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Ingratitudine

Pubblicato il 1 agosto 2009 da Alessandro Izzi


Ingratitudine

"Meglio poveri e felici che ricchi e bastardi"

Lavoratori di un cantiere edile gettano fondamenta. Scavano con sudore nella roccia tenace. Usano martelli pneumatici per scalfire le parti più dure della nostra cattiva coscienza di spettatori che vanno al cinema in cerca di storie. La loro presenza ha l’ingombrante pesantezza di una realtà che rifiuta di scivolare nel mito, che resta caparbiamente ancorata alla sua dimensione fattuale. Senza concedere spazio all’immedesimazione di superficie. Per questo non ci piace. Per questo è d’obbligo guardare.
Lo schermo si riempie di immagini che non cantano la bellezza del lavoro, ma lo restituiscono alla sua dimensione disarmante di fatica. Non c’è straccio di epica nella visione di chi spala nel fango, di chi si affanna per una paga, di chi deve portare a casa, a fine giornata, una pagnotta. E anche se spesso le immagini si portano dietro una notevole impressione pittorica, con colori pastosi che richiamano alla mente le vedute e i paesaggi di un tardo romantico che già si scava dentro mentre guarda fuori, il suono, nella sua ingombrante persistenza riporta tutto al quotidiano, riconduce tutto alla dimensione del documento.
Ed è proprio il suono a colpire l’attenzione dello spettatore di questo come di altri film di Tommaso Cotronei. All’apparenza figlio di una semplice e quasi banale presa diretta, il suono, nel regista romano, è sempre frutto di un’altissima operazione di formalizzazione. Esso è sempre concepito a blocchi isolati, come massi di cemento giustapposti che si prolungano, nella loro autonomia, spesso per più di un’inquadratura a restituire una continuità d’ambiente e di atmosfera. Sono disposti secondo una successione intellettuale, secondo una progressione quasi geometrica che fa del rifiuto alla musica di commento un vero e proprio proclama (una propensione presente in quasi tutti i film di Cotronei con l’eccezione fortissima di Preparativi di fuga che ricorreva addirittura ad Arvo Part) e che tende sempre a destituire la voce umana della sua dimensione comunicativa. Nei film di Cotronei, anzi, la voce viene spesso ridotta al rango di rumore: è un insieme di borbottii quasi incomprensibili, segni tangibili di un mondo dove la comunicazione è diventata mera utopia, di una realtà dove il dialogo si è fatto impossibile anche se la convivenza con gli altri resta conditio sine qua non della nostra condizione (dis)umana.
Cotronei racconta con immagini di incredibile asciuttezza un mondo da cui si dovrebbe solo voler fuggire (come certificano i continui dettagli di aerei o treni in partenza: utopia di un altrove che forse non esiste, ma che è sempre impresso nella nostra mente) e che è di una precarietà solida come pietra e resa ancor più disarmante dal paradosso che questi lavoratori stanno appunto gettando delle fondamenta e, quindi, sono alla ricerca di una stabilità impossibile.
Quando la videocamera abbandona il cantiere per seguire gli operai nelle loro case, siamo colpiti, infatti, dalla dimensione transeunte del loro modo di vivere e dell’ambiente nel quale vivono. Case da scapoli piene di bottiglie di plastica che aspettano solo l’arrivo di una mano gentile che metta ordine in un ambiente che sembrerebbe poterne fare a meno, strade da attraversare continuamente, con le macchine che vanno in panne quando meno te l’aspetti e silenzi, interrotti appena dall’ingombrante presenza dei rumori prodotti da apparecchi televisivi che quel silenzio dovrebbe nascondere ed invece rivela.
Quel che colpisce sempre nel cinema di Cotronei è la sua capacità di usare gli strumenti del documentario per raccontare una condizione esistenziale. Le sue immagini riescono sempre ad andare oltre il mero dato fattuale per farsi espressione di una interiorità lacerata e sofferta che si esprime per sillabe torte e suoni stridenti. Le sue figure sono sempre correlativi oggettivi di stati della mente, ma non perdono per strada la loro dimensione reale ed anche politica.
Perché, ed è incredibile a dirsi, Ingratitudine è sia un documentario sulla condizione dei muratori nella nostra bella Italia in cui il lavoro è sempre meno umano e sempre più precario, che una riflessione esistenziale sul nostro essere al mondo. Le due anime (quella oggettiva della ripresa spoglia del mondo e quella soggettiva di un montaggio che quello stesso mondo piega a significare altro rimanendo, però, fedele a se stesso) si prendono per mano e si sposano con invidiabile coerenza.
Certo questo film non ha la stessa forza di Ritrarsi, né la ripiegata malinconia di Preparativi di fuga, ma resta capitolo importante di un’apertura al mondo esterno che potrebbe riservarci qualche prossima sorpresa.


(Ingratitudine); Regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio: Tommaso Cotronei;produzione: Stig Dagerman production; origine: Italia, 2009; durata: 95’


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