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Il pugile e la ballerina

Pubblicato il 18 novembre 2008 da Edoardo Zaccagnini


Il pugile e la ballerina

La vicenda, anzi, le due vicende principali di questo piccolissimo film, molto romano, si svolgono tra certi vicoli storici (più accattivanti che anonimi) della città eterna che tende all’arancione: il "rione Monti", già di moda giovanile da alcuni anni (certificato recentemente dal documentario del vecchio lupo Monicelli, Vicino al colosseo c’è Monti), e "Corso Vittorio Emanuele", in una trattoria che sta dalle parti di "Via dei banchi vecchi", esattamente in "Piazza Sforza Cesarini": a due passi da "Campo De’ fiori" e ad uno dal "Teatro dell’Orologio". Angoli di una Roma, (poco) segreta che da sola è cinema. Si, è vero, Il pugile e la ballerina è stato girato nel 2005, quando Monti non era ancora in pieno boom (la faccenda politica dell’ "Angelo Mai", ad esempio, è postuma al film, e il doc. di Monicelli era assai lontano dal suo concepimento), e c’è anche la mensa della caritas, nella pellicola, quella si, davvero apprezzabile espressivamente parlando e semisconosciuta al cinema. Ma, a fare i precisi, va detto che la mensa pubblica principale per i poveri di Roma sta in scena una sola volta, al contrario degli spazi "storici" e antichi, reiterati lungo tutto il film.
Si parla, soprattutto, dentro le storie incrociate de Il pugile e la ballerina, di quattro uomini falliti e smarriti, decadenti come certe umanità di Estate Romana. Ma la pellicola di Suriano, sgranata, povera e piacevolmente maleducata, è priva di quella compattezza espressiva e di quell’unità narrativa che caratterizzavano, ad esempio, il terzo lungometraggio dell’importante Matteo Garrone. Ci sono anche strizzate d’occhio a un Pasolini prima maniera, ma tutto il citazionismo (latente o palese) del regista esordiente è vuoto come un film in cui la confusione tattica si spalma sopra una faccenda che non riesce a comunicare, pur cercandolo, il suo rapporto con un reale che, se chiarito dalla tecnica, giustificherebbe gran parte del lavoro. Sfondo attivo e fondamentale, invece, seppur in maniera diversa, si poteva definire quello dell’Accattone pasoliniano e quello dell’avanguardia teatrale persa, stralunata e sudata, raccontata, con Estate romana, dal regista di Gomorra. Parliamo di due autori importanti del cinema italiano, e non vogliamo azzardare un paragone che sarebbe fuori luogo e ingiusto nei confronti di un autore esordiente, per quanto riguarda il cinema, nel lungometragio di finzione. Lo facciamo solo per ricordare quanto sia necessario armonizzare un rapporto tra personaggi e ambiente in un cinema che rifiuta la narrazione classica e che si dà il compito di dipingere un contesto culturale fatto di ambienti, individui e fauna culturale esistita per davvero.
La sensazione è che il film non sia riuscito a tirar fuori quello che il regista aveva dentro, quasi sicuramente per un problema si scarsa dimistichezza con lo strumento a disposizione e con le sue abnormi complessità organizzative. Si respira, in questo esordio mezzo ubriaco e mezzo incosciente, ma anche sanguigno e positivamente sfacciato, un tentativo di autorialità decisa, che si confonde, però, nella nebbia di un quadro sbilenco e purtroppo non concluso. Ci sono alcune citazioni indicative, su tutte il poster godardiano di Fino all’ultimo respiro, capolavoro, certo, ma iper omaggiato e preso a prestito da troppa gente. Citazioni, tra l’altro, che non evitano alcune doverose, e purtroppo senza risposta, imbarazzanti domande: da dove vengono, dove vanno, ma, soprattutto, chi sono i quattro personaggi (alcuni per altro simpatici e curiosi) del film? Dov’è la loro pasta umana, il loro significato cinematografico? Dov’ è l’info point del loro rapporto col contesto? Ci sono gallerie d’arte, luoghi di incontro tra artisti, una pelestra storica ("L’audace") ma vorremmo, davvero, saperne di più. Vorremmo, davvero, poter associare i piccoli appunti che il film ci consente, ad un racconto storico, e ci dispiace abbandonare l’impresa un bel pezzo prima che scorrano i titoli di coda.
Il film inizia con un breve piano sequenza: la macchina da presa scende da una scalinata, si guarda attorno e poi si ferma su un uomo che balla, quasi nudo e insieme travestito da donna, sopra il cofano di un’automobile. Le note e i suoni vocali che accompagnano questa potente immagine sono quelli caldi e passionali di Maria Nazionale (la canzone è Ragione e sentimento). Che sia un omaggio all’ultimo Matteo Garrone? Impossibile, il film è precedente a Gomorra e allora merito a Suriano di aver utilizzato un’artista particolare e pressochè sconosciuta, a livello nazionale, scusate il gioco di parole, nel 2005/2006. La scena sorprende in positivo e le braccia sollevano, svegliandolo immediatamente, il corpo molle dello spettatore dalla sua poltrona rossa e vellutata: potrebbe trattarsi di un film interessante, di una bella perlina nascosta in un cinema storico e vuoto di sabato pomeriggio (il filmstudio romano). Invece, purtroppo, non è così e inseguiamo tutti i tantissimi personaggi che si passano la palla e la scena, faticando a mettere insieme i pezzi, le facce e le parole. Le pennellate, alla fine, non quagliano: l’autorialità si perde nella confusione e non comunica con lo spettatore. Se si vuole descrivere una fauna, bisogna contestualizzarla con chiarezza ad un luogo, ad un tempo, a qualcosa di significativo. Altrimenti non si parla di nulla, e se questo è il secondo problema, il primo è l’insufficienza linuguistica de Il pugile e la Ballerina. Dei continui salti temporali del film, poi, che dire? Perfettamente in sintonia col resto: altra scelta fatta per dimostrare qualcosa ma utile soltanto per alimentare la confusione, e, quel che è peggio, la fatica della noia. Un film si può sbagliare, non c’è problema. Anche perché può essere un ottimo modo per schiarirsi le idee e puntare con più decisione a qualcosa di più semplice e preciso. Sarà per un’altra volta, col consiglio di ripartire dalla forza e dalla stravaganza della prima sequenza. Oppure, se la nostra fredda visione, ha mancato di notare aspetti fondamentali, illuminanti e chiarificatori della pellicola, siamo pieni di occhi e di orecchie per leggere o ascoltare qualche argomentazione in più da parte dell’autore. Curiosità: Nel cast figura anche Marcello Mazzarella, attore quasi feticcio di Pasquale Scimeca e recente interprete del (tutto sommato) positivo La siciliana ribelle). Ne Il pugile e la ballerina, titolo curioso a priori ma poco chiarificatore a pellicola conclusa, egli veste i panni di un poliziotto cacciato dal lavoro perché ladro.


(Il pugile e la ballerina); Regia: Francesco Suriano, sceneggiatura: Marco Saura, Francesco Suriano, con la collaborazione di Sergio Vecchio, fotografia: Alessio Gelsini Torresi, montaggio: Natalie Cristiani musica: Giuseppe Napoli, interpreti: Marcello Mazzarella, Vincenzo Mazzarella, Fabio Mattei, Peppino Mazzotta, produttore: Pier Francesco Ajello, produzione: P.f.a. Films, con il contributo del MiBAC origine: Italia, 2006, durata: 93’


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