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In un mondo migliore

Pubblicato il 10 dicembre 2010 da Sila Berruti


In un mondo migliore

Dove si annida il male, come riconoscerlo, cosa lo genera e, soprattutto, in che modo difendersi?
Sono, ancora una volta, domande forti quelle pone Susanne Bier con In a better word, dramma che ripropone i temi cari alla regista sotto una luce ancor più drammatica e suggestiva. Ancora una volta, nel buio della sala, il pubblico rimane colpito, stordito e commosso da un racconto straordinariamente fuori dall’ordinario. Ancora una volta, una delle registe europee più amate negli Stati Uniti, mette lo spettatore di fronte a dilemmi complessi, ponendo delle questioni che, in realtà, non chiedono una risposta. Drammatica e gelida empatia alla quale la Bier costringe il suo pubblico. Empatia che accompagnata dalla fredda consapevolezza che tutto quello che accade è terribilmente verosimile, che potrebbe succedere ad ognuno di noi. Quando Anton, medico di guerra che opera in un campo profughi, torna alla tranquillità di una comoda vita cittadina è convinto di poter trovare quiete riposo e pace; quella che si trova ad affrontare invece sono una serie di eventi fatti di violenza e incomprensioni. L’orrore che si annida nell’ordinario, nelle meccaniche di una vita comune.
Anche grazie alla straordinaria prova degli attori e alla fotografia che, come sempre, è perfettamente coerente con il racconto, la Bier non delude affatto le aspettative. Ancora una volta riesce nella difficile missione di emozionare e spingere alla riflessione nello stesso tempo.
Quello che, da sempre, ci appassiona di questa autrice, è la capacità di penetrare nelle maglie meno stabili della nostra coscienza, di mettere in discussioni i luoghi comuni, le piccole e meschine certezze sulle quali si sostiene la quotidianità di ognuno di noi. L’essenza stessa del male, del disagio, del senso di estraneità ad un mondo, solo in apparenza, perfetto. Complessi fino all’irrisolvibile tanto da sembrare irreali, i personaggi In a better word, sono invece persone comuni. Un occhio critico sulla società moderna che invita ad osservare con sguardo diverso quello che siamo soliti definire terzo mondo e che genera paure e timori. In un mondo migliore, ribalta gli equilibri, affermando con forza e convinzione che il mondo è un solo e che le dinamiche, come quelle della nascita di un piccolo Kamikaze, sono riproducibili ovunque nel momento in cui si verificano le condizioni. Il nucleo famigliare, caro all’ autrice che in questi anni ha più volte raccontato le dinamiche che si generano al suo interno, diventa anche qui l’occasione perfetta per descrivere l’inferno in terra, il dolore nella quiete e l’amore in tempo di guerra


CAST & CREDITS

(Heaven); Regia: Susanne Bier ; sceneggiatura: Susanne Bier Anders Thomas Jensen; fotografia: Morten Søborg; montaggio: Morten Egholm Pernille Bech Christensen; musica: Johan Söderqvist; scenografia: Peter Grant; interpreti: Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Markus Rygaard, William Jøhnk Nielsen; produzione: Zentropa Entertainments14; distribuzione: Teodora Film; origine: Danimarca; durata: 113’


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