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Il tramonto del fattore X

Pubblicato il 3 giugno 2006 da Riccardo Protani


Il tramonto del fattore X

Attoniti all’epilogo. E con la domanda sorniona pronta all’uopo che potrebbe cogliere impreparati i devoti alla leggenda dei mutanti più amati di sempre: come è possibile che Avi Arad, cotanto guru della Marvel Films, abbia potuto concedere ad una storia come questa di solcare gli schermi distruggendo così anche le ultime accondiscendenze ad Hollywood che ogni fan di Logan & soci che si rispetti mai avrebbe ceduto, nemmeno con le pinze? Conflitto finale è tanto di più lontano dal fumetto originale di Stan Lee quanto più sa cogliere frizzi e lazzi un po’ dovunque da quelle saghe degli X-Men che davvero hanno fatto epoca, dalla saga di Fenice Nera ad Inferno, passando per il caposaldo Dio Ama, l’Uomo Uccide. Certo, se l’imperativo di Brett Ratner è stato dall’inizio quello di non far rimpiangere Bryan Singer nella tecnica potremmo dire che, tutto sommato, c’è riuscito alquanto bene: l’uomo dietro la trilogia di Rush Hour e Red Dragon non sbaglia una inquadratura nell’emulare davvero nelle scene, nei colori, nelle ombre e nelle luci ciò che il suo illustre predecessore aveva saputo dipingere nelle prime due pellicole. Eppure a mancare qui è un elemento fondamentale come l’ironia, che proprio Singer ha saggiamente utilizzato a suo tempo per rendere ancora più credibili dettagli supereroistici non indifferenti come - prendendo uno spunto a caso - quello dei costumi dei protagonisti. Tuttavia, nel clima da tragedia ineluttabile che permea il tessuto mutante di ogni vicenda di Conflitto, non è davvero male l’esordiente Kelsey Grammer nel ruolo de Bestia, una vera e propria figura cardine nel fumetto e qui molto più “politicizzata” in chiave mutante. Ovvio, i puristi che vedranno il film avranno di che scandalizzarsi, e non solo per vedere per la prima volta dal vivo il volto di Angelo (Matthew McConaughey nei sogni proibiti e il pur bravo Ben Foster nella realtà dello schermo)... E chissà l’effetto che farà, inquadratura dopo inquadratura, scoprire che le redini finali del Conflitto si sono concepite lontane dalla fedeltà del testo per ricercare a tutti i costi (proprio tutti...) lo spunto a dire basta. Stop. Finita l’avventura.
Ma davvero può finire così, smontando baracca e mutanti per pensare oltre, magari ai prossimi tre film di Spider-Man (Raimi ci sta già meditando) o ai due sequel del Superman di Singer? Eppure la saga degli X-Men in sei anni ha incassato più di 700 milioni di dollari complessivi, più di quattrocento solo con X-Men 2... abbastanza forse per i grandi schermi ma non troppo per chi adesso vede ridotta a teoria psicosomatica la nascita di Fenice (sul fumetto è un’entità cosmica), o andare allo sbaraglio orde di Morlock che sulle pagine originali avevano ben altri ruoli... Naturale che poi tutto questo al cinema rimanga divertissement puro, assolutamente altro nei confronti del testo base e forse godibile dai neofiti per ciò che è sul serio (due ore di effetti speciali quasi mai sparati a vuoto, memori della sbalorditiva e fumettistica sequenza finale di Magneto sul ponte). Ma forse, chi con gli X-Men ha cresciuto gran parte della propria collezione di fumetti e non solo, è meglio non tenti di affondare i denti della critica nel confronto tra Chris Claremont (sceneggiatore decennale del comic) e gli sceneggiatori Simon Kimberg (Mr. & Mrs. Smith) & Zack Penn (X-Men 2). Perché potrebbe rimanerne non tanto deluso, quanto spiazzato. Proprio come quando si esce dal cinema e si rimane a pensare al termine di una saga che sul più bello ha tolto quasi scientificamente fuori dei giochi, uno dopo l’altro, tutti personaggi più importanti di questo universo.


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