X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Incontro con Giovanni Robbiano

Pubblicato il 3 agosto 2007 da Gaetano Maiorino


Incontro con Giovanni Robbiano

La rassegna Dieci film in cerca di pubblico è stata curata dal regista, sceneggiatore e docente di teoria del linguaggio cinematografico, Giovanni Robbiano. Gli abbiamo rivolto qualche domanda sul Premio Sergio Leone e sulla condizione del cinema italiano, sempre più alla disperata ricerca di spettatori.

Professor Robbiano, qual è la sua esperienza per quel che riguarda la rassegna Dieci film in cerca di pubblico?

La rassegna è nata otto anni fa. Io sono venuto qui al festival nel 2002 per presentare Hermano che ha anche vinto un premio del pubblico e Minà mi ha proposto la direzione di Dieci film in cerca di pubblico. Ho accettato subito anche se non avevo fatto alcuna esperienza come curatore di una rassegna e ci ho sempre messo il cuore cercando di migliorare di anno in anno. Più di questo in fondo con pochi soldi non si fa, ogni anno è più difficile, soprattutto perché ogni anno escono sempre meno film italiani. Si cerca di tutto, dal progetto a bassissimo costo che ha un budget di tremila euro, a film come L’uomo di vetro che invece è distribuito da 01.
Il vero problema è che in Italia di film se ne fanno davvero pochi e distribuiti male, quando sono distribuiti. Qui c’è una chance, sebbene si tratti di una goccia nell’oceano c’è una possibilità di visibilità per progetti che restano purtroppo ai margini del mercato e che somigliano a veicoli misteriosi: se sai che esiste solo un modello di automobile in quanto ti è stato pubblicizzato solo quello, per forza di cose sei orientato a comprare solo quello e se qualcuno te ne propone uno differente, nonostante sia di buona qualità, sei sempre diffidente.
Resta sempre un lavoro difficile, ma ogni anno cerchiamo di fare qualcosa di più, sono comunque soddisfatto.

Come sono stati scelti i film in concorso?

I film sono pescati per vie traverse. C’è un inedito che ha un bassissimo budget e che è un prodotto molto particolare (Le cose che parlano ndr.), due film da riscoprire come Ma che ci faccio qui di Francesco Amato e Basta un niente di Ivan Polidoro che hanno avuto gravi traversie distributive e poi ci sono tre documentari, Le ferie di Licu, Vedi Napoli e poi muori e Non son l’un per cento. Il documentario è genere poco praticato in Italia che però sta tornando, sebbene contagiato dalla “sindrome da film”: un documentario deve essere più incisivo e più breve di un film, ha un linguaggio differente, mentre si tende sempre di più a dilatarlo nella durata per farlo arrivare a un’ora e venti e distribuirlo in sala, con un conseguente calo di ritmo. I documentari scelti però sono davvero interessanti e ben realizzati.
Si è cercato comunque di mantenere una identità nella scelta dei film.

Ci sono anche due storie italiane di quelle che i manuali tendono a tralasciare, come L’uomo di vetro o Guido che sfidò le Brigate Rosse.

Il tema dell’impegno è evidente anche nella scelta degli ospiti, Roberto Saviano, i Wu Ming e poi il tema libertario è molto caro a Sergio Leone: il documentario sugli anarchici girato da Antonio Morabito. e Giù la testa sembrano quasi essere l’uno speculare all’altro. Insieme a Gianni Minà si è deciso di mantenere un certo profilo senza abbassare il livello dell’offerta: temi sociali e culturali. Inoltre io da genovese sono molto legato alla vicenda di Guido Rossa. Si tratta di film impegnativi, qualcuno dice difficili, ma sono prodotti di valore e molto particolari. E poi io non credo a chi dice che il pubblico non vuole film del genere, se il livello qualitativo è alto il pubblico segue eccome, sono tutte chiacchiere, manovre per guidare la proposta.

In contemporanea con il festival, per il primo anno sono anche partiti dei corsi per studenti.

Sì, ci sono seminari e workshop a cui prendono parte 35 studenti, la maggior parte miei allievi del DAMS di Genova e Bologna e dello Iulm di Milano. È una possibilità in più che si è voluta dare ai ragazzi. Sono felice soprattutto perché abbiamo ripristinato gli incontri con gli autori, sono questi il vero valore aggiunto. Si cerca di far crescere degli studenti, chissà se si riuscirà a lasciare loro qualcosa e a cambiare un po’ la realtà di questo paese.


Enregistrer au format PDF