe, non sono cattivi: sono soltanto uguali a tutti gli altri. È come se in Germania il tempo non scorresse, è come se fossero solo gli uomini a correre via con le loro esistenze: perché, parafrasando Veronika Voss, i momenti culminanti di ogni vita sono solamente l’arrivo e la partenza.
Nell’ultima scena de Il matrimonio di Maria Braun avviene il ricongiungimento dei due coniugi, sulle ‘note’ della vittoria della nazionale tedesca ai Mondiali di calcio del 1954: il ritorno di una Germania ‘ripulita’ sulla scena mondiale, anche se – la Storia ci dice, senza che Fassbinder ce ne parli – la vittoria è stata ottenuta attraverso l’inganno. E Maria è padrona del destino suo e di quello del suo uomo: sarà lei a spegnere la fiamma del gas (inavvertitamente?), condannando entrambi alla morte. Così finiranno le speranze di una Germania padrona del proprio futuro, cui andare incontro col suo volto sorridente di donna, dovendo lasciare il passo al ritorno degli uomini; e sarà la fine della fiducia in una ricostruzione che possa partire dal ‘basso’.
Il personaggio interpretato da Mario Adorf in Lola afferma che ’Anche l’avvoltoio è utile’. Di sicuro è d’accordo Marie-Louise / Lola, maestra di doppiezza - come tutti gli abitanti della piccola Coburg – donna che per agire deve diventare oggetto. E il moralizzatore von Böhm la sposerà, accettando la corruzione e la deriva dei sentimenti, chinando il capo di fronte ai poteri forti, per trovare, forse, la felicità.

Fonti:
Rainer Fassbinder di Davide Ferrario, Il Castoro 1995;
Tutti i film di Fassbinder a cura di Enrico Magrelli e Giovanni Spagnoletti, Ubulibri 1983 (terza edizione, 2001);
Rainer Werner Fassbinder di Paolo Vernaglione, Gremese Editore 1999;
Tutte le donne di Fassbinder di Alessandro Colizzi, documentario del 1997 presente nel dvd di Lola.



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