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INCONTRO CON ALESSANDRO ANGELINI

Pubblicato il 9 novembre 2006 da Antonio Valerio Spera


INCONTRO CON ALESSANDRO ANGELINI

L’Aria Salata è stato uno dei film-rivelazione della prima Festa del Cinema di Roma. Ha ottenuto i consensi della critica e del pubblico, e il suo protagonista Giorgio Colangeli si è portato a casa il primo Marco Aurelio d’Oro per la miglior interpretazione maschile. Alessandro Angelini, il giovane regista e sceneggiatore della pellicola, parla del suo film in esclusiva per Close-Up.

Alessandro Angelini, primo lungometraggio di finzione e subito in concorso alla Festa del Cinema di Roma.

Si. E’ stata un’esperienza meravigliosa. Purtroppo il lutto che ha colpito la città ci ha tolto la parte di puro divertimento della Festa, e dato che il film è stato accolto bene, avremmo preferito festeggiare meglio. Comunque è stata un’esperienza molto intensa. La qualità dei film presenti alla Festa era ottima, quindi già la partecipazione era un gran risultato. Il premio a Giorgio Colangeli come miglior attore ha suggellato la partecipazione.

Ci speravi in un premio?

Noi ci siamo presentati un po’ come outsider. Molto hanno fatto i giornalisti. La stampa ci ha da subito incoraggiati e ci ha fatto tanti complimenti. Poi il riconoscimento per Giorgio ci ha reso tutti felicissimi. E’ stato un premio a lui ma anche a tutto il film.

Come avete scelto gli attori per L’Aria Salata?

Colangeli si è fatto largo nella fitta schiera di provini. Già lo conoscevo, perché avevo collaborato con lui in un altro film in cui ero aiuto regista. Con lui abbiamo lavorato molto sulla gestualità per ottenere un personaggio schivo, roccioso, duro; e poi abbiamo dato molta importanza al trucco, tagliando i capelli e i baffi in una certa maniera, per arrivare a dargli un aspetto spigoloso.

Come è nata l’idea del film?

Con Angelo Carbone volevamo raccontare un rapporto padre-figlio; era qualcosa che ci girava in testa da tanto tempo. La sceneggiatura è stata scritta a quattro mani. Io ho fatto un’esperienza di volontario in carcere per un percorso mio intimo e personale e molte delle suggestioni e delle emozioni provate in quel periodo le ho lasciate sul tavolo in modo che Angelo potesse tirarne le fila. Comunque abbiamo svolto un grande lavoro di documentazione sul mondo carcerario.

Il ruolo di Fabio è stato scritto appositamente per Giorgio Pasotti?

Non esattamente. Pasotti piaceva molto sia a me che ad Angelo Carbone. Gli abbiamo inviato 40 pagine di trattamento e lui ha accettato il ruolo. Lui è un attore molto fisico, e il gioco stava nel tenere tutto imploso.

Come mai la scelta stilistica di girare tutto con la macchina a spalla?

Quando io ed Angelo scrivevamo la sceneggiatura, ci dicevamo: “Questa è una storia spiata”. In effetti Sparti e Fabio, i due protagonisti, si spiano. Per questo non abbiamo mai voluto mettere la macchina sul carrello, se non per una sola scena. E’ stato possibile girare in questo modo anche grazie all’operatore di macchina e direttore della fotografia Arnaldo Catinari, uno dei migliori che ci sono in Italia, che ha sposato subito l’idea di girare in modo sporco e con poca luce.

Perché hai scelto per il tuo esordio nel lungometraggio di finzione un storia così drammatica ed intensa?

Il cinema è un modo per dire delle cose. Tutto sta in quello che si vuole dire e come lo si vuole dire. Per me è importante fare questo mestiere - se di mestiere si tratta - potendo dire le cose che penso. Questa era la storia che volevo raccontare, senza pensare se potesse piacere al pubblico o ai finanziatori.

E’ stato difficile trovare i finanziamenti?

Di certo non è stato facile. Però il trattamento ha riscosso l’interesse della Bianca film di Donatella Botti e di Rai Cinema. Il ministero non ci ha concesso finanziamenti e il Ministero di Grazia e Giustizia non ci ha concesso nessun carcere per le riprese. Il film è un low-budget, e il fatto di muovere tutta la troupe e di ricostruire un carcere in uno stabile abbandonato ci ha portato via il 40 % del denaro che avevamo a disposizione.

Hai iniziato la tua carriera come documentarista. Quanto ti è servita quest’esperienza?

Il documentario mi è sempre piaciuto e mi piace ancora. E’ un passepartout meraviglioso per la realtà, l’unico che c’è in questo tipo di comunicazione. Poi però ho cominciato a sentire l’esigenza di mandare le storie dove volevo io e ho pensato di scrivere una sceneggiatura per un film di finzione. Però ho tenuto molte cose del documentario, come lo stesso uso della macchina a spalla.

Prossimi progetti?

Intanto stiamo preparando l’uscita nelle sale de L’Aria Salata. In ogni caso, sto già scrivendo una nuova sceneggiatura, sempre con Angelo Carbone. Anche per questo progetto ci sarà un lavoro di ricerca lungo e complicato.


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