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Il possibile dell’impossibile

Pubblicato il 31 maggio 2006 da Riccardo Protani


Il possibile dell'impossibile

Come tornare alle origini allontanandosi il più possibile dal capostipite. Quest’ultima missione di Mister Ethan Hunt, che di impossibile ha davvero tutto - dal record di location utilizzate e sparse per il mondo ad un budget che avrebbe permesso alla NASA di mandare il primo uomo su Marte con discrete possibilità di successo - colpisce e spiazza tutti. Spiazza perché nessuno si aspettava un tale rigore stilistico da un regista praticamente debuttante su una patata bollente di due ore e passa di durata e più di 150 milioni di dollari di costo (in questi casi o la va o la spacca e chi fallisce Hollywood se lo brucia in un week-end...); colpisce perché M:I:3 è davvero agli antipodi con le sensibilità che in questi dieci anni hanno caratterizzato i suoi due illustri predecessori: nel primo capitolo, il glaciale De Palma ha difatti costruito una spy-story degna dei noir anni ’30 e solo con un po’ di tecnologia in più. Praticamente, un Chandler attualizzato nell’Est dei servizi segreti deviati. Al contrario, nell’episodio successivo, il pirotecnico John Woo ha davvero reso giustizia al titolo della serie creando una bolla di sapone perfetta in ogni meccanismo e gadgettizzata al solo scopo di straniare ancora di più dalla realtà personaggi ed eventi.
In questa ultima Missione Impossibile serviva forse allora davvero solo un J.J. Abrams che sapesse tornare alle origini, e cioè rendere quel mondo di Tom Cruise reale quanto basta nei ritmi narrativi e nei tempi delle sequenze per riprendere quel percorso stilistico tracciato ormai decenni fa da ciò che, appunto, all’inizio è stato “soltanto” un telefilm d’azione: Woo ha fatto sparare Hunt all’aria aperta e da una moto impennata con la ruota posteriore, Abrams ha concepito in chiave S.W.A.T. ogni dettaglio claustrofobico di un’incursione o la semplice organizzazione di un gruppo operativo di agenti; De Palma è partito da un doppio gioco basato su un riflesso di interessi contrapposti e Abrams ha contrapposto invece gli scambi di persona a scene di addestramenti militari. Oh, certo, anche qui non mancano le note di colore (capsule killer iniettate direttamente nel corpo delle vittime e ricevimenti in Vaticano con scollature da inferno e cocktail di Lamborghini arancione), come è anche arguta l’ironia del sottotesto sentimentale (la vera missione impossibile è quella del matrimonio quando di mezzo c’è un lavoro impegnativo).
Eppure nulla vieta di credere che proprio le passate esperienze sui set di Lost, Alias e Felicity abbiano permesso ad Abrams di dare il “la” al suo personalissimo restilyng “impossibile”. Un restyling che già dal refrain musicale storico è tanto più prossimo alla serie originale quanto più si allontana dai kolossal geometrici e parossistici dei suoi due predecessori.


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